Don
Angelo Casati, parroco di S.Giovanni in Laterano a Milano, in una intervista a
“In Dialogo”, commenta in modo critico
il programma pastorale triennale del Card.Tettamanzi
Nella recente Lettera pastorale dell'Arcivescovo di
Milano si dice che "il Signore stesso e la situazione storica attuale
chiedono alla parrocchia di essere una comunità che si assume in modo sempre
più cosciente, responsabile, deciso il mandato missionario": PUO' LA
PARROCCHIA AVERE UN PROPRIO VOLTO MISSIONARIO?
Forse dovremmo chiederci perché in qualche misura è venuta meno o si è
contratta questa immagine di una chiesa missionaria. Altrimenti l'invito ad
essere missionari diventa invito puramente retorico, declamazione che cade
dall'alto. Non si tratta, a mio avviso, di cambiare un particolare, un aspetto
della vita ecclesiale. In questione è il volto stesso della chiesa, della
parrocchia.
Dovremmo a livello parrocchiale, e forse anche a livelli gerarchici più
alti, chiederci perché da un cristianesimo per le strade siamo finiti a un cristianesimo
delle chiese. Alcuni inviti ad essere missionari sembrano, ancora una volta,
sottintendere il desiderio di ricondurre tutti o quasi negli spazi ecclesiali.
Inoltre forse non si vuole vedere che non è così facile di punto in
bianco, da un giorno all'altro chiedere ai fedeli di diventare missionari,
quando per secoli abbiamo avocato quasi esclusivamente ai preti e ai religiosi,
ai catechisti il compito di trasmettere la fede. provocando, forse non
volutamente, una sorta di espropriazione delle famiglie. Dopo secoli di
clericalizzazione la rinascita non potrà essere che lenta e paziente. Ma non
sarà rinascita se non si opererà un cambio di mentalità, se non nascerà un
nuovo modo di immaginare la chiesa. Nel caso contrario gli inviti dall'alto
rimarranno puramente esercitazioni declamatorie.
Sempre nella Lettera pastorale si fa riferimento al "vissuto delle
nostre comunità parrocchiali": QUELLO ATTUALE E' IN QUALCHE MODO
MISSIONARIO? SU COSA BISOGNEREBBE INSISTERE MAGGIORMENTE?
Le nostre parrocchie si trovano per lo più appesantite da programmi e
adempimenti che tolgono loro il respiro e l'arte di immaginare. A cosa si
aggiunge cosa e l'organizzazione, il fare, a volte sollecitato dall'alto,
diventa sempre più assillante con il rischio di una asfissia pastorale. Se si
avesse il coraggio di una lucida verifica, ci si accorgerebbe che la
"machina organizzativa" per lo più è a servizio di coloro che
stazionano all'interno della comunità ecclesiale.
In tempi di urgenza per l'evangelo spesso siamo a discutere di ciò che è
periferico o marginale, quando in questione è la fede: "quando il Figlio
dell'uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?". Occorre il
coraggio di sfrondare e di dire l'unum che salva, Gesù e il suo vangelo. Al
contrario si parla sempre più di tutto, poco di Gesù. E quando si parla di
Gesù, quasi se ne parla come di un fantasma, di un nome. Non è il Gesù dei
vangeli che faceva sussultare, ardere il cuore. Si parla troppo di chiesa, di
cose ecclesiastiche, poco di Gesù.
Potremmo anche dire che la parrocchia potrà essere efficacemente
missionaria se sarà una parrocchia accogliente e in ascolto
L' essere testimoni è stato ed è ancora spesso interpretato come il dire
parole della fede.Il problema sembra essere che cosa devo dire agli altri.
Stiamo pagando una deriva verbale della parola testimonianza. Nel vangelo, di
Gesù è scritto che "accogliendo parlava loro del regno di Dio". In
quel gesto dell'accogliere era evocato senza pericoli di fraintendimento il
regno di Dio.Il regno di Dio lo diciamo in primo luogo con l'accoglienza.
Perdiamo ore a discutere di messaggi da dare. Meno, molto meno, ci
interroghiamo sul primo segno dell'evangelo, il gesto dell'accoglienza.
L'accoglienza e l'ascolto. Gli uomini e le donne del nostro tempo, come
quelli di ieri forse, danno credito quasi esclusivamente a chi ha saputo
ascoltare l'interrogazione che batte nel profondo del loro cuore, non a coloro
che parlano prima di aver ascoltato. Il Card; Carlo Maria Martini, tra i suoi
sogni sulla chiesa, custodiva il sogno di una chiesa che parla dopo aver
ascoltato, solo dopo aver ascoltato.
E' richiesta una particolare attenzione alla celebrazione della messa
domenicale e si parla di "domeniche a tempo pieno": COME SI PUO'
ESSERE MISSIONARI, SENZA IL RISCHIO DI UN RIPIEGAMENTO SU SE STESSI?
Porre il problema della Messa domenicale potrebbe a prima vista apparire
come un riposizionamento in uno spazio interno e non di frontiera, una
considerazione affrettata, questa, che nasce dalla riduzione dell'Eucaristia a
un rito. Avviato e concluso nella celebrazione.
Annalena Tonelli, la volontaria laica assassinata il 5 ottobre scorso in
Somalia,diceva: "La vita mi ha insegnato (.) che quell'Eucarestia
che scandalizza gli atei e le altre fedi racchiude un messaggio rivoluzionario:
"Questo è il mio corpo, fatto pane, perché anche tu ti faccia pane sulla
mensa degli uomini, perché se tu non ti fai pane non mangi un pane che ti
salva, ma mangi la tua condanna". Eucaristia e testimonianza del vangelo e
dunque dell'amore vanno insieme.
D'altro canto oggi più di ieri succede che alle nostre celebrazioni più di uno
si affacci, quasi indotto da una curiosità. Questi silenziosi ricercatori di
senso trovano un modo di celebrare che tiene conto della loro ricerca o che la mortifica,
sentono un clima di accoglienza o di condanna, di esclusione? Che cosa
significa per la parrocchia d'oggi lo scandalizzare buono del vangelo, lo
scandalizzare di Gesù che mangiava con i pubblicani e i peccatori?
Quanto alla proposta delle domeniche parrocchiali, penso che vada
verificata attentamente e criticamente sul campo, se non vogliamo che l'esito, sia pure non desiderato, sia quello
di restringerci ancora una volta con i soliti "addetti ai lavori".
Sono parroco in una grande città e vedo il rischio di iniziative che non
tengono conto di ciò che effettivamente avviene nelle case, dei ritmi pesanti
che affaticano la vita, del più che comprensibile bisogno di aria e di sole,
dell'anelito a un tempo non più soffocato da orari e programmi. E se fossero
domeniche missionarie quelle passate incontrando amici, le domeniche nei
giardini, nelle piazze, nelle case?
Nella 5a tappa del Piano Pastorale si parla della "richiesta dei
Sacramenti": QUAL E' LA SUA ESPERIENZA IN MERITO?
La richiesta dei sacramenti oggi nelle nostre parrocchie potrebbe essere
letta come un'opportunità affascinante per il vangelo. E' infatti un'occasione
privilegiata in cui si affacciano con una domanda persone che da lungo tempo
non hanno più consuetudine con gli ambienti di chiesa. Si affacciano con una
domanda e che cosa trovano? Un sussulto di gioia o l'elenco estenuante di una
pletora di adempimenti? Trovano il volto di Gesù che scopriva segni del regno
di Dio nei paesi della lontananza o trovano uomini e donne di chiesa facili a
giudicare? Viviamo, in momenti così delicati e decisivi, la consapevolezza, che
lo Spirito, come ci è stata sapientemente insegnato, ci ha preceduto proprio in
quelle storie che stiamo per ascoltare e ha operato prima che noi ci
affacciassimo? Oppure abbiamo l'aria irrespirabile di coloro che hanno la
presunzione di incrociare vasi vuoti da riempire? Non c'è forse già una
bellezza da riconoscere e un seme da accogliere in un bambino che nasce, in due
ragazzi che si vogliono dire e dare amore per sempre?
Nella 6a tappa si fa riferimento alla "vita quotidiana negli ambienti
sociali": COME SONO ATTUALMENTE LE PARROCCHIE E COME SI PUO' "FAR
CRESCERE LA QUALITA' UMANA"?
Quale ruolo può svolgere la comunità parrocchiale nel formare all'impegno
sociale e politico e in particolare per sensibilizzare i giovani e i 30/40enni
su questa strada?
Anche per quanto riguarda la sensibilizzazione all'impegno socio-politico
la parrocchia accusa un disagio. A volte il semplice mettere a confronto alcune
scelte politiche con le pagine del vangelo fa scattare l'accusa di invasione
indebita di campo. Di qui una certa afasia. Afasia e assenza fanno sì che oggi
vengano passate sotto silenzio, o quasi, operazioni che, per un minimo di
fedeltà al vangelo e all'uomo, dovrebbero farci insorgere. Documenti come
"Educare alla legalità" sembrano ignorati in alto e in basso.
D'altro canto spesso, sempre più spesso, assistiamo all'uso strumentale e
perverso di parole come "valori cristiani", "difesa della fede
cristiana" per coprire interessi che non hanno nulla da spartire con gli
orizzonti del vangelo, nel totale, o quasi, silenzio e questo non puo non avere
contraccolpi devastanti nella fiducia di chi vorrebbe impegnarsi.
Forse la parrocchia, sia pur a fatica, dovrebbe, contro ogni pessimismo,
ritornare ad essere luogo in cui confrontare alla luce del vangelo le scelte
politiche e sociali, nell'attesa che al suo interno venga meno la disaffezione
provocata dall'ipocrisia e dalla declamazione retorica delle parole e si inizi
ad immaginare orizzonti nuovi e vie nuove.
(da “In Dialogo” , periodico dell’Azione Cattolica della diocesi di
Milano, gennaio-febbraio 2004)