[Lettera di Elfriede Harth, (IMWAC) che sottolinea l'importanza del Documento e invita a diffonderlo]

Cari amici,

vi mando la dichiarazione finale del meeting afro-asiatico di Colombo, nello Sri Lanka, del 19-26 aprile 1998 su "Colonizzazione, Globalizzazione e ruolo della Teologia".

Fa parte dello sforzo intellettuale compiuto dagli Africani e dagli Asiatici nel processo mondiale di decolonizzazione e di liberazione. E' un impegno che mira a suscitare consapevolezza della necessità di rimodellare le nostre strutture politiche ed i nostri modelli di pensare, per andare oltre la democrazia formale attraverso lo sviluppo di una cultura politica autenticamente partecipativa e autodecisionale.

La globalizzazione, in quanto processo che attraverso meccanismi incontrollabili del potere economico minaccia la possibilità di decisioni democratiche a favore dell'umanità, deve essere disarticolata.

Ciò non è possibile senza la costituzione di una comunità di gruppi e di persone responsabili, che siano disposti a cooperare per la giustizia e i diritti umani. In questo, il ruolo delle varie comunità di credenti può essere determinante.

Spero che voi possiate aiutare a diffondere queste idee in modo che esse contribuiscano a suscitare consapevolezza e volontà di cooperazione intercontinentale e interreligiosa.

Pace

Elfriede Harth

IMWAC (International Church Movement We are Church)

 

 

DICHIARAZIONE DEL MEETING DI COLOMBO SU

"CRISTIANESIMO, COLONIZZAZIONE E GLOBALIZZAZIONE "

Venticinque persone, quasi tutte dall'Africa e dall'Asia (insieme ad alcune da Australia, Europa e USA ) si sono incontrate a Colombo dal 19 al 26 aprile 1998 per una riflessione teologica dal punto di vista cristiano sul ruolo delle Chiese nell'evoluzione del colonialismo e delle attuali forme di globalizzazione. Questo seminario è stato co-sponsorizzato dalla Associazione Ecumenica dei Teologi del Terzo Mondo (EATWOT), dalla Commissione Asiatica dei Diritti Umani di Hong Kong e dal Centro per la Società e la Religione di Colombo. Abbiamo riflettuto anche sulla riparazione dei danni compiuti dal colonialismo e sulla restituzione di ciò che è stato rubato alle colonie. In questa ricerca ci siamo ispirati ai due incontri del Foro Afro-Asiatico per la Spiritualità tenuti a Colombo nel 1992 e nel 1994, alla Conferenza Internazionale "Dal Colonialismo alla Globalizzazione: cinque secoli dopo Vasco da Gama" tenuto a New Delhi dal 2 al 6 febbraio 1998 dalla ACISCA, all'incontro congiunto NCCI-URM su "Ricolonizzazione, globalizzazione e ruolo della Chiesa" tenuto a Bangalore dal 16 al 20 marzo 1998, e a varie altre iniziative tenute altrove.

Noi mettiamo queste nostre riflessioni a disposizione dei nostri amici, di coloro che sono responsabili nelle nostre chiese, e di coloro che all'esterno sono impegnati a cercare un nuovo ordine mondiale basato sulla giustizia, sull'equità e sullo sviluppo sostenibile.

L'occasione per questo meeting è stato il quinto centenario dell'arrivo di Vasco de Gama a Calcutta, in India, nel maggio 1498, che simbolizza l'inizio del colonialismo moderno in Asia e in Africa. Oggi esso ha preso la forma di una globalizzazione che continua a impoverire le masse di Africa, Asia ed America Latina. Inoltre marginalizza i poveri nei paesi ricchi. Per questo ci siamo focalizzati sul colonialismo moderno, cioè dopo il 1498 e sulle forme presenti di ingiusta globalizzazione che noi percepiamo come neocoloniali.

Abbiamo trovato consenso sul fatto che questa forma di globalizzazione deve essere rifiutata e che noi dobbiamo lavorare per un nuovo mondo che possa far convivere tutte le nazioni e tutti i popoli in eguaglianza e in solidarietà reciproca.

Durante questi giorni abbiamo cercato di capire in che modo le religioni sono state interpretate per legittimare il colonialismo. Sebbene sia stato principalmente il Cristianesimo ad essere usato per giustificare il colonialismo, in molti casi l'approccio etnocentrico di varie religioni e società, asiatiche e non, ha anch'esso aiutato il processo del colonialismo: sia per l'incapacità a resistere agli invasori, sia per il fatto che la élite locale ha collaborato con essi. Siamo anche coscienti che le chiese a cui apparteniamo non sempre hanno collaborato senza obiezioni con i colonialisti. Come Africani e Asiatici anche noi siamo vittime del colonialismo. Nonostante queste circostanze attenuanti e nonostante il ruolo anche di altre religioni, noi come cristiani riconosciamo di avere partecipato a questa ingiustizia a motivo del ruolo di legittimazione che il Cristianesimo ha svolto. Chiediamo ai nostri popoli perdono per questo. Facciamo appello alle nostre chiese e ai leaders delle altre religioni che hanno svolto un ruolo diretto o indiretto di legittimazione affinché chiedano perdono ai nostri popoli. Facciano appello a loro per lavorare insieme al fine di chiedere riparazione e restituzione dai colonizzatori che perpetrato queste ingiustizie verso i nostri popoli.

 

1. Il processo del Colonialismo

Il colonialismo ha impoverito economicamente, politicamente e culturalmente i nostri popoli, In alcuni paesi la terra è stata sottratta per le piantagioni e le miniere. In altri, coloni bianchi la hanno occupata contro la volontà e gli interessi dei nostri antenati. In questo modo noi siamo stati privati dei mezzi per la sopravvivenza. In paesi come l'India i nostri antenati sono stati trasformati in operai dequalificati. In gran parte dell'Africa essi sono stati resi schiavi, privati della loro libertà e delle loro stessa umanità e venduti come merci per il profitto dei colonizzatori. I colonialisti hanno de-industrializzato molti dei nostri paesi e li hanno trasformati in fornitori di capitali e materie prime per la rivoluzione industriale europea, e poi in mercati obbligati per i loro prodotti finiti. In vista di questo scopo, i nostri lavoratori qualificati sono stati talvolta brutalmente privati delle loro abilità e impoveriti.

Le popolazioni indigene e le donne sono state le maggiori vittime. Le loro comunità erano quelle che più preservavano la biodiversità di cui i nostri continenti sono ricchi. Le forze coloniali hanno saccheggiato molto della nostra biodiversità e cultura tradizionale. e la hanno monopolizzata per il beneficio di pochi. Hanno causato immenso danno alle nostre foreste, alla terra e alle altre risorse naturali. Ciò ha causato danni di lungo periodo all'ambiente e alle condizioni di vita delle popolazioni indigene e ai poveri delle campagne. Fra i più colpiti vi sono state le donne. Anche le popolazioni indigene hanno in grande misura resistito al colonialismo, ma sia il danno arrecato a loro, sia il ruolo dei loro movimenti di liberazione è raramente riconosciuto nelle storie ufficiali.

Noi abbiamo avuto alcuni benefici dal colonialismo, sotto forma di una educazione che era diretta a preparare amministratori. Nonostante tale limitato obiettivo, ciò ha messo in moto alcuni processi positivi. Ma tali benefici sono di gran lunga superati dai danni compiuti. Per esempio molti attuali conflitti come la guerra civile nello Sri Lanka, la tensione razziale in America e altri conflitti un po' ovunque hanno origine nel sistema coloniale. Coloro che lottano per una soluzione democratica ai loro problemi si rendono conto, anche, che l'eredità coloniale impedisce che le élites dei propri paesi condividano il potere con le masse. Inoltre il razzismo e il sessismo che sono intrinseci al colonialismo, continuano in molti paesi sotto varie forme: per esempio nella discriminazione contro i lavoratori stranieri che vengono costretti a lasciarsi dietro la propria famiglia.

2. Colonialismo e Globalizzazione

La globalizzazione è un processo che viene definito ed inteso in modi differenti. Possiamo definirla come trans-nazionalizzazione del capitale (con il capitale finanziario pericolosamente separato dal mondo reale e incamminato verso una autonoma auto-espansione), trans-nazionalizzazione della produzione, e standardizzazione e omogeneizzazione dei gusti dei consumatori. E' un processo facilitato e leggitimato dal fondo monetario internazionale (IMF), dalla Banca Mondiale (WB) e dalla organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO). In questo processo il principio organizzativo della produzione e della utilizzazione delle risorse di un paese è la massimalizzazione del profitto. La globalizzazione è integrazione nel sistema globale degli scambi. La creazione di valori di scambio diviene di primaria importanza lasciando in secondo piano la creazione di valori d'uso. Il desiderio, o per dirla brutalmente la brama, di pochi è più importante del tenore di vita e delle necessità dei molti. Coloro che non hanno titoli di scambio (danaro) sono legalmente esclusi dal mercato. La parola chiave è "mercato emergente" e "non nazioni emergenti" o "popoli in lotta"!

Sotto un tale regime, dal punto di vista logico e legale possono andare di pari passo crescente espansione della ricchezza e crescente esclusione sociale, crescita economica e disoccupazione, sempre maggiore progresso tecnologico e immiserimento. Non importa se la madre terra e il sistema di risorse per la vita sono deteriorati e violati. E' ormai il tempo di invocare che si ponga fine a questo danno ecologico, e che si smetta di trattare la natura come materia prima che deve essere sfruttata per progetti commerciali.

In breve, il potere delle risorse prevale sul potere dell'uomo. Armato di "accesso al mercato", di "trattamento nazionale" e di "clausole della nazione più favorita" (MFN), di diritti di proprietà intellettuale riferiti al commercio (TRIPS), di misure di investimento riferiti al commercio (TRIMS), dell'Accordo Generale sui Servizi Commerciali (GATS) e di vari altri accordi multilaterali sotto l'ombrello del WTO, il capitale ha legittimato la globalizzazione e la privatizzazione. In realtà questa e una ri-colonizzazione in piena regola, anche se la conquista non è più necessaria per imporre la sottrazione di capitali, come nel colonialismo classico.

La evidente ma dolorosa verità è che enormi risorse scorrono dai cosiddetti paesi in via di sviluppo verso il Nord (documentata nel rapporto sullo sviluppo umano del UNDP), sotto forma di termini di commercio sfavorevoli, di pagamento di "royalties", di fuga di cervelli, di interessi debitori e simili.

Persino economie come quelle dell'Asia Orientale, che ci sono state presentate come modelli, risentono dell'impatto dello scambio ineguale e del trasferimento speculativo di capitali che ne consegue. Le strutture di Bretton Woods poste in essere in età coloniale continuano fino a oggi. Nel nome del libero mercato esse hanno ricevuto nuovi nomi e nuove forme come "Organizzazione Mondiale del Commercio" e "Programma di Aggiustamento Strutturale". L'effetto serra dovuto alle emissioni di gas ha già interferito con il clima e con la stessa possibilità di sopravvivenza della natura. Ma invece di prendere provvedimenti per ridurre le emissioni, i paesi del Nord si aspettano che i paesi del Sud riducano ulteriormente le loro necessità vitali per permettere ai propri cittadini di godere stili di vita sproporzionatamente alti che continuano a pesare sulla vita dei poveri.

Questa situazione ha conseguenze negative sui lavoratori sia in settori formali che in settori informali, soprattutto sulle popolazioni indigene e sulle donne. I lavoratori del sud sono sottoposti a grave sfruttamento nei salari e a condizioni che non sarebbero accettate nel Nord. La globalizzazione inoltre va di pari passo con il colonialismo interno. Le élites del Sud e del Nord operano insieme per assicurare la sua continuazione. Le élites del Sud riproducono questo sistema trasferendo a se stesse sempre maggiori risorse sottratte ai popoli poveri, soprattutto quelli che dipendono dall'ecosistema.

Lo scandaloso allargarsi delle disuguaglianze nella ricchezza e nel reddito, la tremenda inquietudine sociale, l'ingiustizia, la povertà e la deprivazione che continuano nel mondo sono un affronto all'umanità, in considerazione degli enormi progressi che la scienza e la tecnologia hanno conseguito. Il linguaggio stesso di ogni discorso sullo sviluppo deve cambiare in un linguaggio nel quale il popolo occupi il posto centrale. Una chiesa che non combatte l'ingiustizia e la mancanza di equità non è dalla parte degli oppressi, degli emarginati e dei calpestati, e tradisce il messaggio di Cristo, il più grande anti-imperialista e il salvatore dei poveri.

3. La trappola del debito e l'impoverimento

E' logico, quindi, che dopo la indipendenza in molti paesi del Sud del mondo la situazione non sia migliorata. A motivo dei termini di scambio ineguali, molte nazioni del Sud sono oggi vittime del debito estero. In molti pesi dell'Africa il debito estero è maggiore del prodotto nazionale lordo. A motivo delle condizioni peggiorative del commercio e della svalutazione delle loro monete, essi si trovano di fronte a un paradosso di Fischer: un volta in debito, sempre in debito. Come passo per la riduzione del debito, ad essi sono imposti programmi di aggiustamento strutturale che impoveriscono ulteriormente il popolo. Per ripagare il debito queste nazioni sono costrette a tagliare i propri programmi sociali ed a trascurare la salute, l'alimentazione e l'educazione dei bambini. Inoltre questo sistema costringe a milioni la nostra gente ad emigrare per lavorare in altri paesi. E là essi sono sottoposti a maltrattamenti, compresi quelli sessuali, con poca o nessuna protezione da parte dei nostri governi.

Una piccolissima parte di ciò che ci è sottratto ci viene restituita sotto forma di aiuto, per lo più come debito di lungo periodo, e di solito con interessi. Ciò non fa altro che prolungare lo scambio ineguale. Molta della nostra gente vive in condizioni che non sono molto differenti dalla schiavitù. Milioni di nostri bambini sono privati della loro infanzia per guadagnarsi la sopravvivenza in luoghi di lavoro malsani e in condizioni che non possiamo che definire inumane. Decine di migliaia delle nostre donne e dei nostri bambini sono usati come oggetti di piacere dai turisti. Come nei tempi coloniali, anche oggi questo sistema viene perpetuato grazie alla collaborazione fra le élites del Nord e quelle dei nostri paesi.

Noi non abbiamo bisogno di aiuto: noi vogliamo giustizia. Vogliamo riparazione. Vogliamo la restituzione di ciò che ci è stato rubato. I pochi studi che abbiamo fatto bastano a mostrare che quanto i paesi colonizzatori ci devono supera di varie volte il nostro debito estero. In vari paesi, ad esempio il Sud Africa, il debito estero è di fatto denaro insanguinato preso a prestito per mantenere sistemi ingiusti come lo apartheid. In molti altri paesi era volto a sostenere dittatori che gestivano il proprio paese a vantaggio delle compagnie multinazionali. E ora le vittime di tali sistemi sarebbero costrette a ripagare questi debiti!

Cancellare tutto il debito estero sarebbe solo un piccolo gesto di riparazione. Ribadiamo che anche se questa cancellazione fosse incondizionata, sarebbe solo un piccolo gesto, inadeguato per le immense perdite che noi abbiamo subito durante gli ultimi secoli. Dobbiamo andare molto oltre e cambiare il sistema ingiusto che perpetua le disuguaglianze. Lo squilibrio dovrebbe essere raddrizzato e le strutture che lo perpetuano dovrebbero essere rettificate.

E' venuto il tempo che tutti noi ci riuniamo insieme per chiedere la riparazione e la restituzione di tutte le risorse che ci sono state sottratte. Oltre che per la nostra terra, le nostre risorse minerali e naturali, noi domandiamo riparazione per i salari disuguali con i quali la nostra gente è stata pagata, per i modi in cui le nostre culture sono state degradate e la nostra identità è stata colpita.

4. Politiche di globalizzazione

I processi economici introdotti dalla globalizzazione esigono enormi trasformazioni nel quadro politico di tutti i paesi e in particolare nei paesi del Terzo Mondo. Un punto centrale di questa trasformazione è il deterioramento dei meccanismi per la costruzione del consenso che esistono oggi nella società: i governi sono oggi pressati ad adottare processi decisionali veloci che permettano l'esecuzione di ciò che è in linea con gli scopi della globalizzazione. Gli stati inoltre sono incoraggiati a mantenere forme di segretezza relativamente agli accordi siglati con agenzie finanziarie e con società multinazionali. Decisioni importanti come la vendita di proprietà e di attività nazionali, la cessione di industrie, la costruzione di dighe che comportano lo spostamento di gran numero di persone, l'adozione di politiche che provocano massiccia disoccupazione ed aumento di prezzi, sono adottate con poca o nessuna informazione da parte della gente. Anzi, viene prodotta molta disinformazione per confondere la gente su questi argomenti. In effetti il processo di globalizzazione comporta una riduzione della democrazia e incoraggia le dittature di vario tipo

Questo processo, di riduzione della democrazia e dei processi di consultazione esistenti nella società, comporta necessariamente scontri violenti fra vari settori della popolazione e lo stato. I gruppi più vulnerabili sono i poveri e i giovani. Severe leggi di sicurezza nazionale sono emanate per dare facoltà ai funzionari dello stato di usare violenza contro la popolazione. In questo contesto viene messa in pericolo anche quella limitata cultura democratica che si era instaurata in lunghi anni di lotta. Lo stato di diritto viene perduto in favore di un'ideologia che insiste sul mantenimento dell'ordine anche al di fuori della legge. I diritti umani in questo contesto sono ridotti a qualcosa che riguarda solo le più gravi forme di violazione, mentre all'interno della società permane una situazione di ordinaria violenza.

E' essenziale, se si vuole combattere la globalizzazione, superare questa cultura politica che da essa si genera. Pertanto tutti coloro che sono interessati a lottare contro la globalizzazione dovrebbero rendersi conto anche della necessità di lottare contro le leggi di sicurezza nazionale per restaurare la democrazia e il primato della legge sulla base di norme e di standard internazionali indicati dai diritti umani delle Nazioni Unite.

Il processo di globalizzazione logora lo stato stesso aprendo la strada a società multinazionali che operano autonomamente dall'autorità dello stato. Lo stato è spinto a rinunciare alla propria funzione di garantire equità, giustizia sociale e sicurezza per la gente. Lo stato viene rafforzato solo nelle sue funzioni repressive, e cioè nell'adottare violente misure per controllare il popolo che potrebbe opporsi alle politiche connesse alla globalizzazione.

Una cultura politica di partecipazione è un prerequisito importante per la democrazia. Le attuali forme di rappresentanza che si riducono unicamente ad elezioni periodiche non garantiscono la democrazia partecipativa. Occorre che siano sviluppate e che ricevano riconoscimento costituzionale nuove forme di partecipazione che includano la partecipazione rurale e locale. L'autonomia regionale dovrebbe essere rafforzata al fine di far crescere la partecipazione della gente nelle decisioni, ed ottenere maggiore trasparenza. Buon governo non dovrebbe significare unicamente quella democrazia formale di tipo limitato che esiste ora. L'amministrazione dovrebbe essere aperta, ed in continua consultazione con la gente. Gli interessi dei poveri, delle minoranze e delle popolazioni indigene dovrebbero essere espressamente difesi, garantendo loro maggiori opportunità di partecipazione effettiva. Si dovrebbe potenziare la partecipazione delle donne rendendola effettivamente reale, ad esempio adottando provvedimenti affinché esse abbiano il 50% di opportunità in tutte le assemblee nazionali e locali, nei governi locali, nell'amministrazione e nella magistratura. Per rendere reale la partecipazione, occorre fornire speciali opportunità agli strati sociali più bassi, garantendo loro una istruzione completa ed altri strumenti che permettano loro di raggiungere livelli di responsabilità.

5. Giubileo, pentimento e restituzione

Come cristiani, noi crediamo che il Giubileo del 2000, ed oltre, dovrebbe essere inteso nel senso biblico di restituzione delle proprietà rubate, liberazione degli schiavi e cancellazione dei debiti. Noi facciamo appello ai leaders delle nostre chiese affinché prendano l'iniziativa di proclamare una stagione di pentimento e di restituzione. Vogliamo inoltre che essi facciano si che i capi dei paesi ricchi, particolarmente quelli che si proclamano cristiani, riconoscano il proprio ruolo nel peccato del colonialismo. La teologia patriarcale basata sul potere regale di Dio è stata utilizzata dai conquistatori come legittimazione dell'oppressione. Nella teologia morale è richiesta la restituzione della proprietà rubata dai singoli; ma noi non abbiamo ancora riconosciuto l'immenso danno compiuto per mezzo della pirateria e del colonialismo internazionale che ha provocato l'impoverimento, il massacro e la riduzione in schiavitù di milioni di persone fra la nostra gente.

Noi pertanto riconosciamo che il nome di Gesù, simbolo di libertà, è stato contaminato da coloro che lo hanno usato per perpetrare i peccati del colonialismo e della schiavitù e che hanno derubato i nostri paesi. Le chiese cristiane istituzionali sono state usate come una legittimazione del colonialismo. Gesù il Servo è stato presentato unicamente come un re potente. Gli stati colonizzatori hanno usato questa teologia per i propri scopi. La dottrina secondo cui la salvezza dipende unicamente dal battesimo è stata usata dai conquistatori come una giustificazione per soggiogare milioni di persone, con la scusa di salvare loro l'anima. Anche le conquiste sono state presentate come crociate, cioè come vittorie di Cristo Re sulle altre religioni.

Noi ammettiamo di non essere stati sufficientemente profetici contro il peccato sociale e strutturale del colonialismo. Riconosciamo però che molti individui e movimenti popolari hanno svolto il ruolo profetico che la loro fede in Gesù e il loro impegno per gli uomini loro fratelli domandava loro: gran parte di essi hanno pagato un caro prezzo per essersi opposti all'ingiustizia. Sebbene la nostra teologia abbia aiutato i colonialisti, le chiese hanno svolto anche un ruolo positivo. In molti casi il lavoro missionario fra le popolazioni più disprezzate, come i Dalits, è stato percepito da loro come una proclamazione di uguaglianza. Molte scuole sono state aperte per la élite, al fine di aiutarla ad entrare nell'amministrazione coloniale. In questo senso i missionari hanno aiutato i colonizzati ad interiorizzare la ideologia coloniale. Ma le chiese hanno anche aperto molte scuole per le donne: la subordinazione basata sul genere non è stata posta in discussione ma essi hanno posto le fondamenta del successiva consapevolezza che molte donne hanno maturato a proposito della propria uguaglianza. Allo stesso modo, sulla base di considerazioni pastorali, sono state istituite molte scuole per i nuovi convertiti provenienti dalle classi oppresse. Anche esse non hanno messo direttamente in questione le disuguaglianza sociali. Il sistema delle caste è continuato persino fra i cristiani. Ma queste iniziative hanno reso possibile che in seguito molti convertiti in seguito mettessero in questione il loro stato di inferiorità.

Nel momento in cui riconosciamo questi punti positivi non possiamo dimenticare il loro impatto negativo. Ci rendiamo conto che noi siamo parte del peccato del colonialismo. Noi pertanto chiediamo ai nostri leaders di chiedere perdono alla nostra gente per la teologia che ha reso possibile la legittimazione del colonialismo. Le nostre chiese dovrebbero chiedere che le nazioni e le imprese ricche restituiscano ciò che hanno rubato dai nostri paesi e che paghino una riparazione. Mentre invitiamo i nostri leaders a prendere tali iniziative, noi ci impegniamo a unirci ad essi nel chiedere perdono alla nostra gente per il peccato del colonialismo. Noi lavoreremo insieme per un mondo in cui mai più verranno ricreate tali ingiuste strutture.

Come Papa Giovanni Paolo II afferma con rammarico nella sua lettera apostolica "Tertio Millennio Adveniente" del novembre 1994: "Un altro doloroso capitolo della storia al quale i figli e le figlie della chiesa devono tornare con spirito di pentimento è quello della acquiescenza mostrata, specialmente in certi secoli, verso l'intolleranza e persino verso l'uso della violenza a servizio della verità. E' vero che un accurato giudizio storico non può prescindere da un attento studio delle condizioni culturali del tempo, dal quale potrebbe risultare che molta gente ha in buona fede ritenuto che un'autentica testimonianza alla verità poteva includere la repressione delle opinioni altrui o quanto meno il non prestarvi ascolto. Molti fattori spesso hanno contribuito insieme a creare convinzioni che giustificarono l'intolleranza e alimentarono un clima emozionale dal quale solo grandi spiriti veramente liberi e imbevuti di Dio furono in qualche misura capaci di liberarsi" (n. 35).

Noi abbiamo riflettuto sulla teologia e sulla spiritualità della chiesa che per molti secoli del secondo millennio del cristianesimo, dall'anno 1000 fino a decenni recenti, hanno giustificato l'intolleranza e la violenza verso gli altri . Le basi teologiche di questo erroneo atteggiamento delle chiese sono state esaminate più profondamente per correggere noi stessi e per avere un atteggiamento più cristiano verso le altre fedi, le culture differenti, le donne e i diritti di tutti i popoli alla libertà, alla dignità umana e a mezzi adeguati per una vita dignitosa umana, fisica e culturale.

Le interpretazioni tradizionali della condizione umana, la caduta, la salvezza e la missione della chiesa, hanno dato alla chiesa un senso di giustificazione nel pretendere di avere il monopolio della verità e di essere l'unico, il necessario e il solo mezzo di salvezza. Tali idee sono state utilizzate dai leaders della chiesa e dai popoli occidentali per giustificare la loro pretesa al diritto di invadere e conquistare altri popoli, occupare i loro territori e distruggere la loro religione "pagana".

La teologia cristiana ha inteso la missione della chiesa come la salvezza degli "infedeli" ottenuta convertendoli alla chiesa perfino con l'aiuto dei conquistatori coloniali. Così per molti secoli la teologia (sia dogmatica che morale), la spiritualità, la missiologia e il diritto canonico della chiesa hanno costituito un potente sostegno ideologico per le imprese coloniali dell'Occidente. Le interpretazioni della cristologia, della ecclesiologia e della missiologia sono state in genere tali da sostenere il colonialismo.

Nei paesi colonizzati i leaders cristiani, specialmente il clero, sono stati formati in conformità a questa teologia e metodologia fondamentalmente occidentali. Essi spesso hanno contribuito a interiorizzare e perpetuare tale impianto dei cristiani e delle chiese dai tempi coloniali ad oggi.

Affinché i cristiani e le chiese siano veri e credibili discepoli di Gesù Cristo, noi abbiamo bisogno oggi di ripensare profondamente le teologie dominanti, dando loro diversità di espressione, diversa spiritualità e apertura ai diritti umani. Il messaggio di Gesù presenta Dio come amore, la creazione come un bene, e la terra con le sue risorse come destinata a tutti gli esseri umani. La salvezza consiste nelle giuste relazioni che comportano amore, giustizia, libertà e uguale dignità umana per tutti. "Venga il tuo regno sulla terra come nei cieli". Possano tutti avere il loro pane quotidiano e possa esservi genuino perdono reciproco come Gesù ci ha insegnato a pregare.

In un mondo di crescente ingiusta globalizzazione noi dobbiamo ripensare accuratamente la nostra teologia, il nostro modo di intendere la missione e i nostri rapporti con tutti gli altri, al fine di realizzare questo obiettivo. Se noi non faremo questo urgentemente, effettivamente e globalmente, noi cristiani rischiamo di trovarci ancora una volta sostanzialmente dalla parte degli oppressori e non dalla parte della giustizia che Dio in Gesù ha promesso e vuole.

Il Giubileo è l'occasione per noi di proclamare una stagione di pentimento, di restituzione, e di guarigione di un mondo peccatore. I preparativi per il Giubileo sono in pieno svolgimento in quest'anno nel quale si contano i 500 anni dall'inizio del colonialismo moderno nei nostri continenti. Un Giubileo ha poco senso per noi se non viene riconosciuto lo stato di peccato, di ingiustizia e di povertà strutturale che sono connaturati alle nostre società coloniali, e se non si fanno sforzi per cambiare il sistema. L'umanità distrutta dei nostri popoli deve essere ripristinata. All'immenso danno fatto alle nostre ricchezze naturali e ai mezzi della nostra sussistenza si deve porre fine. L'attuale distribuzione della terra fra gli stati, che è basata principalmente sul passato coloniale, deve essere corretta. Ai popoli impoveriti dal colonialismo si deve offrire l'opportunità di emigrare in modo pianificato verso terre che possono ricevere più popolazione. Noi invitiamo con forza i nostri leaders a rinnovare l'appello di Pio XII che la gente senza terra ha diritto alla terra senza gente.

Le chiese dovrebbero svolgere un ruolo profetico nel proclamare questo Giubileo, nel riconoscere la nostra parte in questo peccato e nell'esigere che i paesi ricchi dell'Europa e del Nord America restituiscano all'Africa, all'Asia e ai popoli indigeni dell'America Latina e dell'Australia ciò che hanno rubato loro. Le chiese inoltre hanno il dovere di offrire riparazione ai nostri popoli per la parte che abbiamo svolto nella degradazione delle nostre culture e per l'atteggiamento negativo verso le altre religioni.

Cominciare col chiedere perdono, sarebbe mantenersi nella tradizione delle nostre chiese. La storia degli ultimi decenni mostra che i recenti romani pontefici hanno chiesto perdono in almeno 95 differenti occasioni per peccati come l'ingiustizia verso le donne, la schiavitù, gli ebrei, ecc. Il Consiglio Mondiale delle Chiese ha preso analoghe iniziative in varie occasioni. Riconoscere il colonialismo come un peccato e chiedere perdono per la parte che abbiamo avuto in esso sarà un ulteriore importante passo nel proclamare il pentimento e la libertà per la quale Gesù è venuto in questo mondo.

6. Il compito davanti a noi.

a) Il nostro compito principale è di lavorare per porre fine al presente mondo ingiusto. Noi ci impegniamo a unirci a tutte le vittime dell'oppressione nel Nord e nel Sud per perseguire questo scopo. Noi coordineremo le nostre azioni con i movimenti dei popoli e con le organizzazioni esistenti che possano dare qualche speranza di un mondo nuovo per la gente che sperimenta oppressione e ingiustizia.

b) Noi compiremo seri studi sui danni che i vari paesi nei nostri continenti hanno subìto. Dopo aver valutato i danni sofferti, noi presenteremo le nostre conclusioni ai nostri governi e a varie organizzazioni internazionali e a gruppi di diritti umani nel Sud e nel Nord del mondo, allo scopo di mobilitare l'opinione pubblica in favore della restituzione.

c) Nei prossimi due anni noi ci focalizzeremo soprattutto sulla cancellazione del debito estero dei paesi colonizzati, intesa come primo passo della restituzione. Ma teniamo ben fermo nella nostra mente l'obiettivo di lungo termine che è quello di cambiare le strutture che perpetuano l'ingiustizia.

d) Chiediamo che sia posta fine alla speculazione incontrollata del capitale finanziario e che sia stabilito un codice di condotta per le multinazionali.

e) Noi sosteniamo il principio della tassa Tobin, cioè il suggerimento di imporre una tassa dello 0,5% su ogni speculazione finanziaria trans-nazionale. La sua estensione è oggi di circa 600 miliardi di dollari. Questa tassa dunque produrrebbe circa 3 miliardi di dollari, che è circa il 60% del prodotto nazionale lordo di tutti i paesi del Sud del mondo. Questa somma può essere usata per cancellare il debito estero, per compensare le antiche colonie dei danni che hanno subito, e per investimenti in tali paesi, soprattutto in campo sociale. Questa tassa può anche ridurre i trasferimenti speculativi di capitali che hanno provocato crisi come quella recente in Asia Orientale.

7. Sfide alle Chiese

Tutte le nostre chiese devono giocare un ruolo nel loro ambito specifico. Oggi le vittime del colonialismo stanno portando la croce dell'oppressione, dell'impoverimento e della miseria. La croce di Gesù fu un segno di speranza. Con la sua vita, morte e risurrezione egli ha proclamato una vita nuova ed abbondante. Perché questa speranza di vita nuova diventi reale per le vittime del colonialismo, tutte le chiese devono riunirsi e svolgere il ruolo profetico di chiamare il mondo a pentirsi del suo stato di peccato. Esse possono unirsi a tutti gli uomini di buona volontà per creare una pubblica opinione in contrasto con questo mondo peccatore. Nel nome di Gesù, che è venuto per fare nuove tutte le cose, esse possono proclamare che noi lavoriamo per un nuovo mondo basato sulla giustizia. Noi vogliamo unirci ai nostri leaders, agli altri individui ed alle altre organizzazioni che si sforzano di portare speranza a coloro che sono privati dei loro basilari diritti umani e che rischiano di cadere nella disperazione.

In questo impegno noi siamo animati da Gesù, che fu inviato a predicare la buona novella ai poveri, a proclamare la liberazione dei prigionieri e a dare la vista ai ciechi. Come un passo verso il mondo nuovo, in cooperazione con tutti i popoli, e con tutti gli individui seguaci di differenti religioni che sono coinvolti nella lotta dei popoli:

a) noi cercheremo di sviluppare una teologia ed una spiritualità della liberazione che possa apportare un senso di speranza alla nostra gente che porta la croce della sofferenza, dell'impoverimento e dell'oppressione. Mentre noi traiamo la nostra ispirazione da Gesù, che venne a fare nuovo il mondo, noi ci uniremo a coloro che traggono ispirazione dagli elementi liberatori delle proprie religioni, specialmente dalla religiosità popolare degli oppressi. Noi auspichiamo con forza che i programmi educativi e formativi delle chiese siano aggiornati per venire incontro a tali necessità.

b) In questo sforzo noi chiederemo alle nostre chiese che la solidarietà ed il carattere universale che è connaturato ad esse siano resi effettivi nei rapporti fra i popoli e fra le nazioni. Noi dobbiamo probabilmente guardare con occhio nuovo a molti nostri investimenti, per assicurarci che il nostro denaro non sia investito in industrie che agiscono contro la gente, che sostengono la militarizzazione ovvero, in un modo o nell'altro, il sessismo e il razzismo; oppure che distruggono l'ambiente che è la fonte di sopravvivenza dei popoli indigeni.

c) Noi identificheremo le reti già attive nell'impegno di lottare per un mondo nuovo basato sulla giustizia e sulla eguaglianza di popoli e nazioni. In questa lotta noi ci uniremo agli altri gruppi e movimenti: di ispirazione religiosa, di lavoratori, e di altro tipo. Una priorità sarà riconosciuta ai gruppi oppressi che stanno ora cercando di liberarsi da un presente stato di oppressione e di immiserimento. Un'altra priorità sarà quella di prevenire ulteriore degrado umano ed ecologico.

d) Noi invieremo questa Dichiarazione, con una lettera di accompagnamento, a:

1- il Sinodo dei Vescovi dell'Asia ora riunito a Roma

2- l'Assemblea Generale del Consiglio Mondiale delle Chiese 1998

3- la Conferenza di Lambeth della Chiesa Anglicana 1998

4- la Federazione Mondiale Luterana

5- la Conferenza Metodista Mondiale

6- la Conferenza delle Organizzazioni Cattoliche Internazionali

7- Università e Centri di Ricerca

8- Seminari e Istituti di Formazione Cristiani

e) Noi iniziamo due campagne di raccolte di firme:

1- Per la Riparazione ai Popoli colonizzati, che saranno inviate alle nazioni Unite e ai Governi del mondo

2- Per i Diritti dei Lavoratori Emigrati, che saranno inviate ai Governi a ad altre importanti organizzazioni

 

 

Firmatari:

prof Ramathate Dolamo, Sud Africa

Prof Jude Julius Ongonga, Nairobi, Kenya

Sig.a Lilian Chirairo, Harare, Zimbabwe

P. Brian MacGarry SJ, Harare, Zimbawe

P. Joseph, Komakoma, Lusaka, Zambia

Prof M.A. Oommen, New Delhi, India

Dr. Felix N. Sugirtharaj, Chennai, India

P. (Dr.) Walter Fernadez SJ, New Delhi, India

P. Emmanuel Asi, Pakistan

Sig.a Afshan Irum, Pakistan

Basil Fernado, Hong Kong

Sanjeewa Liyanage, Hong Kong

Rev. Djoko Priyatno, Indonesia

Rev. Elisabeth s.Tapia , Filippine

P. Tissa Balasuriya OMI, Sri Lanka

P. Oswald B. Firth OMI, Sri Lanka

Sr. Marlene Pereira FMM

Sig.a Kanthi Shirani de Silva, Sri Lanka

Dr. Shirey Lal Wiyesinghe, Sri Lanka

Aloysius Devasagayam, Sri Lanka

Stefan Gigacz, Belgio

Don Wedd, Chicago, USA

Gerd Wild, Eschborn, Germania

Per favore diffondete questo messaggio dal Sud del mondo: una voce a favore degli oppressi negli ultimi 500 anni.

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