E’ morto Giulio Girardi. Martedì l’ultimo saluto
Giulio Girardi è morto, dopo una lunga sofferenza seguita all’ictus da cui fu colpito alcuni anni or sono. Giulio si è spento nella casa di Bruno Bellerate che con la sua famiglia lo ha ospitato e accudito fraternamente per tutti questi anni e fino all’ultimo. (Ancora domenica scorsa 9 febbraio l’amico Bruno durante l’eucarestia della comunità di san Paolo aveva riferito delle condizioni di salute di Giulio non del tutto allarmanti e si era fermato al pranzo dove era presente in visita fraterna a Giovanni Franzoni mons. Luigi Bettazzi, due dei pochi testimoni ancora viventi del Vaticano II). Si è spenta così, nel silenzio, una delle intelligenze più generose e importanti del movimento rivoluzionario, un uomo mite e buono che ha dedicato la sua intera vita alla causa degli oppressi e alla lotta per la liberazione dei poveri, in particolare dei popoli che lui amava definire indio-afro-latino-americani. Resterà molto a lungo, crediamo, il suo contributo decisivo, prima al dialogo fra marxismo e cristianesimo e poi alla fondazione della teologia della liberazione. Intellettuale profondo e coltissimo, Girardi, salesiano, insegnò per molti anni filosofia al Pontificio Ateneo Salesiano, e durante il Concilio Vaticano II fu chiamato a collaborare con il “Segretariato per i non credenti” del cardinale Koenig come esperto di marxismo e di ateismo (fra l’altro Girardi diresse per una casa editrice cattolica la monumentale “Enciclopedia dell’Ateismo”). Ma per Girardi era naturale la scelta di far proseguire coerentemente le sue idee nella pratica della sua vita, e per questo si schierò decisamente da una parte sola, quella dei poveri, come i suoi confratelli e colleghi Gérard Lutte e José Ramos Regidor: la risposta della Chiesa ufficiale fu la più ottusa repressione e l’espulsione di questi cristiani, colpevoli di voler essere fedeli al Vangelo, prima dall’Ateneo e poi dalla stessa Congregazione salesiana. Il dolore profondo che gli provocò la rottura con la Chiesa istituzionale fu tramutato da Giulio Girardi in un’attività indefessa di ricerca teorica, di scrittura e anche di presenza fisica a fianco dei popoli in lotta: dalla “inchiesta operaia” a Torino con la FIOM degli ultimi anni Settanta alla partecipazione da protagonista all’esperienza del Sandinismo, fino alla sua amicizia con Fidel Castro e Cuba, con Rigoberta Menchù, con Chavez, con la rivoluzione zapatista. I suoi libri hanno cambiato la vita a molti militanti cristiani e comunisti: ne ricordiamo solo alcuni: “Marxismo e Cristianesimo” (Assisi, Cittadella, 1968, ma con molte riedizioni); “Credenti e non credenti per un mondo nuovo” (Firenze, Vallecchi, 1969); “Cristianesimo, liberazione umana, lotta di classe” (Assisi, Cittadella, 1971); “Cristiani per il socialismo. Perché?” (Assisi, Cittadella, 1975); “Coscienza operaia oggi” (Bari, De Donato, 1980), “Rivoluzione popolare e occupazione del tempio. Il popolo del Nicaragua sulle barricate” (Milano, Edizioni Associate, 1989); “Dalla dipendenza alla pratica della libertà. Comunità di San Benedetto al Porto di Genova” (Roma, Borla, 1990); “La conquista dell’America. Dalla parte dei vinti” (Roma, Borla, 1992), fino agli ultimi lavori dedicati alla figura del Che Guevara rivisitata dallo sguardo di un cristiano. Sempre per puro spirito di servizio Girardi accetto anche di essere capolista di DP alle elezioni comunali di Roma e candidato per le elezioni europee; successivamente, aderì a Rifondazione Comunista a cui era iscritto, e a Rifondazione dedicò anche un suo ultimo scritto su “Liberazione” di incoraggiamento e consiglio mentre era già inchiodato a quello che sarebbe stato il suo letto di morte. Sulla figura straordinaria e sull’opera di Giulio Girardi occorrerà dunque tornare approfonditamente, con la calma e il rigore che ci sono impossibili in questo momento. “Liberaroma” si offre fin d’ora per ospitare ricordi, commenti, discussioni sull’opera di Girardi.
Un ultimo saluto a Giulio Girardi si svolgerà a Roma, presso la Comunità di San Paolo a Via Ostiense 152, martedì 28 gennaio alle ore 14,00.
Secondo una precisa indicazione di Giulio i suoi amici e i suoi compagni sono invitati a non portare fiori ma a ricordarlo sottoscrivendo per l’”Association Movimiento de Jovens de la Calle, Mo.jo.ca” promosso da Gérard Lutte; questi gli estremi per effettuare i versamenti: Amistrada – c.f. 97218030589 Via Ostiense 152/b – Roma c/c postale: 42561035; codice IBAN Banco Posta: IT 55 Z 07601 03200 000042561035. Destina il 5*mille in favore in favore delle ragazze e i ragazzi di strada.
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A CURA DI ALDO ZANCHETTA
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n.6/2012 del 28.02.2012
Questi documenti sono diffondibili liberamente interamente o in parte purché riprodotti citando la fonte
IN RICORDO DI GIULIO GIRARDI
ochi minuti fa ho appreso la notizia che Giulio Girardi ci ha lasciato, dopo una lunga malattia sopportata con fede e con incrollabile speranza nell’avvento di un mondo più giusto. Le lotte di liberazione in America Latina sono state il fuoco che ha alimentato questa speranza ed i suoi libri e innumerevoli articoli costituiscono una documentazione storica preziosissima. Ho mantenuto in questi anni i contatti con lui con visite periodiche che ora vorrei fossero state più frequenti e devo finire di adempiere l’impegno preso: il salvataggio della sua biblioteca, dei suoi quaderni di appunti, delle sue documentazioni, perché il suo enorme lavoro intellettuale non vada disperso. Mi manca in questo momento la lucidità per un ricordo adeguato. Lo faccio con una intervista del 2005 in cui riassume magistralmente i temi delle sue ricerche teologiche e politiche tuttora in corso.
Giulio, ci mancherai. Addio
Aldo
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OLTRE IL CRISTIANESIMO
Giulio Girardi spiega la Teologia della liberazione
“I popoli indigeni sono i protagonisti della teologia della liberazione in questo momento, quindi, tutto quello che dirò lo dedico a loro. Sono loro il fondamento della nostra speranza”. Con queste parole Giulio Girardi ha introdotto il suo pensiero, lungo e approfondito, su cosa significhi essere un teologo della liberazione nell’epoca di papa Ratzinger. PeaceReporter lo ha incontrato assieme all’altro importante esponente della Teologia nata fra i poveri del Sud America, Frei Betto. Un quadro completo su cosa significhi oggi credere in un unico Dio, uguale per tutti, al di là del culto, del colore della pelle e della lingua. Queste le parole del teologo Girardi.
Una previsione. “La Teologia della liberazione nell’epoca di Ratzinger? La mia previsione sul pontificato di Benedetto XVI è che si manterrà sulla stessa linea di Giovanni Paolo II. Il fondamento più sicuro ed evidente di questa previsione è che per venti anni il cardinale Ratzinger, come prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, è stato il principale ispiratore e punto di riferimento di Giovanni Paolo II. Infatti, in queste prime settimane del suo pontificato, Ratzinger si è molto riferito al suo predecessore, quasi a voler rendere esplicita la continuità tra i due. Questo significa, dunque, affermare l’attualità dei documenti redatti da Ratzinger cardinale, di condanna della Teologia della liberazione e del suo supposto fondamento nel marxismo”.
Sulle orme di Woytila. “Significa in particolare riaffermare il giudizio di Giovanni Paolo II, nel suo secondo viaggio in Nicaragua, secondo cui la Teologia della Liberazione era morta, dato che era morto il suo fondamento, il marxismo. Si doveva dunque celebrare allo stesso tempo il funerale del marxismo e quello di sua figlia, la Teologia della Liberazione. Affermare la continuità tra i due pontificati significa, purtroppo, prolungare la revoca della condanna della Teologia della Liberazione da parte del governo centrale della Chiesa. Significa prolungare l’incomprensione della Teologia della Liberazione da parte della teologia della Chiesa centrale”.
Nemico numero uno: il pluralismo religioso. “Forse però bisogna riconoscere una certa discontinuità fra i due pontificati, dovuta al diverso contesto culturale in cui essi si muovono. Per il papa polacco il nemico numero uno era il marxismo, cui la Teologia della Liberazione sarebbe stata strettamente collegata; per il papa tedesco è forse ancora prematuro indicare già un nemico principale, ma molti riferimenti fanno pensare al relativismo. Questo significa, nel suo linguaggio, che da combattere sono sia il relativismo morale, sia il pluralismo religioso.
Vorrei concentrare l’attenzione su questo secondo aspetto del magistero di Ratzinger. Il pluralismo religioso rappresenta oggi una tappa avanzata della Teologia della Liberazione ed è uno dei nodi sul quale, con molta probabilità, si concentrerà nel prossimo futuro il disaccordo con la Chiesa di Roma.
Affermare che il papa è contro il pluralismo religioso potrebbe sembrare in contraddizione con una delle principali intenzioni manifestate invece da Benedetto XVI, in continuità col suo predecessore: quella di offrire la chiesa cattolica e le altre confessioni cristiane all’ecumenismo e di proporre così l’unità dei cristiani. Ma bisogna distinguere l’ecumenismo che il magistero cattolico va cercando, dal pluralismo religioso che il magistero cattolico condanna.
La presa di posizione più esplicita sull’argomento è la dichiarazione Dominus Jesus emanata dalla Congregazione della Dottrina della fede e quindi dal suo referente cardinale Ratzinger, in cui il pluralismo religioso viene condannato e qualificato appunto relativismo.
Ai fautori del pluralismo religioso si attribuisce, per altro erroneamente, la convinzione che la verità assoluta non esiste, basandosi sul principio che chi non riconosce un’unica religione pienamente valida, e precisamente la cattolica, non ammette l’esistenza della verità assoluta.
L’ecumenismo a cui anela il Papa è un’altra cosa, dunque. Per capirne il senso mi pare si debba riferirsi ai due interlocutori del dibattito ecclesiale: la gerarchia e il popolo di Dio, nuova categoria, questa, introdotta dal Concilio Vaticano II. Su questa base bisogna distinguere in funzione dei vari soggetti l’ecumenismo istituzionale e l’ecumenismo secolare. Distinzione che permette di tenere conto della complessità dei movimenti ecumenici e delle problematiche che le riguardano”.
Ecumenismi. “Vorrei cercare di chiarirne il senso. Per ecumenismo istituzionale intenderei il rapporto di rispetto, di stima e di collaborazione fra le diverse istituzioni religiose promosso dalle rispettive gerarchie. Per ecumenismo popolare intenderei invece il rapporto promosso dal popolo di Dio, indipendentemente dalla gerarchia e spesso in contrasto con essa.
Un esempio fra i tanti che illustra il concetto di ecumenismo popolare è il movimento macroecumenico, nato nel vivo delle controcelebrazioni del V centenario dell’invasione dell’America, erroneamente chiamata scoperta dell’America, secondo l’interpretazione che ne diedero gli invasori. Questo movimento, nato a Quito, Ecuador, nel 1992, si è qualificato Assemblea del popolo di Dio, per distinguersi dall’assemblea episcopale che si sarebbe celebrata alcune settimane dopo a Santo Domingo. E anche per contrapporsi a essa. Infatti l’assemblea episcopale assumeva il punto di vista dei vincitori e considerava l’evento del 1492 una svolta estremamente positiva per la storia dell’Europa, che accresceva così il suo potere e la sua ricchezza, sia per la storia della Chiesa, che vedeva dischiudersi nuove frontiere per l’evangelizzazione e quindi il suo potere. Sia, ancora, per la storia dei popoli indigeni, che sempre dal punto di vista degli invasori, venivano civilizzati”.
1492: il genocidio. “Ma per gli stessi indigeni coscientizzati, il 1992 era il quinto centenario del loro genocidio. Con pieno diritto essi proclamavano: “Non abbiamo nulla da celebrare. Portate l’assemblea del popolo di Dio, sfiorata dalla Teologia della Liberazione, ad adottare il punto di vista delle vittime”.
Pertanto la storia dell’Europa moderna, faro di civiltà per tutte le genti, cominciava con uno dei più gravi crimini di tutta l’umanità. Questa tragica constatazione cambia il senso della questione del debito estero dei Paesi del terzo mondo, perché diventa un debito dell’Europa nei confronti del terzo mondo”.
1492: crocevia teologico. “Queste evocazioni storiche permettono di comprendere il significato dei temi teologici che dobbiamo affrontare nel dialogo con papa Ratzinger sempre supposto che ci voglia ascoltare. Perché il 1992 non è solo un crocevia storico. È anche un crocevia teologico. Questa contrapposizione si precisa nel rapporto stabilitosi nel 1492, fra Chiesa cattolica e religioni indigene. La teologia cattolica ufficiale, secondo la quale il cattolicesimo è l’unica religione salvifica, trova legittima l’evangelizzazione conquistatrice, che riteneva di potere e dovere imporre agli indigeni di aderire alla religione cristiana e di abbandonare le loro religioni millenarie, considerate diaboliche”.
Macroecumenismo. “Dalla Teologia della Liberazione nasce invece il macroecumenismo, che riconosce la validità delle religioni indigene, condanna l’evangelizzazione coercitiva, afferma il pluralismo religioso. Esso introduce nella storia dell’ecumenismo una duplice novità. In primo luogo quella di estendere l’ecumenismo al di là delle confessioni cristiane, in secondo luogo quello di includere nel macroecumenismo un rapporto di eguaglianza, reciprocità delle varie religioni. Così mentre la Teologia della Liberazione si propone di aprire il Cristianesimo alle altre religioni, la teologia ufficiale ritiene di dover valorizzare il Cristianesimo affermandone la superiorità sulle altre religioni. Questo nuovo capitolo della Teologia della Liberazione impone un profondo ripensamento di alcune delle principali categorie teologiche, come quelle di religione, liberazione, fede, popolo di Dio, e impone in primo luogo un ripensamento del concetto di Dio”.
Alla riscoperta di Dio. “Desidero appunto concludere la riflessione tornando al suo principio ispiratore: il vincolo che lega la scelta di stare dalla parte degli oppressi, espressione dell’amore umano storicamente efficace, e la riscoperta dell’amore infinito di Dio, principio ispiratore della Teologia della Liberazione. Riconoscere i popoli oppressi come soggetti storici, culturali, religiosi, ci conduce a riscoprire l’amore appassionato di Dio, per tutti e per ciascuno degli uomini, per tutte e ciascuna delle donne, per tutti e ciascuno degli esseri della natura. A riscoprire la presenza liberatrice di Dio in tutti i tempi e in tutti i luoghi. Ma perché parliamo di riscoprire? Perché le teologie cristiane avevano coartato Dio, il suo amore e la sua grandezza, entro i limiti angusti delle nostre chiese, delle nostre culture occidentali, delle nostre tradizioni, della nostra epoca. Fuori dal mondo occidentale – pensavamo – non c’è salvezza perché non c’è Dio. Il Dio chiamato cristiano era un padre che dedicava la sua attenzione a una minoranza dei suoi figli e si disinteressava della grande maggioranza di essi. In questo Dio non possiamo più credere. Il Dio nel quale crediamo oggi è più grande del cristianesimo, la sua verità è più ricca della Bibbia, per rivelarsi al mondo egli non ha un solo cammino ma infiniti, nessuno dei quali esclusivo e privilegiato, nessuno dei quali esaurisce l’infinita ricchezza del suo amore. Il Vangelo di Gesù tornerà a essere per tutti e per tutte una buona notizia solo se non pretenderà di essere l’unico messaggero d’amore, riconoscendo che Dio è più grande. Dio è più grande potrebbe essere uno dei nostri motti macroecumenici. Da questa nuova prospettiva sorge in noi il desiderio di esplorare le altre strade della manifestazione di Dio nel mondo, di contemplare i bordi di Dio che non conosciamo. Di scoprire altre forme della sua presenza amorosa e liberatrice nella storia”.
Dio è più grande del Cristianesimo. “Ci incoraggia, in questa nuova ricerca di Dio, la parola di Gesù alla samaritana: “Credimi donna, giunge l’ora, anzi ci troviamo già in essa, in cui voi adorerete il Padre senza dover venire né su questo monte, né andare a Gerusalemme”. Attualizzando questa parola dirò: “Voi adorerete il Padre senza dover andare né alla chiesa, né alla sinagoga, né alla moschea. Viene l’ora, ed è quella che viviamo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità. Dio è Spirito e quelli che l’adorano devono adorarlo in Spirito e verità”. Così la preoccupazione per l’egemonia del Cristianesimo cederà il posto alla preoccupazione dell’egemonia di Dio, amore liberatore di tutti noi”.
Stella Spinelli
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