«Wojtyla, l’inverno della Chiesa»
di Maurizio Chierici
( da l”Unità” 5 aprile 2005)
Da lontano Leonardo Boff vive il dolore di Roma. Comincio il
colloquio col teologo francescano disarmato dagli inquisitori vaticani - ultimo
censore il cardinale Ratzinger- partendo dal suo libro appena uscito in
Brasile. Verrà pubblicato in Italia dalla Cittadella di Assisi: «San Giuseppe e
la personificazione del padre». Per vent'anni Boff ha studiato la figura di San
Giuseppe affascinato dal suo silenzio e dalle poche righe che le scritture gli
hanno dedicato. Solo nel 1960 Giovanni XXIII ne ha inserito il nome nei canoni
della messa. Per secoli la sua spiritualità è stata resa invisibile da papi,
vescovi e da quei sacerdoti che dominano la scena. Perché Giuseppe non era
nessuno. Ha vissuto nell'ombra come vive la maggioranza dei cristiani che oggi
prendono sul serio il vangelo. Più che patrono della chiesa universale, è il
patrono della chiesa domestica, della gente umile, della gente buona e senza
nome sepolta nei giorni grigi di chi si guadagna la vita faticando per onorare
la famiglia nel segno dell'onestà. Giuseppe è il loro esempio naturale, loro
guida spirituale. Non ha lasciato in eredità una sola parola, non si sa quando
è nato e quando è morto, eppure ha indicato la regola fondamentale raccolta da
milioni di fedeli dimenticati. Non discutono dio ma si affidano alla sua luce.
Sempre in silenzio.
Si ha l'impressione di una sottolineatura della diversità
dal Papa che si sta piangendo a Roma. Nella sua speranza il nuovo pontefice
quale novità dovrebbe interpretare?
«Spero che il nuovo Papa decentralizzi la chiesa. Giovanni
Paolo II aveva raccolto attorno alla sua figura ogni attenzione. Tutto
convergeva a Roma o a Cracovia anche se il mondo é più complesso. La folla dei
cattolici e dei cristiani contempla enormi diversità. E questo modello non è
ormai in grado di interpretarle con l'urgenza necessaria. Perché le realtà non
si somigliano, dall'Africa all'America Latina, e per dare un volto umano alla
globalizzazione concepita come concorrenza e non cooperazione, la chiesa
dovrebbe trasformarsi in una rete di comunità.Il centro non riesce ad
interpretare problemi e drammi che si sviluppano lontani dai rituali dalle
cattedre che sappiamo».
Leonardo Boff ha 58 anni. Abita poco lontano da Petropolis,
specie di Versaille che l'ultimo imperatore Pedro II aveva costruito nelle
montagne alle spalle di Rio. Professore di teologia, filosofia ed ecologia ha
lavorato più di vent'anni tra il mondo accademico e il mondo dei poveri anche
dopo l'abbandono del saio. Assieme a Frei Betto è stata la voce importante
della teologia della liberazione, rimproverata come eretismo protestante. L'inquisitore lo accusava di dar retta alla
costruzione creata dai sociologi e ideologi delle cellule marxiste,
preoccupandosi di una fame e povertà che in Brasile non esistono.
La visione di questa rete quale nuovo Papa può affascinare?
«Bisogna utilizzare una certa furbizia politica. Le candidature che escono
dalle capitali dell'impero, Nord America ed Europa, dove prevalgono le egemonie
mondiali, rischiano di provocare diffidenze diverse: chi vive a Parigi o
Berlino è influenzato dalla cultura nella quale è immerso assieme ai propri i
fedeli. E i popoli dei continenti infelici potrebbero ascoltarne gli
insegnamenti, diffidando. Non deve essere un vescovo di curia: troppo
burocratico. La curia ha
perseguitato 140 teologi i cui suggerimenti nascevano dalla condivisione dei
problemi della gente. Spero che la scelta cada su
cardinali pastori, e non dottori. Vivono fra i fedeli, ne conoscono speranza e
sofferenza».
Sembra un suggerimento per piegare la scelta tra candidati africani e latini
d'America...
«È un desiderio. L'America Latina ha due cardinali che rispondono a questo
desiderio. Claudio Hummes, di San Paolo. Il suo profilo ecclesiale ricorda
Giovanni Paolo II nella sicurezza della dottrina. Ma l'apertura è diversa. È
disposto a confrontarsi su tutto, morale e manipolazione genetica comprese. È
stato il vescovo del Lula sindacalista a San Bernardo do Campo, città operaia
attorno a San Paolo. Si conoscono, si frequentano da sempre. Ha studiato a
Lovanio e la sua freddezza ne offusca il carisma anche se l'esperienza
pastorale lo ha mescolato e continua a legarlo alla realtà della gente
qualsiasi. Più sciolto e con la stessa abitudine ad ascoltare i fedeli nei
quali ama immergersi, l'altro cardinale, Oscar André Rodriguez Madriaga, ha
difeso la teologia della liberazione con cautela pur ribadendo senza esitazioni
che l'assenza della giustizia sociale è all'origine di inquietudini da non condannare
a scatola chiusa. Quando era presidente della Conferenza Episcopale Latino
America è riuscito a rimarginare le divisioni che avvelenavano i cattolici di
latitudini diverse. Un diplomatico convincente. Parla cinque lingue. Suona,
canta, guida l'aereo ed ha una conoscenza non banale dell'economia mondiale. La
interpreta come un pastore dei poveri deve interpretare.
Le comunità di base non hanno avuto vita facile nel pontificato appena
concluso: come lo spiega?
«È incomprensibile. In America Latina e in Brasile mancano i sacerdoti.
Dovrebbero essere 120 mila. Ne abbiamo 17 mila. Ogni parroco copre cinque o sei
parrocchie lontane. Un vuoto nelle istituzioni. Le comunità servivano a colmare
questo deficit. Roma non le amava. Sono laici e corrono troppo avanti, è il
timore della chiesa centralizzata
Un vuoto o occupato dalle sette pentecostali...
Non è una tragedia. Contribuiscono a tener vivo lo spiritualismo della gente.
Ormai bisogna dialogare con tutte le chiese. I problemi sono drammatici: un
Brasile con 40 milioni di poveri deve riunire ogni forza morale alla ricerca
della giustizia possibile. Le chiese possono affrontare assieme la sfida.
Proprio in questi giorni, cattolici, protestanti, sincretici stanno discutendo
assieme alle sette quale strategia comune adottare per risolvere i problemi
dell'acqua e della fame».
Di quale Papa ha nostalgia?
«Di Papa Giovanni, come tutti. Ma è Paolo VI che affascinava. Un intellettuale
sottile. Lasciava ai teologi la libertà di cercare e sperimentare. Ma è venuto
l'inverno di Giovanni Paolo II: ha normalizzato la teologia ed imposto il
pensiero unico alzando un bastione per difendere la chiesa ormai trasformata in
una realtà occidentale. Solo occidentale mentre il cristianesimo è generoso e
si apre ad ogni dialogo».
Eppure è stato un Papa di incredibile successo...
«Perché l'umanità è orfana di leader. Bush arrogante e violento. Europei tecnocratici senza
fascino. Nel panorama grigio, Giovanni Paolo II ha offerto ai giovani il suo
carisma dilatato nei media per riscattare la religione con una comunicazione
che diventa valore. Il valore che ha contribuito a distruggere il comunismo. Solo il comunismo, perché è difficile intaccare il
liberismo costruito su basi economiche e militari».