Il cardinale che si oppone alla corte suprema
Per Camillo Ruini la sentenza americana contro il matrimonio soltanto tra uomo e donna è l’illusione che pretende di negare la realtà. Il futuro appartiene a chi sa difendere l’essere umano autentico. Le unioni civili tra omosessuali: un compromesso “inutile e dannoso”
di Sandro Magister
ROMA, 1 luglio 2013 – A cinque giorni dalla deflagrante sentenza della corte suprema degli Stati Uniti contro la creaturale differenza di sesso tra uomo e donna, ancora il pastore supremo della Chiesa cattolica non ha proferito verbo.
È sempre possibile che lo faccia dopodomani, nel corso della settimanale udienza pubblica del mercoledì, o in un altro momento successivo.
Ma visto il personale riserbo con il quale ha affrontato questo e altri temi analoghi a forte impatto politico nei primi cento giorni del suo pontificato, in linea generale Francesco sembra preferire che su questi temi siano i vescovi di ciascuna nazione a parlare. In questo caso, in primo luogo i vescovi degli Stati Uniti, notoriamente tra i più battaglieri, come hanno mostrato fin dalle prime reazioni alla sentenza.
Che questa sia la linea dell’attuale pontificato, sui principi che Benedetto XVI definiva “non negoziabili” perché inscritti nella natura stessa dell’uomo, è per ora più un’ipotesi che una certezza.
In ogni caso, nel perdurante silenzio della cattedra di Pietro, alcuni vescovi e cardinali si sentono oggi ancor più tentati che in passato di distanziarsi dal magistero della Chiesa quale espresso dai due precedenti pontificati, ad esempio esprimendosi a favore della legalizzazione delle unioni tra omosessuali:
> Diario Vaticano / Sei voti in più per le unioni “gay”
E il fatto che tra costoro ci sia il presidente del pontificio consiglio per la famiglia, monsignor Vincenzo Paglia, è indicativo di come la curia vaticana sia un serio problema molto più per la confusione di alcuni suoi membri che per l’inadeguatezza di certe sue strutture.
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Tra i cardinali e vescovi non degli Stati Uniti, uno che dopo la sentenza della corte suprema americana del 26 giugno non ha taciuto, anzi, ha espresso giudizi critici inequivocabili, è l’italiano Camillo Ruini.
Ruini, 82 anni, è stato per oltre un ventennio prima segretario e poi presidente della conferenza episcopale italiana, e per diciassette anni vicario della diocesi di Roma, prima con Giovanni Paolo II e poi con Benedetto XVI.
Con entrambi questi papi ha operato in piena sintonia. È coinciso con la sua leadership l’affermarsi della Chiesa italiana come “eccezione” rispetto al cedimento di tante altre Chiese nazionali all’avanzata di quella cultura neolaicista di cui la sentenza della corte suprema americana è un emblema.
Una recente sintesi della sua visione è la “lectio magistralis” che egli ha tenuto alla Fondazione Magna Carta, a Roma, lo scorso 6 maggio:
> Quale ruolo della fede in Dio nello spazio pubblico?
Durante il precedente pontificato, delle visioni d’insieme teologicamente argomentate e storicamente situate come quella espressa da questa “lectio” di Ruini erano pane quotidiano, nella predicazione e negli scritti di papa Joseph Ratzinger.
Oggi sono diventate qualcosa di più raro.
Ma è proprio da una visione di questo respiro che discendono i netti giudizi espressi nell’intervista che segue, rilasciata dal cardinale Ruini a Matteo Matzuzzi per il quotidiano d’opinione “Il Foglio” del 28 giugno.
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SPOSATEVI COME NATURA COMANDA
Intervista di Camillo Ruini
“L’uguaglianza intesa come negazione di ogni differenza è qualcosa che va contro la realtà”, dice al “Foglio” il cardinale Camillo Ruini commentando la sentenza con cui la corte suprema degli Stati Uniti ha dichiarato incostituzionale parte del “Defense of Marriage Act”, la legge che definiva il matrimonio come unione esclusiva tra uomo e donna sotto la giurisdizione federale.
“Ci illudiamo se pensiamo di poter cancellare la natura con una nostra decisione personale o collettiva”, aggiunge ancora l’ex vicario di Roma e presidente della conferenza episcopale italiana.
D. – La decisione della corte sembra confermare che ci si trovi davanti a una valanga inarrestabile in cui ogni eccezione sull’equiparazione tra matrimonio eterosessuale e omosessuale sarà superata. È questo il terreno su cui si articolerà il dibattito sullo sviluppo della civiltà nel XXI secolo?
R. – Penso proprio di sì. Naturalmente la questione dei matrimoni omosessuali rientra nel problema più vasto della concezione che abbiamo dell’uomo, cioè di cosa sia la persona umana e di come vada trattata.
Un aspetto molto rilevante del nostro essere è che siamo strutturati secondo la differenza sessuale, di uomo e di donna. Come ben sappiamo, questa differenza non si limita agli organi sessuali, ma coinvolge tutta la nostra realtà. Si tratta di una differenza primordiale ed evidente, che precede le nostre decisioni personali, la nostra cultura e l’educazione che abbiamo ricevuto, sebbene tutte queste cose incidano molto, a loro volta, sui nostri comportamenti. Perciò l’umanità, fin dalle sue origini, ha concepito il matrimonio come un legame possibile soltanto tra un uomo e una donna.
Negli ultimi decenni si è fatta strada una posizione diversa, secondo la quale la sessualità andrebbe ricondotta alle nostre libere scelte. Come diceva Simone de Beauvoir, “Donna non si nasce, lo si diventa”. Perciò il matrimonio dovrebbe essere aperto anche a persone dello stesso sesso. È la teoria del “gender”, ormai diffusa a livello internazionale, nella cultura, nelle leggi e nelle istituzioni.
Si tratta però di un’illusione, anche se condivisa da molti: la nostra libertà, infatti, è radicata nella realtà del nostro essere e quando va contro di essa diventa distruttiva, anzitutto di noi stessi. Pensiamo, in concreto, a cosa può essere una famiglia in cui non vi siano più un padre, una madre e dei figli che abbiano un padre e una madre: le strutture di base della nostra esistenza sarebbero sconvolte, con gli effetti distruttivi che possiamo immaginare, ma non prevedere fino in fondo.
D. – Siamo davanti a un attivismo di carattere giuridico e sociale. Ormai il concetto di matrimonio tradizionale appare destinato a diventare qualcosa di obsoleto. C’è forse l’illusione che allargando l’istituto del matrimonio a ogni tipo di unione si risolva il problema, facendo sì che l’uguaglianza possa dirsi definitivamente raggiunta?
R. – Questa è appunto l’illusione: cancellare la natura con una nostra decisione personale o collettiva. Perciò sono vane le speranze di poter trovare un compromesso che accontenti tutti, ad esempio introducendo, accanto al matrimonio che rimarrebbe riservato a persone di sesso diverso, delle unioni civili riconosciute legalmente, alle quali potrebbero accedere anche gli omosessuali.
Queste unioni da una parte non soddisferebbero quell’istanza di assoluta libertà e parità che è alla base della rivendicazione del matrimonio omosessuale, dall’altra parte sarebbero un duplicato del matrimonio, inutile e dannoso.
Inutile perché tutti i diritti che si dice di voler tutelare possono benissimo essere tutelati – e in gran parte già lo sono – riconoscendoli come diritti delle persone, e non delle coppie.
Dannoso perché un simil-matrimonio, con minori impegni e obblighi, metterebbe ancora più in crisi il matrimonio autentico, senza il quale una società non può reggersi.
D. – Come valuta il fatto che una decisione divisiva come quella adottata dalla corte suprema americana sia stata presa da un tribunale e non da un parlamento?
R. – Lo valuto negativamente: la corte suprema, come anche ad esempio in Italia la corte costituzionale, ha infatti una legittimità democratica molto mediata e derivata. A mio parere è assai meglio affidare decisioni di questa portata agli organismi che hanno una legittimazione democratica diretta, come i parlamenti.
D. – Non crede che alla radice di questo progressivo smantellamento di ciò che è sempre stato considerato “tradizionale” ci sia il fatto che l’eguaglianza stia diventando
sempre più un dogma? Non c’è il rischio che la tradizione sia destinata ad andare incontro a una completa riformulazione?
R. – Distinguerei il concetto di uguaglianza. Intesa come uguale dignità tra tutti gli esseri umani l’uguaglianza è un principio sacrosanto. Intesa invece come negazione di ogni differenza e quindi come la pretesa di trattare nello stesso modo situazioni differenti, l’uguaglianza è semplicemente qualcosa che va contro la realtà.
D. – Cosa può fare la Chiesa davanti a tutto questo? A volte sembra arrancare, incapace di far sentire la sua voce. Negli ultimi decenni, poi, si è rapportata a questi mutamenti andando oltre lo storico dualismo tra progresso e tradizione. Viene da pensare, però, che superato questo schema duale si aprano problemi ben più gravi davanti ai quali le risposte possono essere percepite come ambigue o non chiare. Quali prospettive si hanno davanti?
R. – La Chiesa non può non battersi per l’uomo, come ha scritto Giovanni Paolo II nella sua prima enciclica – “Sulla via che conduce da Cristo all’uomo la Chiesa non può essere fermata da nessuno” – e come ha ripetuto Benedetto XVI anche nel discorso alla curia romana per gli auguri del Natale 2012: i valori fondamentali costitutivi dell’esistenza umana la Chiesa deve difenderli con la massima chiarezza.
Non mi sembra poi che oggi la Chiesa arranchi. Per stare al caso della Francia, i vescovi e i cattolici, insieme a tanti altri cittadini, sono stati sconfitti, almeno per ora, sul piano legislativo, ma hanno mostrato una vitalità e una forza culturale e sociale più grande dei loro avversari.
Solo apparentemente si tratta di dualismo tra progresso e tradizione: in realtà la vera sfida è tra due concezioni dell’uomo e io rimango convinto che il futuro appartenga a coloro che sanno riconoscere e accogliere l’essere umano nella sua autentica realtà. Le illusioni, invece, prima o poi si sgonfiano, spesso dopo avere provocato molti danni.
D. – C’è poi la questione del rapporto che hanno i cattolici con i grandi temi che intaccano la sfera dell’etica e della morale. In merito al caso specifico del matrimonio, non crede che negli ultimi anni il contributo attivo alla difesa di ciò che è sempre stato un simbolo millenario si sia attenuato e stemperato?
R. – I cattolici devono essere più consapevoli del significato culturale e sociale della loro fede. Quando questa consapevolezza si attenua la fede diventa insipida e incide poco non solo in ambito pubblico, ma anche nella capacità di attrarre le persone e di condurle a Cristo. Da questo punto di vista un certo modo di intendere la laicità della cultura e della politica rischia di privare la fede della sua rilevanza.
D. – La battaglia per l’eguaglianza si nutre di ragioni sentimentali. C’è un’idea di
amore che va al di là delle differenze di genere, della distinzione tra uomo e donna. È l’amore che si fa istituzione e diritto perfettamente uguale. È una china irreversibile?
R. – L’amore è una parola bellissima, che però può avere molti significati. Gli stati non possono, evidentemente, comandare o proibire a una persona di amarne un’altra e in questo senso le leggi non possono occuparsi direttamente dell’amore.
Possono e devono invece cercare di regolare nel modo più utile e più conforme alla realtà i comportamenti che nascono dall’amore ma hanno una pubblica rilevanza.
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