CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
Assemblea Generale
Roma, 12-15 novembre 2018
Introduzione Card. Gualtiero Bassetti
Presidente
Em.ze, Ecc.ze, Confratelli e Amici: benvenuti!
Nello scorso mese per diversi di noi entrare in quest’Aula è stata un’esperienza quotidiana, che abbiamo compiuto a nome di una Chiesa che più che voler fare qualcosa per le nuove generazioni intende con loro crescere nella comprensione e nella sequela del Vangelo. Sui passi del Risorto, con e sotto la guida di Pietro, abbiamo rinnovato la disponibilità a percorrere la stessa strada dei giovani, pur quando questa ne segna le lontananze. Con la saggezza dell’educatore, ci siamo lasciati interrogare dalle loro parole e – forse più ancora – dai loro silenzi, accettando di entrare anche nella notte delle loro solitudini.
Nel farlo, intendiamo offrire con umiltà e fiducia quanto abbiamo di più caro, ossia quell’esperienza cristiana che riscalda il cuore, apre gli occhi e ridona una nuova direzione: all’andare dei giovani come al nostro stesso cammino. Infatti, se Papa Francesco ha potuto riconoscere che «il Sinodo è stato una buona vendemmia e promette del buon vino» (Angelus, 28 ottobre 2018) è perché il tema della consegna del Vangelo alle giovani generazioni si è trasformato nella domanda su quale forma dare al nostro essere Chiesa. Sì, il Sinodo ci ha provocati a rinvigorire la nostra appartenenza e, quindi, a individuare le modalità della missione, con cui affrontare le opportunità e le sfide di questo tempo.
Del resto, all’appuntamento sinodale non siamo certo arrivati digiuni. Penso, in particolare, alle tante iniziative di ricerca e confronto che hanno animato le nostre Chiese negli ultimi due anni e che sono sfociate nell’intensa esperienza di quest’estate. Accompagnare i giovani sui sentieri della fede, così ramificati nei territori del nostro Paese, ci ha aiutato a ritrovare uno slancio propositivo, nella bellezza di un dialogo intergenerazionale. L’incontro con il Santo Padre ci ha mostrato una volta di più quanto possa essere appassionante l’impegno per costruire relazioni buone, di cura e dedizione. La consegna del Vangelo – della vita buona del Vangelo – non può, infatti, risolversi in una trasmissione di nozioni, ma si gioca all’interno di una rete di relazioni che recupera il senso della comunità: attraverso le parrocchie, le associazioni e i movimenti, i luoghi di spiritualità animati dalla vita consacrata e quelli solitamente abitati dai giovani, a partire dalla scuola, dall’università e dai luoghi della formazione professionale.
Non che sia facile o scontato: siamo consapevoli che troppi giovani oggi non ritengono la Chiesa un interlocutore significativo. Pesano mediocrità e divisioni, spesso alimentate ad arte, rispetto alle quali riaffermiamo la nostra vicinanza al Santo Padre. Pesano scandali economici e sessuali: ne parleremo nei prossimi giorni, aiutati da Mons. Lorenzo Ghizzoni. Pesa una cultura dell’autorità che esclude dalla partecipazione e, a volte, diventa anche abuso.
Ora, se la nostra missione non è quella di creare una Chiesa per i giovani, ma piuttosto quella di riscoprire con loro la perenne giovinezza della Chiesa, abbiamo davanti – e il Sinodo ce l’ha additata con chiarezza – un’unica via: quella che passa dalla misura alta della santità, frutto dell’incontro personale con il Signore Gesù, incontro cercato e custodito, celebrato e vissuto nella fraternità.
E non è forse lo stesso compito attorno a cui ruota questa nostra Assemblea?
***
L’approvazione della terza edizione italiana del Messale Romano costituisce l’atto finale di un lungo lavoro di studio, ricerca e confronto. Come ci aiuterà a ricostruire Mons. Claudio Maniago, tale lavoro ha attraversato diverse stagioni della vita ecclesiale: dall’Istruzione Liturgiam authenticam del 2001 al Motu proprio di Papa Francesco dello scorso anno, Magnum principium, che – in conformità al dettato conciliare – riconsegna alle Conferenze episcopali la grande responsabilità di “approvare” la traduzione dei libri liturgici. A ben vedere, non si tratta soltanto di una questione pratica, procedurale, ma di una tappa significativa del processo di riforma della Chiesa nella prospettiva della sinodalità.
Già l’Evangelii gaudium, del resto, auspica un ritorno a tale modello, vissuto dalla Chiesa soprattutto in epoca patristica. «Il Concilio Vaticano II – scrive il Santo Padre – ha affermato che, in modo analogo alle antiche Chiese patriarcali, le Conferenze Episcopali possono “portare un molteplice e fecondo contributo, affinché il senso di collegialità si realizzi concretamente (LG 23)” (EG 32)».
In questo orizzonte la pubblicazione di una nuova edizione del Messale non può risolversi nell’aggiornamento di un libro, ma costituisce un tassello prezioso della riforma liturgica, che va rilanciata, approfondita e affinata per un rinnovamento di vita delle nostre comunità cristiane. È un impegno decisivo, a cui ci introdurrà la relazione del Preside dell’Istituto Santa Giustina, Prof. Don Luigi Girardi, e a cui contribuirà il confronto tra noi, nei gruppi di lavoro come nel momento assembleare.
La votazione finale del testo presenta ancora alcune decisioni rilevanti che siamo chiamati a condividere. Mi riferisco, in particolare, alla questione della traduzione della supplica “et ne nos inducas in tentationem” del Padre nostro. Si tratta di una decisione da assumere con sapienza teologica e con saggezza pastorale, nella consapevolezza che il Pater è non solo parte integrante dell’Ordo Missae, ma si configura anche come la preghiera, che ritma il respiro orante del popolo di Dio.
In definitiva, sarà importante non sviare dal compito di impostare con lungimiranza una pastorale liturgica della recezione del Messale, perché la variazione di traduzione sia un’ulteriore occasione per quella formazione operosa e paziente affidataci dalla Sacrosanctum Concilium.
***
Cari Confratelli, usciamo da giorni che ci hanno fatto nuovamente sperimentare la fragilità idrogeologica del nostro Paese. Ci stringiamo solidali alle Regioni più colpite, rinnovando la nostra attenzione e la nostra disponibilità.
Lo facciamo mentre tocchiamo con mano anche altre fragilità, che minacciano lo smottamento sociale.
Penso alla fragilità valoriale. Alla fragilità del sentimento comune. Alla fragilità culturale: senza avvolgerci in inutili vittimismi, ne è espressione la stessa caricatura che anche di recente i media hanno offerto della nostra Chiesa, quasi fossimo preoccupati essenzialmente di difendere posizioni di privilegio e tornaconto economico.
In realtà, ciò che ci preoccupa è altro. Lo respiriamo stando in mezzo alla gente e facendo nostre le sue attese. Sono le attese frustrate rispetto al lavoro, per cui molti giovani, per poter immaginare un futuro, si ritrovano costretti ad andarsene dalla nostra terra. Sono le attese delle famiglie ferite negli affetti, che soffrono nel silenzio delle solitudini urbane e nell’avvizzimento dei sentimenti. Sono le attese degli anziani, che non si sentono più utili a nessuno, privi di quella considerazione di cui avrebbero – o, meglio, avremmo tutti – tanto bisogno. Sono le attese di una scuola qualificata, che sia frontiera e laboratorio educativo da cui non possono essere esclusi i nuovi italiani, per i quali torniamo a chiedere un ripensamento della legge di cittadinanza. Sono le attese di una sanità puntuale, attenta e accessibile a tutti. Sono le attese di una giustizia che – rispetto al malaffare e alla criminalità organizzata – continui a perseguire un uso sociale dei beni recuperati alla legalità. Sono le attese di un uso del potere, che sia davvero corretto e trasparente.
In un Paese sospeso come il nostro, caratterizzato dalla mancanza di investimenti e di politiche di ampio respiro, gli effetti della crisi economica continuano a farsi sentire in maniera pesante, aumentando l’incertezza e la precarietà, l’infelicità e il rancore sociale. Al posto della moderazione si fa strada la polarizzazione, l’idea che si è arrivati a un punto in cui tutti debbano schierarsi per l’uno o per l’altro, comunque contro qualcuno. Ne è segno un linguaggio imbarbarito e arrogante, che non tiene conto delle conseguenze che le parole possono avere. Stiamo attenti a non soffiare sul fuoco delle divisioni e delle paure collettive, che trovano nel migrante il capro espiatorio e nella chiusura un’improbabile quanto ingiusta scorciatoia. La risposta a quanto stiamo vivendo passa dalla promozione della dignità di ogni persona, dal rispetto delle leggi esistenti, da un indispensabile recupero degli spazi della solidarietà.
Stiamo attenti, dicevo: se l’Italia rinnega la sua storia e soprattutto i suoi valori civili e democratici, non c’è un’Italia di riserva. Se si sbagliano i conti non c’è una banca di riserva che ci salverà: i danni contribuiscono a far defluire i nostri capitali verso altri Paesi e colpiscono ancora una volta e soprattutto le famiglie, i piccoli risparmiatori e chi fa impresa. Così, se l’Unione Europea ha a cuore soltanto la stabilità finanziaria, disinteressandosi di quella sociale e delle motivazioni che soggiacciono ai vincoli europei; se perde il gusto della cittadinanza comune e del metodo politico della cooperazione, non c’è poi un’Europa di riserva e rischiamo di ritornare a tempi in cui i nazionalismi erano il motore dei conflitti e del colonialismo. Questo nonostante le opportune celebrazioni di questi giorni per il centenario della fine della Grande Guerra!
Come Vescovi non intendiamo stare alla finestra. La Chiesa vuole contribuire alla crescita di una società più libera, plurale e solidale, che lo stesso Stato è chiamato a promuovere e sostenere. In particolare, come Pastori, proprio perché consapevoli delle responsabilità spirituali, educative e materiali di cui siamo portatori, ci riconosciamo attorno a due principi, che appartengono alla storia del movimento cattolico di cui siamo parte.
Il primo è il servizio al bene comune. Nella complessità di questa stagione, i limiti individuali possono trovare una compensazione soltanto nella dimensione comunitaria, educandoci a pensare e ad agire insieme. La politica migliore è quella che opera in unità di mente e di cuore, senza cadere in faziosità. Al riguardo, a cent’anni dalla morte, l’esempio del beato Giuseppe Toniolo ha ancora molte cose da dirci: in una situazione in cui i cattolici erano politicamente irrilevanti e comunque impediti, egli seppe riunirli attorno a un impegno per il lavoro, la giustizia e la pace sociale; con il suo servizio culturale divenne promotore di legislazioni e di opere sociali a favore delle classi più disagiate. Così, la sua visione di un’economia per l’uomo, permeata dall’etica e governata dai principi di sussidiarietà e di solidarietà, rimane anch’essa una lezione estremamente attuale.
Il secondo principio è la laicità della politica. Ne sono stati interpreti uomini di fede che hanno fatto grande la nostra storia. Penso a un De Gasperi, che seppe lottare per difendere la propria fede con grande pudore, facendo gli interessi dei cittadini, in piena e sofferta autonomia di pensiero, di parola e di azione.
Cari amici, guardiamo avanti con fiducia. C’è un Paese che – come la vedova povera e generosa, di cui parlava il Vangelo di ieri – non solo sa contenere la preoccupazione ansiosa per il domani, ma continua a dare quello che ha e quello che è, senza far rumore, con larghezza di cuore e purezza d’intenzione. La storia è davvero scritta anche dai piccoli, anzi probabilmente proprio loro scrivono la storia più vera e profonda, più ricca di fiducia in Dio e di attenzione agli altri.
Su questa via c’è la possibilità per ciascuno di tornare al gusto di relazioni costruttive, perché vere, buone e belle. Il Vangelo non è un sospiro, ma un respiro a pieni polmoni: è quel silenzio che sostanzia ogni parola, quell’appartenenza che porta a riconoscersi comunità, quello sguardo che abbraccia ogni momento della vita.
***
Concludo affidando alla misericordia del Padre i Confratelli che, dalla scorsa Assemblea, Egli ha chiamato a sé: Mons. Giuseppe Rocco Favale, Vescovo emerito di Vallo della Lucania; Mons. Giovanni Marra, Arcivescovo emerito di Messina – Lipari – Santa Lucia del Mela; Mons. Bassano Staffieri, Vescovo emerito di La Spezia – Sarzana – Brugnato; Mons. Raffaele Castielli, Vescovo emerito di Lucera – Troia; Mons. Antonio Santucci, Vescovo emerito di Trivento; Padre Abate Tarcisio Giovanni Nazzaro, Abate Ordinario emerito di Montevergine; Mons. Pellegrino Tomaso Ronchi, Vescovo emerito di Città di Castello.
Un saluto colmo di gratitudine a quanti sono divenuti emeriti: Mons. Francesco Giovanni Brugnaro, Arcivescovo emerito di Camerino – San Severino Marche; Mons. Gabriele Mana, Vescovo emerito di Biella; Mons. Francesco Guido Ravinale, Vescovo emerito di Asti.
Infine, un benvenuto ai nuovi membri della nostra Conferenza: Mons. Cesare Di Pietro, Vescovo ausiliare di Messina – Lipari – Santa Lucia del Mela; Mons. Roberto Farinella, Vescovo di Biella; Mons. Francesco Massara, Arcivescovo di Camerino – San Severino Marche; Mons. Marco Prastaro, Vescovo di Asti; Mons. Franco Moscone, Arcivescovo eletto di Manfredonia – Vieste – San Giovanni Rotondo.
L’ultimo pensiero è per Mons. Stefano Russo, Vescovo di Fabriano – Matelica, che con gioia e fiducia accogliamo come nostro nuovo Segretario Generale.
————————————————————————————————————
NOI SIAMO CHIESA
Rispondiamo alla “Lettera al Popolo di Dio” di papa Francesco: il vero problema sono i vescovi per quello che pervicacemente si ostinano a non fare.
Siamo in ritardo nelle azioni e sanzioni necessarie sulla questione della pedofilia del clero, ha detto papa Francesco nella sua “Lettera al Popolo di Dio” del 20 agosto. Ora “ciascun battezzato si senta coinvolto nella trasformazione ecclesiale e sociale di cui abbiamo tanto bisogno”. Prendiamo in parola questo insolito appello e cerchiamo di dire pane al pane e vino al vino su una questione sulla quale la base cattolica non può che interloquire con le strutture del potere ecclesiastico, perché sono esse, ed esse sole, le responsabili della situazione. Ci sembra che quanto ha detto Gesù sullo scandalo ai piccoli (Mt 18,6) sia ancora scritto nel Vangelo!
Diamo per ben conosciute le informazioni e gli interventi di ogni tipo che hanno percorso e scosso l’universo cattolico da tempo, ma particolarmente in queste ultime settimane.
Quello che i vescovi italiani non hanno fatto fino ad ora:
- non hanno voluto riconoscere la gravità della situazione anche nel nostro paese ed hanno continuato a prendere tempo, usando in troppe occasioni solo belle parole. Nel 2002 la CEI definiva il fenomeno “talmente minoritario da non meritare un’attenzione specifica”. Poi si parlò anche di “complotto laicista”! Da allora ogni decisione è stata presa al traino degli input del Vaticano, a partire dalle “Linee Guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici” del 2012 (1). Tutto ciò ha portato alla logica de “il problema non è grave come altrove” e, comunque, “il vescovo è il supremo responsabile in ogni diocesi” scaricando così la questione o sul Vaticano o sul singolo vescovo. Tra le campagne organizzate dalla CEI in questi anni su tante questioni (unioni civili, testamento biologico, legge 40 ecc…) è mancata quella nei confronti dei preti pedofili; è sempre passata la linea di un facile giustificazionismo intrecciato con la logica, non evangelica, della difesa dell’istituzione.
- non hanno organizzato un monitoraggio continuativo e sistematico della situazione, caso unico in tutta Europa. A domanda Mons. Galantino ha candidamente confessato che la CEI non ha dati generali e ha invitato a documentarsi dalla stampa d’informazione.
- non hanno mai pensato ad alcun intervento a favore delle vittime. Ad esse tutti i testi della CEI dedicano solo poche generiche parole. A scanso di possibili rischi (per timore della magistratura) il comma 2 del punto 6 delle citate Linee Guida recita “Nessuna responsabilità diretta od indiretta per gli eventuali abusi sussiste in capo alla S. Sede o alla CEI”. Ci si riferisce con tutta evidenza a possibili rivendicazioni di tipo patrimoniale (2). Neanche lontanamente si è pensato ad interventi di tipo economico e neppure ad aiuti, nelle forme opportune, di tipo psicologico o di assistenza spirituale a favore di soggetti che hanno subito danni gravi le cui conseguenze, in genere, durano per decenni.
- non si rendono conto che le Linee Guida da loro approvate nel 2012 (e corrette nel 2014 dopo le osservazioni critiche del Vaticano) sostanzialmente difendono solo la loro casta clericale perché: non prevedono l’istituzione di strutture di accoglienza e di ascolto delle vittime che interagiscano col vescovo e con la magistratura. L’hanno fatto solo la diocesi di Bolzano nel 2010 e, in questi giorni, i vescovi dell’Emilia Romagna (3) ; non prevedono alcun intervento per controllare (od aiutare se del caso) il comportamento dei 226 vescovi; si appellano a discutibili norme di tutela (codice di procedura penale, Concordato del 1984 e diritto canonico) (4) per blindare qualsiasi intervento esterno per ottenere dai vescovi e dagli uffici dei vescovi informazioni o documenti (negli altri paesi la situazione è ben diversa); ricordano che il vescovo non ha l’obbligo giuridico di denuncia alla magistratura del prete pedofilo “salvo il dovere morale di contribuire al bene comune” (5). Una tale espressione appare risibile in sé per la sua genericità e per la sua inconsistenza ma soprattutto se confrontata col generale disinteresse per gli interessi generali della collettività (e per le vittime) dimostrato fino ad ora dalla scelta di dare sempre priorità alla copertura del prete pedofilo praticata in modo generalizzato dai vescovi italiani (6). L’assenza dell’obbligo giuridico dovrebbe essere sostituito da una, non ambigua, decisione dell’assemblea della CEI che obblighi i vescovi alla denuncia alla magistratura.
- Non hanno mai preso in considerazione la necessità “dell’esercizio penitenziale della preghiera e del digiuno” come ha chiesto papa Francesco per espiare come “santo Popolo di Dio” il peccato di alcuni dei suoi membri in modo comunitario. In altri paesi ciò è stato già fatto in molte sedi ed occasioni (7).
Quello che i vescovi potrebbero fare subito, entro tre mesi
Di fronte al riemergere ed all’aggravarsi del problema e dopo la “Lettera” del papa del 20 agosto, dopo le informazioni dalla Pennsylvania, dalla Germania, dall’Olanda (e altre sono preannunciate) i vescovi dovrebbero condividere quello che ha suggerito il Padre Hans Zollner S.J. (responsabile del “Centro per la protezione dei minori” dell’Università Gregoriana) nell’intervista al “Corriere della Sera” del 22 agosto: “la Chiesa italiana capisca che rischiare una brutta figura adesso è meglio che farla tra qualche anno ed essere travolti dagli scandali” (8). Di conseguenza riteniamo doveroso che la CEI (a partire dal suo Consiglio Episcopale Permanente che si riunisce settimana prossima) faccia scelte operative sulla base dei punti sopraesposti in modo che gli interventi concreti ( monitoraggio, atti penitenziali, referenti per le vittime, riscrittura completa della Linee Guida ecc… ) possano essere tutti realizzati o in fase di realizzazione entro un anno. All’avvio della sua presidenza della CEI il Card. Bassetti usò espressioni nuove, parlò di una Chiesa “un po’ pigra”, dalla “mentalità clericale”, “di laici cattolici che hanno molto da dire e da offrire al paese”. Le sue buone intenzioni sono state già neutralizzate od assorbite?
Cosa si fa nel mondo
I vescovi dovrebbero conoscere tutti i tentativi, in genere meritori, che tanti episcopati hanno organizzato negli ultimi anni sul problema della pedofilia. Non c’è da vergognarsi nel fare tesoro delle esperienze altrui in situazioni simili o identiche perché –ce ne accorgiamo ora- è stato generalizzato nella struttura ecclesiastica nel mondo il sistema della copertura della pedofilia del clero (quasi una procedura standard, un atto dovuto). Esiste poi il già citato “Centre for Child Protection” dell’Università Gregoriana, è quanto di meglio si possa trovare, ha già fatto incontri di riflessione e proposte al massimo livello italiano e internazionale. Bisogna poi sapere che le vittime sono riuscite ad organizzarsi. Da anni, a partire dagli USA, esiste il Survivor’s Network of Abused by Priests (SNAP). Si è costituito l’anno scorso in giugno l’ Ending Clergy Abuse (ECA), coordinamento mondiale delle vittime, che ha concluso un incontro a Berlino questo 16 settembre e che interloquisce con l’Alto Commissariato dell’ONU per i diritti umani, che, a sua volta, ha aperto un’inchiesta sulla situazione italiana che sarà resa pubblica in gennaio. In Italia il sito www.reteabuso.org ha una forte caratterizzazione antagonistica; la sua documentazione e le sue denunce non possono però essere ignorate od archiviate sulla base del fatto che esso è fortemente anticlericale.
Basta un gruppo di lavoro che non si occupa del problema principale ed urgente?
I vescovi non dovrebbero considerare in alcun modo soddisfatto il loro impegno sulla questione della pedofilia del clero con una ovvia e generica adesione alla “Lettera” del papa di agosto e con quanto sta facendo il Gruppo di lavoro istituito nel settembre 2017 dal Consiglio Episcopale Permanente della CEI e presieduto dal vescovo di Ravenna Mons. Lorenzo Ghizzoni . Esso, per i pochi nomi conosciuti (9), è costituito da membri degli uffici centrali della CEI e da esperti non indicati; non si ha notizie della presenza di vittime degli abusi (Galantino aveva assicurato che ci sarebbero state). Il gruppo di lavoro deve occuparsi solo di formazione e di prevenzione, fornendo supporto alle diocesi. Ghizzoni (Avvenire del 23 agosto) ha parlato di una bozza di documento già elaborata da sottoporre poi a diverse fasi di discussione e di deliberazione (10). A prescindere dal modo di procedere (tutto interno, quasi clandestino) l’impegno nella formazione è di lungo periodo, va fatto ovviamente ma presuppone, per essere credibile, una precedente radicale scelta di pulizia e di purificazione che riguardi il passato e che allontani il sospetto che questo Gruppo di lavoro sia soprattutto un modo informale per prendere tempo, per darsi una qualche immagine (anche presso il Vaticano) senza mettere- come si usa dire- i piedi nel piatto. Non si pensi e non si dica che la CEI fa il suo dovere perché esiste questo nebuloso gruppo di lavoro! La prima formazione da fare, il primo vero ed efficace messaggio per seminaristi, educatori, preti e vescovi è quello di scoperchiare il mondo clericale di cui ha parlato il papa con azioni concrete riconoscendo che il problema, dopo quello degli abusi concreti da parte dei preti, è costituito dall’ignavia e dal silenzio dei vescovi.
La presenza femminile
Infine, la questione dei preti pedofili non può essere posta come tutta interna a uomini maschi ed adulti, siano essi quelli che costituiscono il problema siano, invece, quelli che lo vogliono affrontare correttamente. I soggetti deboli, anche per la minore età , sottoposti, non solo agli abusi sessuali ma anche a quelli “di potere e di coscienza” di cui ha parlato il papa dovrebbero incontrare il volto femminile della Chiesa. In ogni forma di intervento tra quelle ipotizzate ci sia una presenza femminile, almeno paritetica con quella maschile, selezionata non in modo clericale ma in base alla capacità di affrontare queste questioni con la sapienza del cuore, come diceva papa Giovanni, e senza le preoccupazioni di tutelare il sistema ecclesiastico.
Sentendoci, nel nostro piccolo, espressione di quel Popolo di Dio a cui si è rivolto papa Francesco invitando a farsi carico della grave questione perché “se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme (I Cor. 12,26)” pensiamo che le nostre considerazioni e proposte debbano fare parte degli orientamenti che la nostra Chiesa dovrebbe assumere senza indugi.
Roma, 21 settembre 2018 NOI SIAMO CHIESA
(1) Mons. Charles J. Scicluna, uomo di fiducia del papa sul problema della pedofilia, dal 2010 in poi è intervenuto più volte dicendo “Vedo ancora troppo diffusa nella chiesa italiana la cultura del silenzio”.
(2) Altrove la situazione è ben diversa sotto molti aspetti. Per esempio, proprio in questi giorni la Conferenza episcopale svizzera ha stanziato 800.000 franchi a favore delle vittime di abusi prescritti.
(3) Essi istituiranno in ognuna delle quindici diocesi una équipe, composta prevalentemente da professionisti laici, appositamente formati, che si occuperà della prevenzione degli abusi e dell’educazione necessaria ad arginare una piaga che mina la credibilità delle istituzioni ecclesiali. Queste équipes raccoglieranno anche denunce su casi sospetti di pedofilia perpetrati da preti, religiosi e laici impegnati nella pastorale.
(4) Il comma 4 dell’art. 4 del Concordato del 1984 riprende integralmente il testo dell’art. 7 del Concordato del 1929, che dice: «gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altra autorità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero.” In questo modo si garantisce la completa separazione ed indipendenza dell’ordinamento canonico.
(5) Questa frase, insignificante da una parte e “furba” dall’altra, fu aggiunta dalla CEI alle Linee Guida nel marzo 2014 a seguito delle osservazioni critiche su questo punto espresse dal Vaticano che però chiedevano ben altro.
(6) In una famosa intervista al “Giornale” dell’1-4-2010 il p.m. di Milano Pietro Forno, competente sui reati sessuali, ha detto : “«Nei tanti anni in cui ho trattato l’argomento non mi è mai arrivata una sola denuncia, né da parte dei vescovi né da parte dei singoli preti e questo è un po’ strano». Forno aveva spiegato che «la lista dei sacerdoti inquisiti per reati sessuali non è corta», ma in nessun caso la denuncia è partita dall’ambiente ecclesiastico, bensì dai familiari delle vittime «dopo che si sono rivolti all’autorità religiosa e questa non ha fatto assolutamente niente». Una tale affermazione, mai contraddetta, è una vera e propria condanna senza appello della struttura ecclesiastica.
(7) Tra quanto a nostra conoscenza: la Giornata di digiuno e preghiera dei vescovi francesi il 7 novembre 2016 a Lourdes, un triduo simile dei vescovi del Sud Africa nel dicembre 2016 e, particolarmente toccante, la funzione penitenziale dei vescovi svizzeri a Sion, sempre nel dicembre dello stesso anno.
(8) Zollner continua “Mi preme di dire che l’Italia non ha ancora vissuto un momento di verità riguardo l’abuso sessuale e lo sfruttamento del potere per quanto riguarda il passato” e ancora “Mi auguro che le ultime settimane , con tante notizie sconvolgenti, abbiano aperto gli occhi e il cuore anche alla Chiesa italiana e ai suoi responsabili per impegnarsi senza esitazione e in modo consistente in questa chiamata del Signore a tutto il Popolo di Dio”.
(9) Tra chi partecipa al gruppo di lavoro l’unico nome di donna segnalatoci è quello di Anna Deodato. Da quello che sappiamo, sarà importante il suo contributo per il suo approfondimento del problema delle violenze nei confronti delle donne, soprattutto di quelle consacrate.
(10) Se testi devono essere scritti, dopo aver rifatto le Linee Guida in vigore, suggeriamo un testo vincolante in cui ci si occupi solo delle vittime e in cui si preveda che esse siano riconosciute, ascoltate, difese, assistite e anche indennizzate (per quanto ciò possa servire).
Roma, 21 settembre 2018 NOI SIAMO CHIESA
Lascia un commento