L’ALTRO
GIUBILEO
DOCUMENTO
DI “NOI SIAMO CHIESA” (ITALIA)
La fine del millennio alla
mente ed al cuore di molti credenti e non credenti si presenta come una
scadenza importante, che ritma il percorso dell’umanità, che impone una
riflessione e quasi una sospensione della quotidianità nella vita personale,
familiare e collettiva. Il 2000 è sentito come un anno diverso, un anno che
può essere di discontinuità rispetto a tutti gli altri.
Naturalmente, occorre essere
consapevoli della "relatività" del 2000, e del fatto che esso è una
scadenza convenzionale nel calcolo del trascorrere del tempo. Infatti, se per
i cristiani, come del resto per i calendari civili della maggior parte del
mondo, il 2000 ha
un suo particolare
fascino simbolico, emotivo o
commerciale, bisogna essere consapevoli che per credenti di altre fedi, ed in
particolare per ebrei e musulmani – che con i cristiani si rifanno ad Abramo,
ma hanno un altro modo di computare il tempo – l’anno che noi celebriamo con
tanta enfasi non ha alcun particolare significato.
In questo anno 2000,
comunque, Giovanni Paolo II ha convocato un Giubileo.
Su questo avvenimento vuole
portare un contributo di riflessione, per offrirlo all’insieme della nostra
Chiesa cattolica italiana, anche il nostro movimento – nato nel ‘95 in Austria, e poi
diffusosi in molti Paesi, Italia compresa, dando vita all’"International
Movement We Are Church" (Imwac) – che chiede una profonda riforma della
Chiesa cattolica romana.
1. Giubileo biblico,
Giubileo cattolico, bimillenario di Cristo
Nella lettera apostolica
"Tertio millennio adveniente (10 novembre ’94) con cui ha avviato la
preparazione del Giubileo, e poi nella bolla "Incarnationis
mysterium" (29 novembre ’98) con cui lo ha formalmente convocato,
Giovanni Paolo II mescola insieme tre cose molto distinte: il
Giubileo biblico, il
Giubileo papale, la celebrazione dei duemila anni dalla nascita di Cristo.
Questo mescolamento ha provocato molte negative conseguenze teologiche ed
ecumeniche.
A/ Il Giubileo biblico. Come e perché questo dovesse essere
celebrato
ce lo indica il capitolo 25°
del libro del Levitico: allo scadere di sette settimane di anni, cioè ogni
cinquantesimo anno, in terra d’Israele doveva essere proclamato il Giubileo.
In questo anno la terra doveva riposare, e doveva essere restituita agli
antichi proprietari; inoltre si liberavano
gli schiavi ebrei. A
prescindere se questo Grande Sabato sia stato mai davvero compiutamente
celebrato, esso nella Bibbia rappresenta un alto grido profetico di giustizia
sociale e il sogno di una società pacificata, riconciliata in se stessa e con
la terra.
Isaia (61, 1-4) profetizza
un "anno di grazia del Signore" che si situa nella stessa linea
prospettica del Giubileo. Gesù si riferirà proprio ad Isaia, dicendo che
"questa scrittura si è adempiuta", quando nella sinagoga di
Nazareth (Lc. 4, 16-21) leggerà i versetti del profeta che dicevano: "Lo
Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha mandato per annunziare ai
poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione, e ai
ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno
di grazia del Signore".
B/ Il Giubileo papale. Fu Bonifacio VIII, il 22 febbraio 1300, a proclamare il
primo Giubileo cristiano: identica nel nome, ma ben lontana da quella del
Levitico, la nuova istituzione ha il suo asse nella concessione delle
indulgenze (la remissione della pena temporale ai peccati già perdonati
quanto alla colpa) che si otterranno con un pellegrinaggio a Roma, alle tombe
degli apostoli. Il pellegrinaggio, assente nel Giubileo biblico, diventa il
cuore del Giubileo papale. Così il papato esalta il suo ruolo centralizzatore
e il suo esclusivo "potere delle chiavi".
Pur con alcuni cambiamenti,
il Giubileo "inventato" da papa Bonifacio (e che dal secolo XV si
celebrerà ordinariamente ogni 25 anni; l’ultimo è stato nel 1975), nella
sostanza rimarrà eguale. La stessa "Incarnationis mysterium"
afferma: "L’indulgenza è uno degli elementi costitutivi dell’evento
giubilare. Con l’indulgenza al peccatore pentito è condonata la pena
temporale per i peccati già rimessi quanto alla colpa" (n. 9).
C/ Il bimillenario della
nascita di Cristo.
Nel 2000 ricorre il bimillenario della nascita di Gesù (anche se tutti sanno
che questa cronologia è sbagliata di circa 5-7 anni). Ma, partendo comunque
dall’ipotesi che Gesù sia nato esattamente duemila anni fa, tutte le Chiese
cristiane erano, e sono, naturalmente felici e interessate a celebrare in
modo fraterno, concorde e sincero quest’eccezionale "festa di compleanno"
o, se si vuole, quest’evento "giubilare". Per questo, il 2000
poteva essere un momento di particolare concordia ecumenica, foriera di altri
importanti passi nel cammino del ristabilimento della piena unità tra tutti i
discepoli e le discepole di Gesù Cristo; un’unità lacerata, in particolare,
nel secondo millennio, dalle
irreparabili e reciproche
scomuniche tra Roma e Costantinopoli del 1054, e nel secolo XVI dalle vicende
della Riforma e Controriforma.
Ma, mescolando insieme
questi tre Giubilei, e invitando poi alle celebrazioni da lui indette i
cristiani non cattolici, papa Wojtyla ha compiuto un gesto unilaterale, ed
una strumentalizzazione, che rende tutto più difficile. Le Chiese ortodosse
ed evangeliche – giustamente – non intendono partecipare come ospiti a festeggiamenti
decisi unilateralmente a Roma, che ha posto le altre di fronte al fatto
compiuto. Malgrado ciò vi saranno, certamente, delle occasioni in cui
rappresentanti non cattolici parteciperanno durante il 2000 a iniziative decise
dal papa; ma come sarebbe stato più bello se tutte le Chiese, attorno allo
stesso tavolo, avessero discusso e deciso insieme "come" celebrare
i 2000 anni delle nascita di Gesù Cristo, senza che Roma tentasse di essere
il centro di ogni cosa!
D’altronde, il modo con cui
è stato organizzato il Giubileo papale non ha creato imbarazzo solo in àmbito
ecumenico. Esso ha creato e crea disagio, ed un senso di fastidio, anche in
alcune aree "conciliari" interne alle Chiesa cattolica. Noi,
comunque, ci riconosciamo in queste, e dunque riteniamo che sia nostro
diritto-dovere dire ad alta voce quanto ci sembra contraddire lo spirito del
Concilio Vaticano II.
2. Ascoltare gli ultimi,
cambiare le strutture
Cercando di cogliere lo
spirito profondo del Giubileo biblico, noi oggi vorremmo – e per questo ci
impegniamo – che questo "anno di grazia del Signore", il 2000, sia
un tempo forte d’ascolto della voce degli ultimi, degli esclusi, di quello
sterminato numero di donne e di uomini, di bambini, di vecchie e di vecchi
che vivono in condizioni tremende. Tutta questa gente, e cioè la gran
maggioranza dell’umanità, non solo non partecipa agli aspetti positivi del
progresso (è infatti privata dei diritti più elementari: alla vita, alla
salute, alla casa, all’istruzione…), ma ne subisce pesantemente gli aspetti
negativi, e spesso è mortificata nella sua identità culturale e religiosa.
Se anno
"giubilare" ha da esserci, esso non può che essere un anno di
cambiamenti profondi dei comportamenti e delle strutture di dominio politico,
economico e militare; di abbandono della cultura della violenza e della
guerra; di cessazione dell’abuso del creato e della sua violazione; di messa
in crisi del dominio del Nord opulento del mondo – in gran parte formalmente
cristiano – sul Sud depredato.
L’azione per la liberazione
dei poveri e contro le strutture che generano l’iniquità dovrebbe
intrecciarsi, ci sembra, con momenti in cui si sospende l’attivismo, si
privilegia l’assoluto sul contingente, l’essere sul fare, e si contrasta
l’erosione del senso di Dio. Insomma, come cristiani dobbiamo comprendere il
senso profondo del Sabato biblico e del riposo della terra richiesto dal
Giubileo, per tradurlo nella vita e nell’espressione della fede.
3. Ecumenismo o
celebrazione della propria identità dottrinale?
Anche se i citati documenti
papali sono verbalmente aperti all’ecumenismo, la logica della macchina
organizzativa del Giubileo 2000 mette in evidenza le sue contraddizioni
profonde.
Essi, infatti, prevedono sì
che il Giubileo, oltre che a Roma, si possa celebrare a Gerusalemme e,
soprattutto, nelle Chiese locali (diocesi). Ma il tam-tam turistico e
devozionale – ampliato dai martellanti servizi di Rai, Mediaset e di altre
reti televisive, salvo poche eccezioni – esalta la centralità assoluta di
Roma e, dunque, invita al pellegrinaggio per l’acquisto delle indulgenze.
Un pratica rafforzata
dall’ultima edizione dell’"Enchiridion indulgentiarum" (catalogo
delle indulgenze, datato 16 luglio e pubblicato il 17 settembre 1999).
Documento edito alla vigilia, quasi, di un evento che avrebbe imposto un ben
diverso senso di misura. Infatti, il 31 ottobre ’99, ad Augusta, Germania, la Chiesa cattolica romana e
la Federazione
delle Chiese luterane hanno insieme sottoscritto una "Dichiarazione
congiunta sulla dottrina della giustificazione" che "su verità di
fondo" raggiunge un importante consenso su un punto capitale – quello
del modo con cui Dio, per grazia, salva l’uomo che crede in Cristo – che per
oltre quattro secoli aveva diviso le due Chiese. Una divisione innescata
dalla protesta di Martin Lutero contro l’indegno traffico delle indulgenze e
l’idea che ci si potesse "meritare" la salvezza dell’anima con
un’offerta in danaro.
E’ davvero difficile
conciliare il documento di Augusta con la riproposta dottrina delle
indulgenze che costituisce anche un pilastro del Giubileo papale. Perciò
queste contraddittorie scelte di Roma provocano malessere in campo ecumenico.
Ci si domanda che ne è della lettera e dello spirito delle Assemblee
ecumeniche europee di Basilea (1989) e di Graz (1997), pur fortemente volute
anche dai vescovi cattolici oltre che dal "popolo ecumenico" della
Chiesa romana, in sintonia con le altre Chiese.
Ci sembra, in definitiva,
che il vino nuovo dell’ecumenismo non possa entrare negli otri vecchi del
Giubileo papale, da sempre istituzione tutta interna alla Chiesa cattolica.
4. Il pellegrinaggio:
conversione del cuore o primato di Roma?
Se nessuno può giudicare
come il singolo pellegrino viva nel suo animo il pellegrinaggio giubilare a
Roma, è certo che il pellegrinaggio come istituzione serve alla Curia romana
per un’ulteriore e forte affermazione della centralità e dell’autorità del
papato, e per riproporre una Chiesa che deve "apparire", contare
nei media, imporsi, quasi dominare il mondo ed anche le altre fedi.
Il Giubileo biblico non
prevedeva nessun pellegrinaggio: ogni pio israelita doveva celebrare il
Grande Sabato ove egli viveva: là cercando di ascoltare la Parola di Dio, fare
giustizia sulla sua terra, servire i suoi fratelli.
Del resto, noi cristiani mai
potremmo dimenticare le parole di Gesù alla Samaritana:"Viene un’ora in
cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. I veri adoratori
adoreranno il Padre in spirito e verità" (Gv. 4, 21-23). Alla luce di
queste forti parole di Cristo, noi diciamo alle nostre sorelle e ai nostri
fratelli cattolici: se Giubileo nel 2000 ha da esserci, esso sia celebrato non
pellegrinando a Roma, ma rimanendo nella propria terra, nella propria città,
nel proprio paese. Ciascuno si converta là ove vive, là si liberi dalle sue
schiavitù, là operi per la liberazione, là perdoni i suoi nemici, là faccia
riposare la terra, là si riconcilii con se stesso, con gli altri, con il
mondo, con il creato.
Se ci si pone in questa
prospettiva crea davvero disagio la rete imponente e pervasiva con cui si
cerca di convogliare a Roma, durante il Giubileo, tutte le categorie
(bambini, governanti, militari, artisti…).
Il Vaticano ha poi fatto
discrete pressioni perché la tradizionale celebrazione operaia, a Roma, per
il Primo Maggio, guidata dai sindacati confederali, non abbia luogo, in modo
che tutti gli operai, i cattolici e sperabilmente anche gli altri,
confluiscano nella celebrazione papale prevista lo stesso giorno. Ovviamente,
tutte queste manifestazioni di massa goderanno di una copertura mediatica
fortemente sollecitata.
Lo Stato italiano ed il
Comune di Roma hanno speso alcune migliaia di miliardi per favorire il
Giubileo, non solo con opere comunque utili alla collettività, anche passato
l’evento, ma pure con scelte molto discutibili – ecologicamente e
archeologicamente – come la galleria del Gianicolo, o ristrutturando con
denaro pubblico case di ospitalità di enti ecclesiastici.
La grande macchina giubilare
presenta una Chiesa cattolica compatta e convinta che questo modo di essere
"presente" sia quello giusto per affrontare un mondo sempre più
secolarizzato, al quale solo, o soprattutto, la Chiesa cattolica avrebbe
la parola salvatrice da offrire.
Il nostro disagio verso il
programma dei pellegrinaggi che porterà a Roma milioni di persone non
significa certo che noi non apprezziamo l’utilità di muoversi dalle proprie
case per visitare, altrove, paesi e culture diverse. Anzi, pensiamo che il
2000 potrebbe essere un’occasione privilegiata per incontrare altre Chiese, altre
fedi e altre culture.
Gruppi di cattolici di
diocesi italiane, ad esempio, potrebbero andare a visitare i cattolici che
vivono in diocesi brasiliane, o canadesi, o sudafricane, o filippine; o
comunità luterane della Scandinavia, o anglicane della Gran Bretagna o del
Kenya; o ortodosse russe, greche, georgiane, o delle antiche Chiese
orientali, copte, sire ed armene. Oppure comunità ebraiche in Israele,
musulmane e cristiane nei Territori palestinesi, buddhiste in Thailandia,
shinto in Giappone, indù in India, maya in Centro America.Sarebbe davvero
benedetto questo pellegrinare, slegato dalle indulgenze e da ogni pretesa
centralizzatrice, e basato invece solo sulla gioia di portare agli altri –
della stessa fede o no, non importa – i propri "doni" (esperienze
di fede e di vita, difficoltà, speranze, solidarietà, affetto), e ricevere da
essi i loro "doni".
Del resto, già alcune
parrocchie o alcuni gruppi cattolici più sensibili si sono lodevolmente posti
in questo cammino, convinti che non è ammirando le "pietre morte"
(i monumenti), o cercando rassicurazioni nell’istituzione ecclesiastica, ma
piuttosto incontrando le "pietre viventi" (cioè le persone con le
loro culture, le loro gioie e le loro sofferenze) che si possono scoprire le meraviglie
dello Spirito che soffia dove vuole, e crescere nella fede, nella solidarietà
e nella stessa comprensione dell’Evangelo.
5. "Mea culpa"
per i peccati di ieri o di oggi?
Nei documenti ufficiali sul
Giubileo e in svariate altre occasioni papa Wojtyla ha manifestato la sua
intenzione di fare un pubblico "mea culpa" per alcuni peccati
storici dei "figli della Chiesa", come l’Inquisizione, la
violazione della libertà religiosa, l’antisemitismo e l’antigiudaismo. Il
giorno scelto per questo gesto che darà un segno preciso al Giubileo è la
prima domenica di Quaresima, il 12 marzo del 2000.
E’ certamente importante che
il papa faccia un simile gesto, necessario per "purificare la
memoria"; e noi apprezziamo il fatto che Giovanni Paolo II insista in
questa scelta malgrado l’opposizione di alcuni settori ecclesiali più
conservatori.
Vi è tuttavia modo e modo di
proclamare l’annunciato "mea culpa": l’uno di fare i conti fino in
fondo con certe storture delle strutture ecclesiastiche che permisero certi
misfatti (infatti, solo a Dio spetta il giudizio sulla coscienza dei singoli;
ed alle scienze storiche situare i singoli accadimenti nei loro precisi
contesti) ; l’altro di ammettere il minimo possibile sulle vere cause
teologiche che hanno provocato nella Chiesa romana le grandi e pesanti ombre
ormai inconfutabilmente "radiografate" dagli storici. Per giudicare
la scelta papale, dobbiamo
dunque aspettare il 12
marzo.
Ma, seppure ci sarà, questo
"mea culpa" sarà del tutto insufficiente, anzi un grandioso alibi,
se esso si fermerà al lontano passato, e non arriverà anche al Novecento. In
questo secolo i vertici della Chiesa cattolica hanno appoggiato – con poche
eccezioni – i regimi fascisti e dittatoriali in Italia, Portogallo, Spagna,
ed anche le loro guerre di aggressione ed il loro dominio coloniale in
Africa, ottenendo in cambio favorevolissimi Concordati. E, in Germania, il
potere nazista non avrebbe potuto innescare la terribile seconda guerra
mondiale, e poi programmare la "Shoah" (lo sterminio del popolo
ebraico, in quanto tale), mandando alla morte sei milioni di ebrei, se non ci
fosse stata almeno la latitanza o il silenzio complice dei vertici
ecclesiastici e di larga parte del corpo complessivo delle Chiese (cattolica
e, occorre aggiungere, anche evangelica). L’eroismo, fino al martirio, di
quei pochi cristiani che si opposero al nazismo mette in ancor maggiore e
sinistra luce, la massa di quei cristiani che l’approvarono, o che di fronte
ad esso pavidamente tacquero.
Agli inizi di questo secolo
con metodi brutali Roma ha represso il movimento modernista, cioè il
tentativo di teologi e studiosi cattolici di rapportare la verità del Vangelo
alle scoperte scientifiche ed alle nuove interpretazioni teologiche. E negli
ultimi due decenni Roma ha operato, spesso, per mortificare le scelte, anche
sinodali, delle Chiese cattoliche locali in Olanda, Germania, Austria,
Svizzera, Stati Uniti d’America, Brasile, e per svuotare le potenzialità
riformatrici del Vaticano II che, attuate, avrebbero naturalmente messo in
questione molte strutture storiche del potere papale e curiale, per aprire
invece la Chiesa
ad una gestione collegiale e sinodale, coinvolgente l’intero popolo di Dio.
Proprio sotto l’attuale
pontificato, poi, la libertà della ricerca teologica è stata limitata, e
variamente puniti o emarginati sono stati teologi e teologhe invisi alla
Curia romana. La lista è lunga: il tedesco Hans Küng, il brasiliano Leonardo
Boff, l’olandese Edward Schillebeeckx, il francese mons. Jacques Gaillot, lo
statunitense Charles Curran, la brasiliana Ivone Gebara, il cingalese Tissa
Balasuriya. Se a tutti costoro durante il Giubileo non sarà pienamente ridato
l’onore ecclesiale ingiustamente tolto, il "mea culpa" per
l’Inquisizione sarà stato solo un diversivo per non affrontare oggi la "conversione"
che riguarda le colpe storiche di "oggi" della Gerarchia
ecclesiastica.
Ma un altro dato lascia
perplessi sull’annunciato "mea culpa": l’idea ventilata dal
Vaticano di elevare agli onori degli altari, durante il Giubileo, Pio IX e
Giovanni XXIII.
Se attuata sarebbe una
autentica e inaccettabile "provocazione" ecclesiale ed ecumenica la
proposta di proporre alla venerazione dei fedeli un papa che condannò la
libertà religiosa, la libertà di stampa, la libertà di coscienza, e che usò
tutte le maniere per costringere di fatto i vescovi riottosi a votare il
dogma della infallibilità pontificia (al Concilio Vaticano I, nel 1870)
insieme ad un altro papa che con ardimento profetico volle un Concilio per
varare – tra l’altro – la dichiarazione sulla libertà religiosa.
Noi non vogliamo ovviamente
giudicare la vita personale o la coscienza di Giovanni Maria Mastai Ferretti;
ma non possiamo non valutare storicamente ed ecclesialmente le sue scelte
come papa (scelte già "a quei tempi" fortemente criticate da alcune
personalità cattoliche più illuminate, oltre che dalla cultura laica). Per
questo, l’idea di Wojtyla di elevare Pio IX alla gloria degli altari ci
appare un’insanabile contraddizione che disorienta il popolo di Dio. Con tale
decisione, infatti, nella sostanza si affermerebbe che, in fondo, la Chiesa romana è sempre la
stessa, sempre santa, e sempre nel giusto: sia quando condanna la libertà
religiosa, sia quando l’approva. Perciò è possibile "pentirsi" per
le violazioni, nei secoli passati, da parte dei "figli della
Chiesa", della libertà religiosa, e insieme beatificare un papa che
condannò come eretica tale tesi.
Di fronte a questa
situazione, ci sembrerebbe opportuno che quanti – nella Chiesa – si sentono
disorientati dall’ipotizzata scelta papale scrivano al vescovo della loro
diocesi, esprimendogli la loro inquietudine per una beatificazione
sconcertante, e chiedendo che il pastore si faccia interprete a Roma di
questo loro sentire ecclesiale.
Infine, sempre a proposito
di "mea culpa", noi ci aspetteremmo che durante il Giubileo anche la Chiesa cattolica
italiana, nel suo insieme, riconosca che, salvo nobili eccezioni, nella sua
grande maggioranza, dai vescovi ai semplici fedeli, essa si compromise con il
fascismo e ne appoggiò le guerre di aggressione contro paesi africani (perché
non fare un pellegrinaggio di pentimento a Tripoli, ad Asmara, ad Addis
Abeba?).
La Conferenza episcopale italiana (Cei), poi,
dovrebbe fare il suo esplicito "mea culpa" per aver tentato, nel
1974, con pretesti teologici ma in realtà per esaltare il potere clericale e
democristiano in Italia, di imporre il "sì" all’abrogazione della
legge sul divorzio nel referendum in proposito; e. nell’81, di imporre il
"sì" all’abrogazione della legge sull’aborto. In ambedue i casi
violando le dichiarazioni enunciate pochi anni prima dal Vaticano II sulla
libertà religiosa e sull’autonomia dello Stato dalla Chiesa.
6. Immobilismo
autoritario o riforma della Chiesa?
Come testimonianza della
volontà concreta ed attuale di "conversione" della Chiesa cattolica,
da alcune parti sono stati proposti due atti che darebbero un effettivo tono
di fraternità al Giubileo: la riammissione dei preti sposati a celebrare
l’Eucaristia e l’ammissione dei divorziati risposati a riceverla. Nulla lo
impedirebbe, se non una rigidità etica e normativa che non ha radici né
nell’Evangelo né nella storia della Chiesa cristiana complessivamente
considerata. L’esclusione dei divorziati risposati non è mai esistita nelle
Chiese della Riforma e nelle Chiese ortodosse, e del resto già ora non è
rispettata da un certo numero di preti nella loro pastorale quotidiana.
Queste proposte si
inseriscono ovviamente in una prospettiva generale di riforma della Chiesa
cattolica, che potrebbe essere avviata proprio nell’anno giubilare. Adesso, in
questi dodici mesi, si dovrebbero fare i primi, decisi passi perché la donna
nella Chiesa non rimanga nell’attuale ruolo subalterno, e radicalmente
esclusa da una piena eguaglianza, con i maschi, nei ministeri ecclesiali;
perché gli omosessuali si incontrino con una pastorale non fondata sulla
emarginazione; perché il popolo di Dio partecipi alla scelta dei propri
pastori.
Vorremmo insomma un anno
giubilare in cui tutta la
Chiesa rifletta sulla sterilità di una precettistica
rigida, atemporale e diffusamente non rispettata in campo morale (soprattutto
per quanto riguarda la sessualità); e, per quanto riguarda specificamente la Chiesa italiana, vorremmo
che la Gerarchia
ponesse fine al suo interventismo in politica e alla sua martellante campagna
per ottenere finanziamenti pubblici per le sue scuole.
Vorremmo un anno giubilare
in cui vescovi, parroci, religiosi, suore, laici donne e uomini si
confrontino con sincerità su come annunziare credibilmente l’Evangelo in un
mondo secolarizzato, chiudendo un periodo fin troppo lungo di silenzio,
quando non di finzione, determinato dal diffuso clima di conformismo o anche
dalla paura di parlare, per tema di ritorsioni, nella proprio Chiesa,
malgrado il pressante invito a saper esporre con umiltà e coraggio le proprie
opinioni che a preti e laici pur rivolse la costituzione conciliare
"Gaudium et spes" (n. 62). Ma, per questo, ci debbono essere delle
strutture in cui si possa parlare in libertà, e con libertà. L’evento
giubilare diventerà questo "anno di libertà"?
7. Ridurre il debito
estero o restituire il maltolto?
Cercando di
"attualizzare" il Giubileo biblico, il papa ha insistito perché le
grandi organizzazioni internazionali ed i Paesi ricchi del Nord riducano
sensibilmente il debito estero che schiaccia molti Paesi del Sud.
Noi pensiamo invece che si
debba parlare solo di "condono globale" del debito estero. Ma,
soprattutto, che si debba andare alle radici del problema e giudicare le
cause dello sviluppo e del sottosviluppo a partire dal XVI secolo (inizio
dello sfruttamento su larga scala dell’America "scoperta" e
dell’Africa). In questo quadro si invertirà l’ordine dei soggetti: paesi
debitori (responsabili di rapine, schiavitù, oppressioni, colonialismo e
neocolonialismo) sono i Paesi del Nord, Paesi creditori gli altri.
Se è il Nord che deve
restituire il maltolto al Sud, e non pretendere da questo crediti, tale
capovolgimento di posizioni non si potrà attuare senza radicali modifiche
delle strutture economiche che dominano oggi il mondo. Dunque, un impegno in questo
immenso campo di giustizia deve diventare, all’alba del nuovo millennio, un
elemento determinante della fede dei credenti e della loro capacità critica
contro il neoliberismo e contro la globalizzazione capitalista.
In tale contesto è
problematica la campagna promossa in Italia dalla Cei -"Tu in
azione" – per riconvertire in investimenti locali una parte del debito
del Sud "comprato" con 100 miliardi di lire che si dovrebbero
raccogliere nelle parrocchie. E, infatti, questa campagna è stata contestata
dagli Istituti missionari del nostro paese. Questi, in un documento del
settembre scorso, sostengono "l’urgente necessità della cancellazione
immediata e globale del debito estero dei paesi più poveri"; chiedono
"la denuncia chiara delle cause, dei meccanismi e delle
responsabilità che sono alla
base del grave problema del debito"; criticano il mancato
collegamento della campagna
con quelle già esistenti. Ad integrazione dell’iniziativa della Cei, poi,
propongono: un impegno maggiore e più trasparente nella cooperazione per lo
sviluppo; maggior controllo del commercio delle armi e maggiori investimenti
nella prevenzione e nella soluzione dei conflitti; l’istituzione di un
tribunale di arbitrato internazionale per il debito; la revisione delle
strutture finanziarie internazionali e accordi di mercato per favorire scambi
equi.
Dopo quanto avvenuto poche
settimane fa a Seattle – ove un variegato mosaico di persone, di gruppi di
base, ma anche di politici – hanno contestato il modo con cui i Grandi
volevano imporre le regole del Wto (Organizzazione mondiale del commercio),
un impegno nel problema del debito estero, nella linea indicata anche dagli
Istituti missionari italiani, appare ancor più urgente.
Intanto, come piccolo ma
tangibile segno della proclamata conversione, perché l’anno giubilare non
inizia con una forma semplice e concreta di restituzione? Si mettano a
disposizione degli immigrati extracomunitari e delle loro organizzazioni
spazi fisici di parrocchie e di ordini religiosi che in Italia abbondano.
8. Un sogno: nel Duemila
si avvii il cammino verso un nuovo
Concilio
L’insieme dei problemi che
abbiamo sollevato – debole eco di molte altre voci che si levano dai quattro
angoli della Chiesa cattolica – non può certamente essere affrontato in un
Giubileo papale pensato per esaltare la centralità di Roma. E, infatti,
praticamente assenti sono, nel programma ufficiale giubilare, momenti dove la
gente possa parlare, intervenire, discutere, oltre che ascoltare i discorsi
papali.
Noi tuttavia abbiamo un sogno:
che nel 2000 la Chiesa
di Roma, nella sua coralità, avvii il cammino che la porti un giorno a
celebrare una grande assemblea conciliare per affrontare insieme – vescovi,
preti, religiosi, suore, laici, uomini e donne – i problemi che pone oggi
l’annuncio al mondo dell’Evangelo di sempre. Sarà, il cammino invocato, lungo
e difficile; ma nessun traguardo ambizioso si raggiunge se non ci si decide a
fare i primi, coraggiosi passi. Né l’indifferibile – ecclesialmente ed
ecumenicamente – riforma del modo di esercizio del primato papale, pur
apertamente auspicata dallo stesso Wojtyla, potrà mai concretizzarsi se
l’intero popolo di Dio non si assume le sue responsabilità per mettere in
crisi l’imperante centralismo che la
Curia romana difenderà a tutti i costi.
Questo itinerario dovrà
incrociarsi, Dio sa come, con il più ampio cammino dell’insieme di tutte le
Chiese cristiane verso la celebrazione di un Concilio autenticamente
universale, che faccia compiere un balzo decisivo per la riconciliazione
delle Chiese e la piena comunione eucaristica tra loro, così che in una
"diversità riconciliata" insieme servano il mondo, e soprattutto
l’immensa massa delle persone oppresse ed emarginate.
Traguardi utopici? Ma
nessuna grande meta è mai stata raggiunta se qualcuno prima non ha sognato di
raggiungerla, e per questo ha operato. E, del resto, noi sappiamo che lo
Spirito – come e dove vuole – continua a soffiare sulle Chiese e sul mondo.
Lo preghiamo, dunque, perché possiamo discernere ciò che Lui oggi dice alle
Chiese. E con il suo aiuto noi speriamo, malgrado i molti segni dell’inverno
che incombe, che la primavera sia vicina.
"Noi Siamo
Chiesa"-Italia
(aderente all’International Movement
We Are Church – Imwac)
Roma, 22 Dicembre 1999
Per informazioni o
chiarimenti rivolgersi a Luigi De Paoli portavoce nazionale di "Noi
Siamo Chiesa"( tel. 0656470668 E-mail <
luigi.depaoli@eurodatabank.com>) oppure a Vittorio Bellavite (tel.
022664753 E-mail <vi.bel@iol.it>)
Il sito Internet di
"Noi Siamo Chiesa" è <www.we-are-church.org/it>
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