Barbaini, un addio sofferente ed affettuoso
Venerdì 24 è morto a S.Angelo Lodigiano (Milano) Piero Barbaini. Dal 1989 era ammalato di Parkinson. Aveva 86 anni. E’ stata una sofferenza troppo lunga, da almeno dieci anni non riusciva più a scrivere e a parlare regolarmente, pur essendo sempre lucidissimo. Il suo peggioramento è stato lentissimo; è stato assistito con una dedizione straordinaria dalla sorella Cecilia. Le sue condizioni fisiche e il fatto di abitare nella sua casa di famiglia a S.Angelo, un piccolo centro a circa 30 km. da Milano, lo hanno costretto a un grande isolamento. La sua vita era però stata dinamica, dedita agli studi e a tante relazioni. Essa era cresciuta nella Chiesa, di cui fu a lungo presbitero, prima di uscire dalla struttura nel 1971 come conseguenza dei nuovi orientamenti maturati nel sessantotto e nel postconcilio. La sua biblioteca l’aveva donata al seminario di Lodi che ha costituito un prezioso “Fondo Barbaini”. Ho partecipato sabato 26 al funerale in una giornata fredda e piovosa che ha accentuato il momento di tristezza nel ricordarlo. Ero presente anche in rappresentanza dei tanti che, con lui, hanno partecipato (e ancora partecipano) al vasto movimento per il rinnovamento della Chiesa, di cui lui aveva fatto parte. Ma la sua ricerca l’aveva portato negli ultimi anni a posizioni esterne alla Chiesa fino ad abbandonare ogni riferimento diretto all’evangelo. Nell’ultima intervista del 2007 disse: “ Sono un viandante senza speranza nella vita futura, senza speranza nella terra promessa, senza nostalgia di ciò che ho abbandonato…in pratica sposo l’ateismo come un non-senso ; non ho ancora trovato il senso dell’esistere, di fronte alla morte” e diceva:”L’ateismo non è una spiegazione del mondo: è la presa d’atto di un mondo senza spiegazioni” . I suoi funerali sono stati quindi senza cerimonie o segni religiosi di alcun tipo per sua espressa volontà. Il suo attaccamento a noi, agli amici dei Cristiani per il Socialismo, delle Comunità di base e di “Noi Siamo Chiesa” rimaneva forte ed intatto. Ogni volta che andavo a trovarlo me lo ripeteva: “Salutami tanto tutti, le mie posizioni di oggi non mi allontanano da tutti voi, anzi”. Questi saluti, post mortem, li invio a tutti calorosamente come era nelle sue intenzioni. Preghiamo. Vittorio Bellavite
Barbaini, protagonista della contestazione per una Chiesa ed un mondo diverso
Era stato figura intellettuale di prestigio – con i teologi Luigi Colombo e Giovanni Battista Guzzetti – del cattiolicesimo lombardo nei seminari e nella Facoltà teologica di Venegono. Storico del giansenismo e del riformismo religioso e della scuola e formazione, autore i un lungo elenco di pubblicazioni scientifiche. Era stato protagonista di contrasti del post-Concilio, ricostruiti nel libro “La chiesa sbagliata” (1968), che l’avevano portato fuori dell’organizzazione ecclesiastica. Libero docente in storia della chiesa, aveva potuto ottenere un incarico di storia moderna all’Università di Parma, dove aveva insegnato fino al 1992. Anche se io, vincitore di concorso, da quell’anno vi andai ad insegnare storia contemporanea, considerò questa come una staffetta che lo aveva gratificato. Eravamo stati, infatti, partecipi delle stesse battaglie civili ed ecclesiali, soprattutto nella segreteria nazionale dei Cristiani per il socialismo. Forse, tra i compagni, è stato quello che mi ha voluto più bene: forse perché qualche volta ho avuto più pazienza nell’ascoltarlo. Aveva infatti dei modi di espressione che riproducevano una stilistica e una retorica tipiche della tradizione ecclesiastica: ciò gli creava qualche difficoltà nella comunicazione con i più giovani, ma gli aprì le porte nei riguardi dei preti in crisi, al cui movimento – persona di grandissima generosità – si dedicò pienamente, sostenendolo anche dal punto di vista economico. Sosteneva che esso doveva considerarsi parte di altri movimenti di liberazione personale (donne, omosessuali, …) , che avrebbero dovuto trovare la loro collocazione all’interno e non in contrapposizione con altri movimenti di liberazione sociale. La liberazione della/dalla teologia era per lui l’altra faccia delle medaglia della teologia della liberazione. Era apprezzato più all’estero che in Italia e sono stato testimone diretto, negli incontri internazionali, delle accoglienze che riceveva – non meno di Giulio Girardi – da teologi, sociologi e protagonisti cattolici e protestanti dei movimenti di rinnovamento ecclesiale e politico. Ricordo, fra tutti suoi scritti, il suo lascito intellettuale e morale “Essere chiesa. Lettera ai cattolici della mia generazione” (Edizioni associate 1997), con interventi di Filippo Gentiloni, Giancala Codrignani, Domenico Jervolino e mio. ” Tonino Parisella
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