Una proposta di "Noi siamo Chiesa" per la Diocesi ambrosiana in previsione della conclusione del ministero dell’arcivescovo
Aspettare in silenzio il successore ?
La conclusione nel prossimo mese di marzo del ministero episcopale del nostro arcivescovo Card. Dionigi Tettamanzi pone il problema della sua successione. E’ una grande questione ecclesiale e anche civile. All’inizio del terzo millennio la situazione interna ed internazionale è oggettivamente difficile e la Chiesa è alla vigilia di inevitabili cambiamenti. La nostra città poi è al centro delle contraddizioni politiche e sociali del paese.
Cosa fare? Aspettare che il Papa, con una cerchia molto ristretta di suoi collaboratori, decida senza veri interlocutori ed intanto partecipare al chiacchiericcio, anche legittimo, diffuso nella Chiesa ambrosiana in questi tempi sul possibile successore? Oppure affrontare uno dei problemi di fondo della Chiesa cattolica che è quello della nomina dei suoi vescovi?
Il movimento "Noi Siamo Chiesa" nel primo dei cinque punti del suo documento fondativo del 1995 "Appello dal popolo di Dio" aveva posto la necessità del "reale coinvolgimento di ogni Chiesa locale (Diocesi) nella scelta del proprio Vescovo" richiamandosi all’antico principio canonistico contenuto nel Decretum Gratiani: "quod omnes tangit ab omnibus tractari et approbari debet" ("ciò che interessa tutti da tutti deve essere discusso ed approvato").
Questo coinvolgimento del popolo di Dio nella scelta del Vescovo non deve essere-dice l’Appello- un atto isolato all’interno di una struttura fortemente gerarchica, ma la "conseguenza dell’istituzione di strutture di comunicazione e di dialogo permanenti, a livello diocesano, nazionale ed internazionale dove le varie componenti del popolo di Dio, senza preclusioni, possano discernere, in libertà ed in ascolto della parola del Signore, tutti i problemi che riguardano la Chiesa". Quindi ci sembra giusto riproporre alcune delle riflessioni che già facemmo quando, nel 2002, diede le dimissioni il Card. Martini. I problemi, da allora, non sono molto cambiati. Il metodo della nomina è poi rimasto identico.
Il sistema attuale
Il sistema attualmente in vigore è relativamente recente nella storia della Chiesa. La formalizzazione dell’esclusivo potere di nomina dei vescovi da parte del Papa ("eos libere nominat Romanus Pontifex") è avvenuto con il Codice di diritto canonico del 1917 (can.329 § 2). Una norma così tassativa non era mai esistita in passato; essa è la estrema conseguenza dell’orientamento prevalso nel 1870 al Concilio Vaticano I.
L’ecclesiologia del Concilio Vaticano II non ha affrontato direttamente il problema della nomina dei Vescovi o, meglio, si è limitato a sottolineare la necessità che l’autorità civile non interferisca. Ha lasciato aperto il problema della partecipazione del laicato e del clero alla designazione. Però l’affermazione conciliare di una Chiesa carismatica, prima di tutto popolo di Dio, organizzata in modo orizzontale prima che verticale, apriva la strada a una riconsiderazione della situazione.
L’orientamento prevalso a Roma ha “congelato” la situazione precedente e quindi in direzione diversa, se non opposta, allo spirito dell’ultimo Concilio. Il canone 377 § 1 del nuovo Codice del 1983 ha sostanzialmente riproposto il dettato del codice precedente. Altri documenti pontifici avevano già confermato questa linea, solo dando qualche indicazione sulle modalità di segnalazione a Roma delle liste dei candidati ma confermando enfaticamente che esse non sono per nulla vincolanti e che le nomine restano sempre di libera e piena competenza del romano pontefice (1).
Troppe nomine discutibili…..
Eppure, negli anni ’70 vi furono tentativi per avviare una prassi di partecipazione nella nomina dei Vescovi ma essi non ebbero successo. Troppe nomine portarono a frustrazioni e a delusioni nei confronti della Chiesa. Valga per tutte la vicenda delle nomine nella Chiesa olandese (2), in quella tedesca (3) ed in quella svizzera (4). Recentemente altre designazioni hanno suscitato scandalo, anche costringendo a retromarce (per esempio quelle per la diocesi di Varsavia e di Linz) e, in generale, l’orientamento unilaterale di segno conservatore dei due ultimi pontefici su questa questione, ha contribuito a suscitare in molte diocesi tensioni e cadute di credibilità nei confronti della Chiesa. Dove la coscienza ecclesiale è più vigile e diffusa " le conseguenze di queste nomine sono catastrofiche: la fiducia nella Chiesa di molti fedeli si sente ancora una volta defraudata; nella Chiesa, proprio tra i cattolici più attivi, aumenta il malessere. La Chiesa universale si sente ferita" (5). Altri numerosi casi si potrebbero citare in particolare relativi all’America latina (tra questi quello dell’Arcivescovo di Lima) dove la teologia della liberazione è stata ostacolata ricorrendo spesso a nomine ad essa ostili (6).
Il sistema gestito in modo autoritario attraverso i nunzi apostolici favorisce il conformismo. La selezione molto spesso avviene favorendo i candidati più fedeli a Roma dal punto di vista disciplinare e dottrinale e non quelli più pastoralmente capaci, in sintonia con l’ispirazione conciliare e partecipi della cultura e della realtà ecclesiale locale. A questo scopo è predisposta la procedura di selezione mediante più che discutibili questionari da compilare sotto segreto da parte di personale ecclesiastico del quale non si conoscono i criteri di selezione. Il Card. Martini nell’ intervento al Sinodo dei Vescovi del 2001 ha posto esplicitamente il problema con parole inequivoche (7). Sono fatti ben noti. Nel sinodo del 2001, convocato proprio sul ruolo del vescovo (“Il vescovo servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo”) il problema del rapporto tra le Chiese locali e Roma è stato il tema dominante, le tensioni sono state forti ma tutto è rimasto fermo. Il problema della nomina dei Vescovi è connesso a quello della struttura gerarchica e non comunitaria della Chiesa cattolica.
…e i danni nei rapporti ecumenici
I limiti di una decisione solo individuale e la mancanza di collegialità nella decisione (oppure una collegialità di pochi, con decisioni non motivate, gestite in segreto magari espressione di veri e propri gruppi di potere ecclesiastico) sono stati analizzati, fin dal secolo scorso, da Antonio Rosmini, teologo di insospettabile fedeltà alla Chiesa (8).
Nei rapporti ecumenici, soprattutto con le Chiese nate dalla Riforma, il problema centrale non è solo quello del ministero petrino. C’è anche il problema di tutta l’organizzazione gerarchica anti-comunionale e anti-collegiale della Chiesa cattolica, a partire da quello della nomina dei Vescovi. Senza un modello ed una prassi diversa l’ecumenismo, dopo molti passi in avanti, rischia di fermarsi o anche di arretrare.
Il Gruppo di Dombes, che in Francia ha svolto per molto tempo una preziosa ricerca interconfessionale, nel 1976 ha pubblicato un importante documento (9) in cui si rileva che il problema dell’episcopato non deve essere affrontato soltanto sul piano dottrinale, in quanto può essere decisivo il modo concreto del suo funzionamento (vedi n.8 del documento); fra le proposte che esso avanza per la Chiesa cattolica (n.8 e n. 58) indica quella di un coinvolgimento di tutto il popolo di Dio nella scelta dei Vescovi (10).
Il Sinodo dei Vescovi e la nomina del Vescovo
Ci saremmo aspettati che il citato Sinodo, tra i tanti problemi relativi alla figura del Vescovo, affrontasse anche quello della sua nomina. Pare invece che l’argomento sia stato trascurato. Nulla si dice nel documento preparatorio (il c.d. Instrumentum laboris); poco pare sia stato detto durante il dibattito (11) (almeno dalle scarse notizie trapelate), nulla si dice nel Messaggio finale, nulla nelle "Propositiones" (12) indirizzate al Papa e nella lunghissima Esortazione postsinodale Pastores gregis.
Questo imbarazzante silenzio del Sinodo, in cui pure si sono ripetuti vivaci contrasti sul rapporto tra Chiese locali e Curia romana, testimonia non che il problema non esista ma che il Sinodo è uno strumento di collegialità incapace di intervenire sulla struttura della Chiesa e sulla sua riforma (13). La sua limitata rappresentatività e l’irrilevanza delle sue conclusioni consultive hanno portato alla convinzione, ormai largamente diffusa, che le sue sessioni servano solo come occasione di incontro tra vescovi, anche se interessante e per certi versi utile. Ogni altra proposta si è arenata di fronte al muro di gomma della Curia vaticana ed alla permanente linea conservatrice di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI nella gestione interna della Chiesa (14).
Dobbiamo accettare passivamente questo immobilismo? Tutto continuerà come prima nella prossima nomina del nostro nuovo vescovo? Eppure anche la storia della nostra Diocesi ci dà segnali importanti. Basti ricordare che i due patroni della Diocesi, i santi Ambrogio e Carlo, sono diventati vescovi di Milano in modi del tutto inconcepibili per il sistema ecclesiastico di oggi: S.Ambrogio è stato imposto dal popolo; S. Carlo è stato nominato vescovo della diocesi di Milano a 27 anni dallo zio papa Pio IV. Dunque si può cambiare. Nulla c’è di immutabile nella Chiesa se non la fede in Cristo.
La nomina dei vescovi nella storia della Chiesa cattolica
Gli studiosi di storia della Chiesa, senza distinzioni, confermano che la designazione dei vescovi da parte della comunità dei credenti nell’evangelo è stata costante nella Chiesa per secoli. Nella nomina del Vescovo intervenivano, in forme diverse, il clero e il popolo ("clerus populusque") e i vescovi vicini alla diocesi interessata. Solo a partire dal XIII il papato si è andato appropriando del potere di nominare direttamente i vescovi o di accettare la designazione fatta dal potere politico.
L’intervento del Papa nelle nomine ed il conflitto secolare con re o principi fa parte della storia tout court (e non solo quindi della storia della Chiesa). Adriano VI, il papa riformatore, che per primo si trovò a confrontarsi con Lutero, accolse nel 1523 tra le proposte di riforma della Chiesa quella dell’elezione dei Vescovi fatta con voto segreto e secondo coscienza (15). Questo proposito non ebbe seguito.
Al Concilio di Trento lo scontro per reintrodurre l’antica consuetudine della presenza attiva del popolo nella designazione dei vescovi fu lungo e vivace (16). La posizione episcopalista (che voleva tornare alla pratica della Chiesa antica) rimase in minoranza a causa dello "spirito dei tempi", dominato dall’assolutismo degli stati e dal timore dei protestanti. E tuttavia il testo approvato al concilio di Trento fu più blando di quello tassativo contenuto nel Codice di diritto canonico del 1917.
Una prassi di origine apostolica che consentiva una maggiore comunione tra vescovo e popolo fu così progressivamente e completamente abbandonata. Negli ultimi secoli le deroghe alla nomina pontificia sono state tutte eccezioni in pejus, dato che il papato romano ha permesso per secoli che fossero i sovrani degli stati "cattolici" (Francia, Austria, Spagna e Portogallo e colonie) a scegliere i vescovi, limitandosi poi ad una pura ratifica. Quanto era consentito al potere civile era negato ai credenti nell’Evangelo che partecipavano alla vita della Chiesa.
Antonio Rosmini riapre il problema nel diciannovesimo secolo
Come è ben noto, chi ha ripreso a parlare di designazione del vescovo da parte del clero e del popolo, con forti argomentazioni e fornendo una ricca documentazione, è stato Antonio Rosmini. Nel suo celebre "Delle cinque piaghe della Santa Chiesa" (quarta piaga) ed in tre lettere successive si parla della "nomina dei vescovi abbandonata al potere laicale".
Rosmini non si occupa solo di stigmatizzare l’intervento dei re e del potere civile: egli ripercorre con ricchezza di citazioni la storia dei primi secoli ed afferma:
"I Santi Padri i quali insegnarono che quella parte che ha il popolo nell’elezione dei suoi Pastori procede dalla legge divina, ne trassero le prove 1) dalla legge antica; 2) dagli Atti apostolici che ci narrano l’elezione di S.Mattia, di S.Timoteo, e dei sette Diaconi; 3) da alcuni luoghi delle lettere di S.Paolo; 4) dalle ragioni intrinseche procedenti dalla dottrina di Cristo, cioè dalla dolcezza e ragionevolezza del governo ecclesiastico, dalla dignità de’ Cristiani, dal fine dell’ecclesiastico ministero, dalla sicurezza maggiore di un giudizio pubblico ecc..; 5) dall’immediata tradizione non iscritta di Cristo e degli Apostoli" (17).
Per Rosmini la partecipazione del popolo alla elezione del vescovo è di diritto divino costitutivo. Questa affermazione fu aspramente contestata dalla Curia romana nell’autunno del 1848 e fu una delle premesse alla sua caduta in disgrazia presso Pio IX . Il Rosmini, di fronte a questi violenti attacchi, fece allora la distinzione tra diritto divino costitutivo e diritto divino morale (se manca la partecipazione del popolo o se interviene un potere civile la nomina non è invalida). Ma, esauritesi le cause che hanno sospeso l’esercizio del diritto da parte del popolo di designare il vescovo, è doveroso che si ritorni alla situazione originaria.
Rosmini sostiene anche che "il Clero ed il popolo può essere chiamato a concorrere alle elezioni vescovili con diversi procedimenti, e il definire quali siano i più opportuni dipende in gran parte dalle circostanze differenti in cui si trovano le varie provincie" (18).
Con il Vaticano II nasce una nuova ecclesiologia
Dopo il Vaticano II l’istanza comunionale rinacque anche nella elaborazione teologica e ne sono testimonianza, tra l’altro, i tanti fascicoli monografici di "Concilium" (si veda la bibliografia in appendice). Si può leggere in particolare lo studio di Hervé-Marie Legrand (19) sul rapporto tra "il vescovo che è nella Chiesa e la Chiesa che è nel suo vescovo" (secondo la formula di S.Cipriano). Si tratta – egli dice – di "una ecclesiologia in cui la partecipazione di una chiesa alla scelta del vescovo appare come un’esigenza di struttura. Questa partecipazione non è una venerabile usanza tra tante altrettanto legittime. Togliere questa pietra all’edificio dell’ecclesiologia autenticamente cattolica e tradizionale significa minarlo gravemente. Quando la centralizzazione amministrativa sostituisce l’istituzione originale, allora non si realizza più un’ecclesiologia di comunione, tra le chiese ed all’interno della chiesa locale".
Le nuove prospettive aperte dal Vaticano II e sviluppatesi anche in seguito ai numerosi dialoghi interconfessionali vanno nella direzione di un’ecclesiologia di comunione e di corresponsabilità nella gestione della comunità dei credenti (20).
Pensiamo quindi che non si possa rinunciare al carisma del popolo di Dio nella designazione del proprio vescovo ma, con ciò, non si può pensare di esaurire ogni esigenza di democrazia e di comunione. Il progetto ultimo a cui pensiamo è quello di una organizzazione della comunità dei credenti di tipo sinodale che, ai vari livelli, preveda organismi collegiali con poteri non solo consultivi. Un vescovo eletto dal clero e dal popolo ma dotato, come ora, di ogni potere non sarebbe una soluzione soddisfacente. Riteniamo però che l’andare nella direzione di un vescovo che sia diretta espressione del popolo di Dio sia comunque un fatto innovativo in questo momento e che indichi la direzione da seguire anche per le altre riforme.
Perché non ricercare nuove strade ?
Cosa impedisce ora di aprire le finestre? di ascoltare i carismi diffusi? di percorrere nuove strade? Per secoli la vita interna della chiesa è stata un’isola "democratica" in un mondo in cui il potere di Cesare era organizzato con criteri ben lontani dal clima di corresponsabilità e di fraternità che si viveva in molte comunità cristiane. Adesso la situazione si è completamente rovesciata. Inoltre non esiste praticamente più (se non forse in Cina) l’invadenza del potere civile nella nomina dei vescovi a giustificare un intervento così diretto ed esclusivo da parte di Roma per difendere la Chiesa locale dal giuridizionalismo.
Particolarmente dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989 e la crollo dei regimi dittatoriali in America Latina si sono quasi ovunque diffusi nel mondo sistemi democratici o che comunque praticano o dicono di voler praticare elementi di democrazia. La chiesa cattolica ha invece mantenuto ed accentuato nell’ultimo secolo e mezzo un sistema accentrato ed autoritario di cui la nomina dei vescovi è solo un aspetto (il controllo si estende sui seminari e le università, sulla ricerca teologica, sulla liturgia, sul clero ecc…).
Così Giuseppe Alberigo stigmatizzava la situazione: "Appare sconcertante che l’affermazione della democrazia politica in luogo dei sistemi autocratici nelle aree dove il cattolicesimo era presente non abbia indotto il pontificato romano ad adeguamenti, come era avvenuto in occasione di altri precedenti grandi mutamenti culturali. Almeno sino agli anni quaranta del XX secolo si assiste ad una aspra polemica nei confronti del metodo democratico, frequentemente confuso con la secolarizzazione. Anzi nei confronti di qualsiasi ipotesi di democratizzazione della Chiesa si oppone un intransigente appello al "diritto divino" della struttura ecclesiastica" (21).
La "democrazia" esiste già nella Chiesa cattolica
Nella chiesa cattolica vige un doppio sistema: uno rigido, centralizzato, autoritario e maschilista (S. Sede-diocesi-parrocchia), ed un’ altro più flessibile, più collegiale, meno anti-sessista, rappresentato dagli istituti di vita consacrata, che si autogestiscono secondo le proprie tante e diverse costituzioni interne (con ratifica a posteriori da parte della S. Sede che interviene in casi eccezionali).
Vi è poi l’esperienza delle Chiese cattoliche di rito orientale il cui modello sinodale, oltre a rappresentare un possibile percorso per un nuovo rapporto con l’ortodossia, è in evidente contrasto con quello della chiesa di rito latino ed è fonte di permanenti tensioni con la Curia romana come testimoniano anche gli interventi dei padri sinodali appartenenti a queste Chiese in tutti i Sinodi (22).
Nella chiesa esistono da tempo collaudati sistemi di autogoverno. Riteniamo che esistano i presupposti di ordine dottrinale e pastorale perché si pensi finalmente ad una strada diversa per la struttura S.Sede-diocesi-parrocchia e che sia necessario iniziare a percorrerla fin da oggi. Bisogna rimuovere il clima di silenzio, di attesa e di accettazione passiva della situazione che caratterizza quella parte della Chiesa che, dopo il Concilio, si è proposta di seguire il Cristo, oltre che con la preghiera e le opere, anche con la testimonianza del modo di essere e di organizzare la comunità di credenti.
Responsabilizzare il popolo di Dio nella Diocesi ambrosiana
Chiedere una responsabilizzazione del popolo di Dio della Diocesi di Milano nella scelta del nuovo vescovo sarebbe, a nostro giudizio, poca cosa se essa si limitasse ad una qualche consultazione dei due Consigli diocesani, quello presbiterale e quello diocesano perché indichino l’identikit del nuovo vescovo. Ci sembra che la designazione del nuovo vescovo debba essere l’occasione per un bilancio, per un ripensamento, per un momento di responsabilità collettiva, per prendere atto che nella nostra Diocesi, soprattutto negli ultimi trenta anni, si sono sviluppati fenomeni culturali e sociali lontani dai valori evangelici. Essi sono : la corruzione nella gestione della cosa pubblica; l’indifferenza diffusa rispetto ai problemi della legalità; il corporativismo e l’individualismo ostile agli immigrati e ad ogni idea di solidarietà nazionale; il culto esclusivo del denaro, dell’immagine e del successo (23) che ha, alla propria base, una concezione materialista della vita.
Grandi sono anche i problemi specifici che la Chiesa di S.Ambrogio e di S.Carlo ha di fronte: le sue eccessive dimensioni; il mediocre funzionamento degli organismi consultivi parrocchiali e diocesani (consigli pastorali); la gestione di consistenti risorse economiche (sono essi sempre coerenti con l’evangelico "gratis accepistis gratis date" di Mt 10,8 ?); la presenza di movimenti che si organizzano in modo separato e che sono diffidenti nei confronti delle normali attività parrocchiali e diocesane; la presenza del quotidiano cattolico nazionale l’"Avvenire" che ha un’unica linea politica ed ecclesiale e che ignora le diverse posizioni presenti nel mondo cattolico; l’Università Cattolica, la cui funzione di stimolo e di ricerca sulle grandi questioni della fede di fronte alla secolarizzazione, alla scienza ed ai problemi Nord-Sud ci sembra discontinua e sicuramente insufficiente; la scarsa efficacia e presenza dei cattolici democratici in politica; il conformismo sulle questioni pastorali per cui posizioni critiche e propositive sono rare; l’omiletica domenicale spesso del tutto mediocre; l’efficientismo nelle strutture e nelle attività che, in alcune parrocchie, forse è fine a sé stesso.
La nostra Diocesi però è anche ricca di tanti fermenti evangelici: i rapporti ecumenici sono positivi, l’intervento sociale di base è consistente, la meditazione diretta della parola di Dio si è diffusa, i settori del non-profit e della cooperazione internazionale sono, a maggioranza, animati da cristiani.
Gli interrogativi sono anche altri: il 47mo Sinodo diocesano conclusosi nel 1994 ha ancora una qualche importanza nella vita della Diocesi? O è passato lasciando poche tracce prevedendo tutto minuziosamente per la vita ecclesiastica nelle sue 611 Costituzioni (24) e parlando ben poco dei problemi di fondo? Perché il Sinodo tra le tante cose di cui si è occupato nulla ha detto sul ruolo della donna nella Chiesa?
Concrete proposte per la designazione del vescovo
La proposta di modificare il sistema di nomina dei vescovi ruota attorno alla necessità di creare consenso e comunione tra i credenti con la ratifica da parte del vescovo di Roma della guida che la chiesa locale ha individuato.Nel caso di conflitto o di stallo nella designazione del nuovo vescovo il Papa avrebbe il compito di arbitrare e di risolvere le tensioni. I modi concreti per giungere a questo consenso possono essere diversi, come lo sono stati nel primo millennio.
Rosmini propone che si debba:
"restituire al pieno suo atto la gran massima di S.Leone Magno: "Qui praefuturus est omnibus, ab omnibus eligatur"(25); e quindi che all’elezione del vescovo debbano concorrere 1) la plebe cristiana e pia della diocesi, 2) il Clero della diocesi stessa, 3) i Vescovi comprovinciali presieduti dal loro Metropolitano; 4) il Romano Pontefice come giudice e definitore supremo" (26).
Casiano Floristàn indica (27) un percorso simile. Ci sono proposte lontane dall’ ipotesi di una generale estensione alla nomina dei vescovi degli istituti tipici della democrazia rappresentativa delle istituzioni civili. Ci sembrano percorsi forse non definitivi ma già da ora praticabili e segno di ricerca della comunione nella comunità ecclesiale.
Una proposta per la nostra Diocesi
In attesa di soluzioni nuove e generalizzate, che “Noi Siamo Chiesa” auspica siano assunte dalla Chiesa universale nell’ambito di una riforma di tutta la sua struttura, ci sembra possibile ed auspicabile che nella diocesi si concordi un percorso ispirato al Vaticano II. Esso, per la limpidità e per lo spirito di fraternità che esplicitamente si propone dovrebbe essere visto in modo non ostile dalla Conferenza episcopale italiana. L’itinerario che ipotizziamo dovrebbe essere promosso in primis dall’arcivescovo Tettamanzi con i suoi collaboratori. La nostra proposta è la seguente:
1) Un gruppo informale di lavoro coordinato dall’arcivescovo e composto da un limitato e paritetico numero di rappresentanti del Consiglio presbiterale diocesano e del Consiglio pastorale diocesano dovrebbe elaborare un testo che indichi, anche presentando diverse opzioni, le questioni che si pongono nel momento della designazione del nuovo vescovo, soprattutto quelle relative al suo profilo ed ai principali problemi della diocesi. Questo gruppo esprima la sua opinione se, nella consultazione di cui al punto successivo, debbano essere anche discussi ed indicati dei nomi di candidati.
2) Successivamente, il Consiglio pastorale, il Consiglio presbiterale e tutti i Consigli pastorali parrocchiali che lo vogliano (e comunque tutti i Consigli pastorali decanali) esprimano le proprie opinioni sul testo proposto mediante appositi incontri ed anche esprimendo opzioni diverse. Ugualmente associazioni, istituti di vita consacrata, movimenti di base, grandi o piccoli, oltre che singoli fedeli potranno fare pervenire le loro opinioni.
Un significato particolare dovranno avere i punti di vista e gli auspici che siano espressi dalle altre chiese cristiane La consultazione interna alla Chiesa potrà essere arricchita dalle opinioni che si manifestino, anche sollecitate, da parte di quelle realtà della società civile che si sentano coinvolte nelle problematiche religiose e della presenza, anche sociale, della Chiesa a Milano.
3) Il gruppo di lavoro presieduto dall’arcivescovo raccolga la consultazione fatta in un testo conclusivo, anche esprimendo opzioni diverse, sulla base del quale l’Arcivescovo interloquirà con i vescovi della Conferenza Episcopale Lombarda e poi direttamente con il Papa per la nomina del nuovo Arcivescovo. Questo è il momento in cui si possono indicare dei nomi raccolti durante la consultazione.
Gli incontri dei vari consigli dovrebbero essere introdotti e conclusi da preghiere e da invocazioni allo Spirito Santo. Una volontà di fraternità e di comunione dovrebbe presiedere a questa consultazione per poter superare le difficoltà indubbie nella ricerca del consenso in un modo così inusuale. Anche se un tale itinerario dovesse essere faticoso o parziale o non compreso dalla Curia vaticana o dal Papa sarebbe comunque un fatto evangelico e conciliare nella storia millenaria della nostra diocesi ambrosiana.
Ogni ostacolo (28) dovrebbe essere superato di fronte all’urgenza di voler essere più fedeli all’Evangelo ed allo spirito che animava la chiesa dei primi secoli. Se di ciò si è convinti non dovrebbe mancare il coraggio di innovare dando un segnale a partire dalla diocesi più grande della Chiesa cattolica e che potrebbe così caratterizzarsi non solo per la sua liturgia e le sue tradizioni ma anche perché cerca di affrontare problemi che sono di fronte a tutta la cattolicità.
La Diocesi abbia coraggio evangelico
Abbiamo formulato una proposta gradualista e realisticamente attuabile, sotto la diretta responsabilità del vescovo, nella speranza di superare l’attuale sistema del segreto assoluto e dell’esclusione nella designazione del popolo di Dio, clero compreso.
Non ipotizziamo, ovviamente, alcuna campagna di tipo elettorale a favore di questo o di quel candidato. Se differenti opzioni ci sono, se contrasti di personalità o di impostazioni pastorali si scontrano, esse siano l’oggetto di una fraterna discussione pubblica e di una contemporanea ricerca di comunione fraterna. Ora i contrasti ci sono ma, quasi sempre, danno vita a gruppi di pressione, anche portati avanti in perfetta buona fede ma che agiscono in segreto, secondo modelli non encomiabili, mutuati da istituzioni civili. E viene spesso tacitata nella Chiesa l’opinione di quanti ritengono essere grave mancanza l’avere trascurate od del tutto abbandonate molte delle ispirazioni del Concilio Vaticano II.
Il nuovo arcivescovo, quale esso sia, qualora si segua l’itinerario che proponiamo, si troverà non di fronte a enormi responsabilità tutte individuali sugli orientamenti pastorali da dare e sulle nomine da fare, ma davanti a una ricerca collettiva, a una individuazione di problemi e di difficoltà, a una speranza comune, ad un’offerta di collaborazione e di coinvolgimento. Possa la nostra diocesi avere questo coraggio evangelico!
NOI SIAMO CHIESA
Milano, 27 novembre2010
Note(1) cf. Pasquale Colella in "Considerazioni sulle nomine dei Vescovi nel diritto canonico vigente" in Concilium n. 4/1990 pag. 119 e segg.
(2) cf. Richard Auwerda in "Diventare Vescovi in Olanda dopo il Vaticano II" in Concilium n.7/1980 pag.163 e segg.
(3) cf. Norbert Greinacher e Norbert Mette in "Contro una cattolicità messa sotto tutela" in Concilium n.2/1989 pag. 11. Il problema della nomina dei vescovi in quel periodo (gennaio ’89) fu al centro della famosa "Dichiarazione di Colonia" nella quale 163 docenti di teologia di lingua tedesca si dichiararono " per una cattolicità aperta contro una cattolicità messa sotto tutela". A quel testo fecero seguito analoghi documenti di 63 studiosi italiani e di 62 studiosi spagnoli (i tre testi si leggano su "Il Regno Attualità" rispettivamente sui numeri 4/1989, 10/1989 e 12/1989).
(4) Il vescovo di Coira, Wolgang Haas fu nominato da Roma al di fuori della terna proposta dal capitolo della cattedrale che ha questo diritto in base ad una rara ed antica norma democratica (tuttora in vigore). Questo vescovo, dalla linea pastorale reazionaria, fu "cacciato" a furor di popolo e di clero. Per risolvere il problema e salvare la faccia il Vaticano creò appositamente l’archidiocesi del Liechtenstein a cui fu trasferito Haas, che si vide in questo modo formalmente promosso ad arcivescovo anche se in una sede più piccola e meno importante.
(5) cf. N.Greinacher e N.Mette cit. pag 12. La più vigorosa critica del sistema attuale e la più forte sollecitazione per un suo cambiamento è contenuta nel servizio speciale "La nomina dei vescovi" del numero 6/1988 di Concilium a cura di James H. Provost e Knut Walf.
(6) cf. Casiano Floristàn in "L’elezione dei Vescovi" pag.200 saggio contenuto in "Vescovi per la speranza del mondo" a cura di Marcio Fabri dos Anjos, Milano 2001, volume tradotto dal brasiliano e pubblicato a San Paolo nel 2000 con il titolo "Bispos para a esperanca do mundo. Uma leitura critica sobre caminhos de Igreja".
(7) cfr. Adista n.75 del 29-10-2001; nel suo intervento Martini ha affermato che "la riflessione sul Vescovo come strumento di comunione nella Chiesa locale, e come colui che la rappresenta e la interpreta, porta a chiedersi come sia possibile far sì che la Chiesa locale possa anche riconoscersi come espressione del suo Vescovo, a partire dalle procedure utilizzate per la ricerca di candidati adatti".
(8) cf. Lettera III in appendice a "Delle cinque piaghe della Santa Chiesa", BUR Rizzoli Milano 1996, pag.302 dove il Rosmini afferma: "Egli è certo che il privato giudizio s’inganna sovente, come quello sul quale le affezioni e le inclinazioni particolari esercitano influenza non piccola, ed è piegato sovente, senza che l’uomo stesso se ne avvenga, dal favore, e dalle individuali raccomandazioni, e in ogni caso un uomo solo non può, generalmente parlando, vedere tutto dove ci sono tante cose a vedere. All’incontro non è così facile che si inganni o sia prevenuto il concorde giudizio di tutti, giacché nel giudizio di molti le propensioni individuali si elidono e distruggono scambievolmente, i particolari lumi e le speciali vedute si completano coll’unirsi, e resta netta e concorde la verità. Al che consuona la sentenza che pronunziarono i Sommi Pontefici Siricio ed Innocenzo I quando dicevano "Integrum enim est iudicium quod plurimorum sententiis confirmatur"(è corretto il giudizio che viene confermato dall’opinione di molti).
(9) cf. Groupe des Dombes, Le ministère épiscopal. Réflexions et propositions sur le ministère de vigilance et d’unité dans l’Eglise particulière, Taizé 1976 Internet www.groupedesdombes.org
(10) Il documento afferma al punto n.62 : "Per manifestare che l’autorità episcopale è radicata nella comunione ecclesiale, è importante che la designazione del Vescovo sia frutto di un rapporto vivo e di una consultazione tra il vescovo di Roma, i vescovi vicini, i preti della Diocesi e tutto il popolo interessato. Ci sembra infatti auspicabile che tutto il popolo di Dio sia associato nella scelta del suo vescovo".
(11) Il più esplicito è stato Mons. Jayme Henrique Chemello Presidente della Conferenza episcopale brasiliana che ha denunciato i "processi oscuri e pieni di sorprese" con cui vengono scelti i vescovi ignorando la voce delle Chiese locali. "A volte si ha la sensazione che un’opinione individuale possa essere decisiva, sebbene in contrasto con molte altre ugualmente qualificate" ( cf . in "Il Regno" n.20 del 15-11-2001 pag.651).
(12) Questo testo segreto è stato recuperato, tradotto dal latino e molto utilmente pubblicato dall’agenzia ADISTA sul n.80 del 19-11-2001.
(13) Sulla funzione del Sinodo e sulla nomina dei vescovi dal 4 al 7 ottobre 2001 si è tenuto a Roma il Sopog (Synod of people of God 2001) promosso da IMWAC ("International Movement We Are Church", il movimento internazionale di cui fa parte "Noi Siamo Chiesa") e da altre organizzazioni che si battono per la riforma della Chiesa. In questo incontro sono state elaborate posizioni alternative rispetto a quelle emerse nel Sinodo; esse sono poi state comunicate alla segreteria del Sinodo.
(14) A conferma ulteriore dell’inconsistenza di quel Sinodo, tenutosi pochi giorni dopo l’undici settembre si può ricordare che nel verboso messaggio finale nulla si dice sulla questione della pace e della guerra, salvo una generica e del tutto ovvia condanna del terrorismo. (15) cf. Giovanni Cereti in "Il significato ecumenico di una collaborazione dei fedeli alla scelta dei Vescovi" in Concilium n.7/1980 pag.97 nota 2
(16) cf. Jean Bernhard in "Il Concilio di Trento e l’elezione dei Vescovi" in Concilium n. 7/1980.
(17) cf. Rosmini citato pag. 265
(18) cf. lettera III in appendice a "Le cinque piaghe della Santa Chiesa" citato pag. 299. Di seguito il Rosmini esprime " la speranza che i Vescovi, conoscenti della condizione dei tempi in cui viviamo, dei grandi bisogni della Chiesa, e delle speranze che a lei adduce il grido alzato di libertà, vogliano dopo tanto tempo di disunione e d’isolamento, radunarsi nello spirito del Signore, e trattare quelle cose che interessano al reggimento della loro Chiesa. Imperciocché la sapienza collettiva e l’unità dello spirito e dei mezzi è quello, di cui più che mai la Chiesa oggidì abbisogna: ella abbisogna di sentire tutta la grandezza della promessa del Signore, il quale disse, che dove due o tre saranno congregati in suo nome, egli sarà nel mezzo di essi".
(19) in "Il senso teologico delle elezioni episcopali secondo il loro svolgimento nella Chiesa antica" in Concilium n.7/1972.
(20) Particolarmente efficace è Giovanni Cereti (citato pag.101) quando afferma:" Queste prospettive facendo prendere sempre più coscienza ai battezzati della loro dignità di figli di Dio in un popolo di fratelli (Mt. 23,8), hanno risvegliato l’esigenza di una partecipazione più attiva alla vita della comunità, e non soltanto alla preghiera liturgica (SC 11.14.19 ecc..) o all’apostolato (LG 31.33; AA 2, ecc..) ma allo stesso governo della comunità (cf. LG 12.32.37). La partecipazione di tutto il popolo di Dio alla scelta dei propri vescovi appare così un’esigenza di quella ecclesiologia di comunione che si va sempre più affermando e che ha indotto alcuni spostamenti di accento di grande portata ecumenica che possiamo così riassumere :1) Il ministero del vescovo viene sempre più compreso in rapporto alla ministerialità di tutto il popolo di Dio; 2) La chiesa viene sempre più compresa a partire dalla chiesa locale; 3) L’unità della chiesa deve sempre più essere compresa come una comunione di "chiese sorelle" (cui Roma presiede nell’amore)".
(21) cf. in " Forme storiche di governo nella Chiesa", lectio brevis presso l’Università di Bologna, in "Il Regno" n.21 del 1-12-2001. Nella parte conclusiva della sua magistrale lezione Alberigo indica delle strade che si potrebbero percorrere: "Il livello legislativo dei grandi orientamenti generali dovrebbe essere affidato a un organo assembleare di tipo conciliare, distinto da quello- molto ristretto ma comprendente sempre il vescovo di Roma- responsabile delle decisioni di governo, dalla scelta dei nuovi vescovi ( o dalla convalida delle scelte operate localmente) sino alle numerose deliberazioni richieste dalle circostanze". Per Alberigo la curia romana dovrebbe essere molto snellita ed anche dislocata nelle diverse aree di presenza geografica della Chiesa. Dovrebbe crescere il ruolo delle Conferenze episcopali e dei Sinodi, anche continentali, e comunque, ai vari livelli, dovrebbe porsi " il problema della partecipazione dei fedeli all’elaborazione delle decisioni che li riguardano secondo il principio del “quod omnes tangit".
(22) In particolare si può leggere in "Il Regno" n.21 del 1-12-2001 l‘intervento di Gregorio III Laham, patriarca greco-melchita di Antiochia e di tutto l’Oriente, che ha detto: "Si è atteso troppo ad applicare i decreti del Concilio Vaticano II, e le direttive e le dichiarazioni delle encicliche e delle lettere dei papi, e soprattutto del santo padre Giovanni Paolo II. Una ulteriore attesa toglierebbe ogni credibilità alla buona volontà della Chiesa di Roma in materia di dialogo ecumenico. Avviene esattamente il contrario: il "Codice dei canoni delle Chiese orientali" ha ratificato usanze assolutamente contrarie alla tradizione ed alla ecclesiologia orientale!".
(23) Alcuni di questi fenomeni negativi sono stati indicati dal Card. Martini nella lettera pastorale 2001-2002 "Sulla tua parola" (Centro Ambrosiano,2001) al cap. 3. Anche il Card. Tettamanzi, soprattutto nell’ultimo periodo, ha denunciato fenomeni di costume e di prassi politica che segnano l’intera nazione, in particolare per quanto riguarda la moralità pubblica, la condizione dei migranti e l’ostilità alla legittima aspettativa dei musulmani ad avere propri luoghi di culto. (24) La non coincidenza che c’è stata tra le conclusioni del Sinodo ed il magistero di Martini risulta evidente leggendo la sua "Lettera di presentazione alla Diocesi" degli Atti (Centro Ambrosiano, Milano 1995).
(25) cf. Lettera 10, 6.
(26) cf. Lettera III in appendice a "Le cinque piaghe della Santa Chiesa" cit. pag. 310
(27)cf. volume citato pag. 210 dove sostiene che devono essere coinvolte "tutte le istanze della comunione ecclesiale : la diocesi (mediante i consigli presbiterale e pastorale che presentano la lista dei candidati), la conferenza episcopale (che, attraverso un’apposita commissione, sceglie il più idoneo della lista, oppure propone un altro candidato) e la Santa Sede (che conferma, salvo casi speciali, il vescovo scelto). In questo modo si cerca di evitare l’influenza nefasta di certi interessi politici o l’ imposizione di una linea pastorale distante dal popolo e dal Vaticano II". (28) Si potrà sostenere che questo percorso non è previsto dalla prassi e dal diritto canonico. Ma, volendo proprio seguire la ricerca dell’ortodossia giuridica, anche il codice prevede che si svolgano consultazioni; si tratterebbe solo di dare un’interpretazione estensiva al canone 377 § 3 e di fare anche riferimento al can. 129 § 2 dove recita che i fedeli laici possono cooperare nell’esercizio della potestà di governo (di giurisdizione). Si può anche fare appello al canone 212 § 3 in cui si afferma che "i fedeli hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa e di renderlo noto agli altri fedeli".
Bibliografia
Alberigo Giuseppe, " Forme storiche di governo nella Chiesa" in "Il Regno" n. 21 del 1-12-2001
Capo Salvatore saggio su "La nomina dei Vescovi" leggibile sul sito Internet di "Noi Siamo Chiesa" al seguente indirizzo :<www.we-are-church.org/it/attual/NominaVescovi.htm>
"Concilium", la nota rivista internazionale di teologia edita in Italia dalla Queriniana, ha costantemente dedicato grande attenzione alle tematiche relative alla democratizzazione della Chiesa ed al problema della elezione dei Vescovi.
Il n.3 del 1971 ("Democratizzazione della Chiesa") contiene in particolare : Karl Lehmann " Sulla legittimazione dogmatica di una democratizzazione nella Chiesa" e Raymund Kottje "L’elezione dei capi ecclesiastici: storia ed esperienze".
Nel n. 7 del 1972 (" Elezione-consenso-ricezione nell’esperienza cristiana") si veda di Hervé-Marie Legrand "Il senso teologico delle elezioni episcopali secondo il loro svolgimento nella Chiesa antica".
Il n. 7 del 1980 è monografico su "Chiesa locale e scelta dei Vescovi"; tra i tanti articoli sull’argomento si veda soprattutto Giovanni Cereti" Il significato ecumenico di una collaborazione dei fedeli alla scelta dei Vescovi".
Nel n. 6 del 1988 contiene un servizio speciale su "La nomina dei vescovi" di James H. Provost e di Knut Walf.
Nel n.2 del 1989 il servizio speciale di Norbert Greinacher e di Norbert Mette "Contro una cattolicità sotto tutela" affronta il problema di nomine episcopali fortemente contestate in Europa.
Nel n. 4 del 1990 ("La collegialità dei Vescovi alla prova") si veda in particolare Pasquale Colella "Considerazioni sulle nomine dei Vescovi nel diritto canonico vigente".
Infine il n.2 del 1992 ("Il tabù della democratizzazione nella Chiesa") contiene tra gli altri i saggi di Franck Bernard su "Esperienze sinodali nazionali postconciliari in Europa" e di George Nedungatt su "Sinodalità nelle Chiese cattoliche orientali secondo il nuovo Codice".
Delespesse Max, "He vist sorgir una nova Esglesia" Claret, Barcelona, 1978 (specialmente pag. 101-104)
Estruch Joan, "Informe de l’Enquesta sobre el nomenament des bisbes" a cura della "Associaciò Cristianisme segle XXI" , Universitat autònoma de Barcelona , Barcelona 2001
Floristán Casiano, "L’elezione dei Vescovi" in "Vescovi per la speranza del mondo" a cura di Marcio Fabri dos Anjos EDB Bologna 2001 (traduzione dall’edizione portoghese "Bispos para a esperanca do mundo.Uma leitura critica sobre caminhos de Igreja" Sao Paulo 2000); si veda il testo completo in questo volumetto
González Faus José Ignacio, Ningún obispo impuesto. Las electiones episcopales en la historia de la Iglesia", Sal Terrae, Santander 1992
Maduell Alvar, "Sense Conferencia Episcopal" Teià Maduixer, 1999
Rahner Karl, "Democratie in der Kirche?" Stimmen der Zeit ,182,1968 pag.1-15
Ratzinger Joseph e Maier Hans "Democratie in der Kirche.
Moglichkeiten, Grenzen, Gefahren", Limburg,Lahn 1970 (specialmente il capitolo dell’oggi Card. Ratzinger "Demokratisierung der Kirche?", pag 9-46)
Reese Thomas J. "Inside the Vatican. The politics and Organisation of the catholic Church", Harvard University Press, Cambridge 1996 (specialmente pagg. 231-242)
Rosmini Antonio , "Delle cinque piaghe della Santa Chiesa" BUR Rizzoli, Milano 1996 (si veda in particolare il capitolo quarto "Della piaga del piede destro della santa Chiesa, che è la nomina dei Vescovi abbandonata al potere laicale" e l’Appendice con le tre "Lettere sopra le elezioni vescovili a clero e popolo").
Schillebeeckx Edward, "The human Story of God" Nuova Jork, Crossroad, 1990
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