Lo scontro sulla scuola privata

Editoriale de "Il Foglio" di Torino, novembre 1999

 

Il dibattito intorno alla cosiddetta parità scolastica trascura e nasconde alcuni importanti nodi del problema educativo e ripresenta sotto mentite spoglie la vecchia questione del ritorno alla cristianità.

Proviamo a partire da quest'ultimo tema, tipicamente ecclesiastico, per risalire rapidamente agli altri di maggior rilievo sociale e civile.

Se si esclude il cardinal Biffi, nessuno ha oggi il coraggio nella chiesa di sostenere in modo esplicito l'opportunità del ritorno ad una società che nelle leggi, nei costumi e nelle istituzioni, sia diretta espressione del cattolicesimo. Molti sono, invece, pronti a sostenere che, finito il tempo di un'Italia confessionalmente orientata, resta il dovere di difendere l'incancellabile eredità culturale e storica del cattolicesimo stesso. Il che diventa occasione di una vera e propria proposta di restaurazione della cristianità, quando si traduce, non nel riconoscimento della presenza nella cultura laica nazionale di profonde e vitali radici cristiane e nella richiesta di una loro adeguata valorizzazione, ma nella rivendicazione del dovere dello stato di sostenere finanziariamente scuole confessionali, che di tale eredità si presentano come uniche e legittime continuatrici a beneficio dell'intera società.

Avremo modo in altre occasioni di sottolineare come dietro la linea ecclesiologica di Ruini e compagni, focalizzata sul recupero delle valenze culturali del cristianesimo più che su quelle evangeliche, passi una visione restauratrice e neocostantiniana del cattolicesimo. Ci basti qui segnalare che tale visione ha come suo naturale corollario la difesa della scuola e della famiglia cattolica come patrimonio confessionale pubblico.

Col che non si vuole negare che esista un problema di adeguato sostegno statale a tutte quelle iniziative culturali ed educative che hanno direttamente o indirettamente una qualche ricaduta sulla vita di tutti i cittadini, ma che, così come è oggi posto dai vertici ecclesiastici, questo problema è posto male e in modo chiaramente strumentale.

Innanzitutto perchè non lo si colloca in un vero orizzonte di ricerca di nuove e più efficaci forme educative, ma lungo una linea di estrema ed affannosa difesa delle istituzioni scolastiche confessionali esistenti. In questo senso, però, va subito detto che questo limite non è proprio ed esclusivo dei sostenitori della scuola privata. Ne soffrono vistosamente anche quelli della scuola pubblica in evidente difficoltà di fronte ai segnali della sua crisi.

Non è certo per rispondere alla crescente massa di nuove iscrizioni alle scuole private, confessionali e no, che è ultimamente esplosa una questione che si trascinava stancamente da decenni .Se mai è perchè tali iscrizioni sono paurosamente diminuite e scuole private di secolare tradizione hanno cominciato a chiudere i battenti . Sostenere che la cosiddetta parità scolastica è richiesta dagli utenti è semplicemente falso, in quanto se mai gli utenti dimostrano con le loro scelte di avere bisogno di una sempre più capillare, articolata e qualificata presenza della scuola pubblica.

La questione della parità scolastica dovrebbe, quindi, più correttamente definirsi come questione del diritto allo studio e venire interamente reimpostata a partire da questa prospettiva.

Il problema non è, infatti, quello di consentire a tutti, con pubblici finanziamenti, di aprire scuole per mettere a frutto la propria vocazione educativa, ma di rendere possibile a tutti coloro che hanno esigenze di formazione culturale e professionale di trovare sul territorio il tipo di scuola rispondente ai loro bisogni e di trovarla a costi accessibili, anzi praticamente gratuita.

Questo richiede ci siano scuole di orientamento e di specializzazione diversa? Si può realizzare solo se, chi ha vocazione educativa può esercitare tale attitudine con l'aiuto pubblico? Sarà cura dello stato favorirlo con una legislazione scolastica capace di adeguarsi ai tempi e alle trasformazioni sociali e, se la scuola pubblica come è oggi organizzata non risponde più al bisogno e deve riarticolarsi, lasciando maggior spazio ad iniziative private, venga adeguatamente riformata. Come scuola di tutti, però. Non come scuola di parte e di parti.

Stupisce, da questo punto di vista, la latitanza e il silenzio dei tradizionali difensori della laicità e della pubblicità dell'educazione. Sembra che in nome di un liberismo totalmente destoricizzato, privo di radici e di memoria, essi abbiano completamente dimenticato l'importanza per la formazione culturale e educativa degli italiani, che nell'ultimo secolo ha compiuto veri e propri progressi quantitativi e qualitativi, della rivoluzione rappresentata dalla statalizzazione della scuola. Quel modello centralizzato e fortemente dirigista è certamente superato, ma non perchè la privatizzazione possa in questo campo promettere qualcosa di meglio.

In ogni caso, poi si deve tenere presente che privatizzazione della scuola può voler dire da noi solo sua confessionalizzazione, perchè non esistono forme private capaci di aggregazione comunitaria significativa alternative alla chiesa cattolica. Al piò possiamo pensare a qualche singola istituzione, formativa sostenuta da altri nuclei religiosi, a sporadici centri confindustriali di specializzazione professionale e a organizzazioni speculative per lo sfruttamento sistematico dei bocciati.

Le scuole cattoliche, come tutte le scuole confessionali delle altre comunità religiose tradizionali e nuove, che si autodirigono e autofinanziano, non vanno certo combattute. Nei limiti del possibile è anzi bene che vengano integrate e aiutate, senza che però cessi da parte di tutti la convinzione che solo una reale riforma comunitaria e pluralista dell'intero sistema scolastico pubblico è in grado di rispondere alle esigenze formative dei giovani e di tutti coloro che, sempre più numerosi, sentono il bisogno di un forte sostegno alla riqualificazione professionale e all' aggiornamento culturale.




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