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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

L’elezione del nuovo Arcivescovo – Una proposta di “Noi siamo Chiesa” per la Diocesi ambrosiana

 

L’elezione
del nuovo Arcivescovo

Una
proposta di "Noi siamo Chiesa" per la Diocesi ambrosiana

Il
15 febbraio il nostro arcivescovo Carlo Maria Martini, in base alle norme
canoniche in vigore, darà le dimissioni dalla cattedra episcopale di
S.Ambrogio e di S.Carlo. Non si tratta di dimissioni qualsiasi. Il magistero
di C.M.Martini è importante per chi partecipa alla vita ecclesiale della
nostra grande ed importante Diocesi. La sua voce ha un rilievo internazionale
ed è ascoltata da cristiani non cattolici, da persone in ricerca od
appartenenti alla cultura "laica". Essa emerge tra quelle dei
Vescovi italiani. La sua partenza è quindi un avvenimento che tutti
coinvolge.

Martini deve rimanere?

Nei mesi scorsi da esponenti prestigiosi della cultura "laica" è stato
auspicato che Martini resti a Milano: in sua assenza verrebbe meno
un’autorità, unica in questo momento, capace di parlare "con equilibrio
e rigore" di giustizia, di solidarietà.
Martini, in questa fase storica di grande disorientamento, è partito dalla
difficoltà di trovare valori individuali o collettivi condivisi, ha posto
problemi di senso e contemporaneamente ha indicato la necessità di un’azione
collettiva e solidale.
E’ stato capito? è stato seguito? Forse è stato capito da molti ma ci sembra che
sia stato seguito da pochi poiché i contenuti civili e sociali della sua
predicazione in città ed in Diocesi non hanno trovato diffusi riscontri nei
fatti. La civitas durante il suo episcopato è arretrata, l’ecclesia forse no,
ma è sicuramente ancora distante dall’ispirazione evangelica che il Concilio
Vaticano II aveva indicato.
Quanti hanno un ruolo nell’azione per il cambiamento nella Chiesa e nella
società devono allora ripararsi dietro la sua figura senza assumersi fino in
fondo le loro responsabilità? La ulteriore permanenza del nostro arciescovo
non potrebbe del resto che essere temporanea secondo le norme canoniche ed
invece a Gerusalemme, ora città del dolore al centro di ogni problema di
convivenza tra le fedi e tra i popoli, si affiancherebbe al Patriarca Michel
Sabbah e darebbe alla città ed a tutta la Palestina una presenza
ed una testimonianza autorevole della Chiesa universale.
Quello che Martini doveva dire l’ha detto. Ora il suo messaggio di ricerca
della voce del Vangelo da proporre ad un mondo complesso e pluriculturale va
studiato e soprattutto messo in pratica. Non sono pochi quelli che, nella
nostra diocesi, si sono dimostrati reticenti nei confronti della sua
predicazione e che vorrebbero un vescovo pronto a rivendicare identità e non
alieno dal conflitto con i "lontani".
Aspettare in silenzio il successore ?

Le dimissioni di Martini pongono il problema della sua successione. E’ una
grande questione per motivi evidenti. Tra questi il più importante ci sembra
la congiuntura civile ed ecclesiale in cui ci troviamo. All’inizio del terzo
millennio la situazione interna ed internazionale è oggettivamente difficile
e la Chiesa
è alla vigilia di inevitabili cambiamenti.
Cosa fare? Aspettare che il papa, o chi per lui, decida ed intanto partecipare
al chiacchiericcio, anche legittimo, diffuso nella Chiesa ambrosiana in
questi tempi sul possibile successore? Oppure affrontare uno dei problemi di
fondo della Chiesa cattolica che è quello della nomina dei suoi vescovi?
Il movimento "Noi Siamo Chiesa" nel primo dei cinque punti del suo
documento fondativo del 1995 "Appello dal popolo di Dio" aveva
posto la necessità del "reale coinvolgimento di ogni Chiesa locale
(Diocesi) nella scelta del proprio Vescovo" richiamandosi all’antico
principio canonistico contenuto nel Decretum Gratiani: "quod omnes
tangit ab omnibus tractari et approbari debet" ("ciò che interessa
tutti da tutti deve essere discusso ed approvato").
Questo coinvolgimento del popolo di Dio nella scelta del Vescovo non deve
essere-dice l’Appello- un atto isolato all’interno di una struttura
fortemente gerarchica, ma la "conseguenza dell’istituzione di strutture
di comunicazione e di dialogo permanenti, a livello diocesano, nazionale ed
internazionale dove le varie componenti del popolo di Dio, senza preclusioni,
possano discernere , in libertà ed in ascolto della parola del Signore, tutti
i problemi che riguardano la
Chiesa
".

Il sistema attuale

Il sistema attualmente in vigore è relativamente recente nella storia della
Chiesa. La formalizzazione dell’esclusivo potere di nomina dei vescovi da
parte del Papa ("eos libere nominat Romanus Pontifex") è avvenuto
con il Codice di diritto canonico del 1917 (can.329 § 2). Una norma così
tassativa non era mai esistita in passato; essa è la estrema conseguenza
dell’orientamento prevalso al Concilio Vaticano I.
L’ecclesiologia del Concilio Vaticano II non ha affrontato direttamente il
problema della nomina dei Vescovi o, meglio, si è limitato a sottolineare la
necessità che l’autorità civile non interferisca. Ha lasciato aperto il
problema della partecipazione del laicato e del clero alla designazione. Però
l’affermazione conciliare di una Chiesa carismatica prima di tutto popolo di
Dio, organizzata in modo orizzontale prima che verticale, apriva la strada a
una riconsiderazione della situazione.
La direzione scelta dal centro della Chiesa è andata nella direzione del
congelamento della situazione precedente e quindi in direzione diversa, se
non opposta, allo spirito dell’ultimo Concilio. Il canone 377 § 1 del nuovo
Codice del 1983 ha
sostanzialmente riproposto il dettato del codice precedente. Altri documenti
pontifici avevano già confermato questa linea solo dando qualche indicazione
sulle modalità di segnalazione delle liste dei candidati ma confermando
enfaticamente che esse non sono per nulla vincolanti e che le nomine restano
sempre di libera e piena competenza del romano pontefice (1).

Troppe nomine discutibili…..

Eppure, negli anni ’70 vi furono tentativi per avviare una prassi di
partecipazione nella nomina dei Vescovi ma senza successo. Troppe nomine
portarono a frustrazioni e a disamoramento nei confronti della Chiesa. Valga
per tutte la vicenda delle nomine nella Chiesa olandese (2), in quella
tedesca (3) ed in quella svizzera (4).
Dove la coscienza ecclesiale è più vigile e diffusa " le conseguenze di
queste nomine sono catastrofiche: la fiducia nella Chiesa di molti fedeli si
sente ancora una volta defraudata; nella Chiesa, proprio tra i cattolici più
attivi, aumenta il malessere. La
Chiesa
universale si sente ferita" (5).
I casi che si possono citare sono numerosi e riguardano in particolare
l’America latina (tra i più recenti quello dell’Arcivescovo di Lima) dove la
teologia della liberazione è stata ostacolata ricorrendo spesso a nomine ad
essa ostili (6).
Il sistema gestito in modo autoritario attraverso i nunzi apostolici
favorisce il conformismo. La selezione molto spesso avviene favorendo i
candidati più fedeli a Roma dal punto di vista disciplinare e dottrinale e
non quelli più pastoralmente capaci, in sintonia con l’ispirazione conciliare
e partecipi della cultura e della realtà ecclesiale locale. A questo scopo è
predisposta la procedura di selezione mediante più che discutibili
questionari da compilare sotto segreto. Il Card. Martini nel suo intervento
all’ultimo Sinodo dei Vescovi ha posto esplicitamente il problema con parole
inequivoche (7). Sono fatti ben noti. La situazione si è aggravata con questo
pontificato e ciò contribuisce alle difficoltà attuali della Chiesa cattolica.

Nei recenti incontri al massimo livello (Concistoro di maggio 2001, Sinodo
mondiale dei vescovi, ottobre 2001) il problema del rapporto tra le Chiese
locali e Roma è stato il tema dominante, le tensioni sono state forti ma per
ora tutto è fermo. Il problema della nomina dei Vescovi è connesso a quello
della struttura gerarchica e non comunitaria della Chiesa cattolica.

…e i danni nei rapporti ecumenici

I limiti di una decisione solo individuale e la mancanza di collegialità
nella decisione (oppure una collegialità di pochi, con decisioni non
motivate, gestite in segreto magari espressione di veri e propri gruppi di
potere ecclesiastico) sono stati analizzati, fin dal secolo scorso, in modo
obiettivo e drammatico dal Rosmini, teologo di insospettabile fedeltà alla
Chiesa (8).
Nei rapporti ecumenici, soprattutto con le Chiese nate dalla Riforma, il
problema centrale non è solo quello del ministero petrino. C’è anche il
problema di tutta l’organizzazione gerarchica anti-comunionale e
anti-collegiale della Chiesa cattolica, a partire da quello della nomina dei
Vescovi. Senza un modello ed una prassi diversa l’ecumenismo, dopo molti
passi in avanti, rischia di fermarsi o anche di arretrare.
Il Gruppo di Dombes, che in Francia svolge da tempo una preziosa ricerca
interconfessionale, nel 1976
ha
pubblicato un importante documento (9) in cui si
rileva che il problema dell’episcopato non deve essere affrontato soltanto
sul piano dottrinale, in quanto può essere decisivo il modo concreto del suo
funzionamento (vedi n.8 del documento); fra le proposte che esso avanza per la Chiesa cattolica ( n.8 e
n. 58) indica quella di un coinvolgimento di tutto il popolo di Dio nella
scelta dei Vescovi (10).

Il Sinodo dei Vescovi e la nomina del Vescovo

Ci saremmo aspettati che il Sinodo dello scorso ottobre 2001, tra i tanti
problemi relativi alla figura del Vescovo, affrontasse anche quello della sua
nomina. Pare invece che l’argomento sia stato trascurato. Nulla si dice nel
documento preparatorio (il c.d. Instrumentum laboris); poco pare sia stato
detto durante il dibattito (11) (almeno dalle scarse notizie trapelate),
nulla si dice nel Messaggio finale, nulla nelle segrete
"Propositiones" (12) indirizzate al Papa (e sulla base delle quali
egli scriverà un proprio documento).
Questo imbarazzante silenzio del Sinodo, in cui pure si sono ripetuti vivaci
contrasti sul rapporto tra Chiese locali e Curia romana, testimonia non che
il problema non esista ma che il Sinodo è uno strumento di collegialità
incapace di intervenire sulla struttura della Chiesa e sulla sua riforma
(13). La sua limitata rappresentatività e l’irrilevanza delle sue conclusioni
consultive hanno portato alla convinzione ormai largamente diffusa che le sue
sessioni servano solo come occasione di incontro tra vescovi, magari
interessante e per certi versi utile. Però anche le migliori analisi e
proposte si arenano di fronte al muro di gomma della Curia vaticana ed alla
permanente linea conservatrice di Giovanni Paolo II nella gestione interna
della Chiesa (14).
Dobbiamo accettare passivamente questo immobilismo? Tutto continuerà come
prima nella prossima nomina del nostro nuovo vescovo? Eppure anche la storia
della nostra Diocesi ci da segnali importanti. Basti ricordare che i due
patroni della Diocesi, i santi Ambrogio e Carlo, sono diventati vescovi di
Milano in modi del tutto inconcepibili per la nostra routine ecclesiastica:
S.Ambrogio è stato imposto dal popolo; S. Carlo è stato nominato vescovo
della diocesi di Milano a 27 anni dallo zio papa Pio IV. Dunque si può
cambiare. Nulla c’è di immutabile nella Chiesa se non la fede in Cristo.

La nomina dei vescovi nella storia della Chiesa cattolica

Gli studiosi di storia della Chiesa, senza distinzioni, confermano che la
designazione dei vescovi da parte della comunità dei credenti nell’evangelo è
stata costante nella Chiesa per secoli. Nella nomina del Vescovo
intervenivano, in forme diverse, il clero e il popolo ("clerus
populusque") e i vescovi vicini alla diocesi interessata. Solo a partire
dal XIII il papato si è andato appropriando del potere di nominare
direttamente i vescovi o di accettare la designazione fatta dal potere
politico.
L’intervento del Papa nelle nomine ed il conflitto secolare con re o principi
fa parte della storia tout court (e non solo quindi della storia della
Chiesa). Adriano VI, il papa riformatore, che per primo si trovò a
confrontarsi con Lutero, accolse nel 1523 tra le proposte di riforma della
Chiesa quella dell’elezione dei Vescovi fatta con voto segreto e secondo
coscienza (15). Questo proposito non ebbe seguito.
Al Concilio di Trento lo scontro per reintrodurre l’antica consuetudine della
presenza attiva del popolo alla designazione dei vescovi fu lungo e vivace
(16). La posizione episcopalista (che voleva tornare alla pratica della
Chiesa antica) rimase in minoranza a causa dello "spirito dei
tempi", dominato dall’assolutismo degli stati e dal timore dei
protestanti. E tuttavia il testo approvato al concilio di Trento fu più
blando di quello tassativo contenuto nel Codice del 1917.
Una prassi di origine apostolica che consentiva una maggiore comunione tra
vescovo e popolo fu così progressivamente e completamente abbandonata. Negli
ultimi secoli le deroghe alla nomina pontificia sono state tutte eccezioni in
pejus, dato che il papato romano ha permesso per secoli che fossero i sovrani
degli stati "cattolici" (Francia, Austria, Spagna e Portogallo e
colonie) a scegliere i vescovi che più loro facevano comodo, limitandosi ad
una pura ratifica. Quanto era consentito al potere civile era negato ai
credenti nell’Evangelo che partecipavano alla vita della Chiesa.

Antonio Rosmini riapre il problema nel diciannovesimo secolo

Come è ben noto, chi ha ripreso a parlare di designazione da parte del clero
e del popolo, con forti argomentazioni e fornendo una ricca documentazione, è
stato Antonio Rosmini. Nel suo celebre "Delle cinque piaghe della Santa
Chiesa" (quarta piaga) ed in tre lettere successive si parla della
"nomina dei vescovi abbandonata al potere laicale".
Rosmini non si occupa solo di stigmatizzare l’intervento dei re: egli
ripercorre con ricchezza di citazioni la storia dei primi secoli ed afferma:
"I Santi Padri i quali insegnarono che quella parte che ha il popolo
nell’elezione dei suoi Pastori procede dalla legge divina, ne trassero le
prove 1) dalla legge antica; 2) dagli Atti apostolici che ci narrano
l’elezione di S.Mattia, di S.Timoteo, e dei sette Diaconi; 3) da alcuni
luoghi delle lettere di S.Paolo; 4) dalle ragioni intrinseche procedenti
dalla dottrina di Cristo, cioè dalla dolcezza e ragionevolezza del governo
ecclesiastico, dalla dignità de’ Cristiani, dal fine dell’ecclesiastico
ministero, dalla sicurezza maggiore di un giudizio pubblico ecc..; 5)
dall’immediata tradizione non iscritta di Cristo e degli Apostoli" (17).

Per Rosmini la partecipazione del popolo alla elezione del vescovo non è di
diritto divino costitutivo ma di diritto divino morale: per cui se manca il
popolo o se interviene un potere civile la nomina non è invalida. Ma,
esauritesi le cause che hanno sospeso l’esercizio del diritto da parte del
popolo di designare il vescovo, è doveroso che si ritorni alla situazione
originaria.
Rosmini sostiene anche che
"il Clero ed il popolo può essere chiamato a concorrere alle elezioni
vescovili con diversi procedimenti, e il definire quali siano i più opportuni
dipende in gran parte dalle circostanze differenti in cui si trovano le varie
provincie" (18).

Con il Vaticano II nasce una nuova ecclesiologia

Dopo il Vaticano II l’istanza comunionale rinacque anche nella elaborazione
teologica e ne sono testimonianza, tra l’altro, i fascicoli monografici di
"Concilium" (si veda la bibliografia in appendice). Si può leggere
in particolare lo studio di Hervé-Marie Legrand (19) sul rapporto tra
"il vescovo che è nella Chiesa e la Chiesa che è nel suo vescovo" (secondo la
formula di S.Cipriano). Si tratta – egli dice – di
"una ecclesiologia in cui la partecipazione di una chiesa alla scelta
del vescovo appare come un’esigenza di struttura. Questa partecipazione non è
una venerabile usanza tra tante altrettanto legittime. Togliere questa pietra
all’edificio dell’ecclesiologia autenticamente cattolica e tradizionale
significa minarlo gravemente. Quando la centralizzazione amministrativa
sostituisce l’istituzione originale, allora non si realizza più
un’ecclesiologia di comunione, tra le chiese ed all’interno della chiesa
locale".
Le nuove prospettive aperte dal Vaticano II e sviluppatesi anche in seguito
ai numerosi dialoghi interconfessionali vanno nella direzione di un’ecclesiologia
di comunione e di corresponsabilità nella gestione della comunità dei
credenti (20).
Pensiamo quindi che non si possa rinunciare al carisma del popolo di Dio
nella designazione del proprio vescovo. Con essa non si può pensare di
esaurire ogni esigenza di democrazia e di comunione. Il progetto ultimo a cui
pensiamo è quello di una organizzazione della comunità dei credenti di tipo
sinodale che, ai vari livelli, preveda organismi collegiali con poteri non
solo consultivi. Un vescovo eletto dal clero e dal popolo ma dotato, come
ora, di ogni potere non sarebbe una soluzione soddisfacente. Riteniamo però
che l’andare nella direzione di un vescovo che sia diretta espressione del
popolo di Dio che dovrà presiedere sia comunque un fatto innovativo in questo
momento e che indichi la direzione da seguire anche per le altre riforme.

La Chiesa deve diventare comunione

Cosa impedisce ora di aprire le finestre ? di ascoltare i carismi diffusi ?
di percorrere nuove strade ? Per secoli la vita interna della chiesa è stata
un’isola "democratica" in un mondo in cui il potere di Cesare era
organizzato con criteri ben lontani dal clima di corresponsabilità e di
fraternità che si viveva in molte comunità cristiane. Adesso la situazione si
è completamente rovesciata. Inoltre non esiste praticamente più (se non forse
in Cina) l’invadenza del potere civile nella nomina dei vescovi a
giustificare un intervento così diretto ed esclusivo da parte di Roma.
Particolarmente dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989 e la crollo dei
regimi dittatoriali in America Latina si sono quasi ovunque nel mondo diffusi
sistemi democratici o che comunque praticano o dicono di voler praticare
elementi di democrazia. La chiesa cattolica ha invece mantenuto ed accentuato
nell’ultimo secolo e mezzo un sistema accentrato ed autoritario di cui la
nomina dei vescovi è solo un aspetto ( il controllo si estende sui seminari e
le università, sulla ricerca teologica, sulla liturgia ecc…).
Così Giuseppe Alberigo stigmatizza la situazione:
"Appare sconcertante che l’affermazione della democrazia politica in
luogo dei sistemi autocratici nelle aree dove il cattolicesimo era presente
non abbia indotto il pontificato romano ad adeguamenti, come era avvenuto in
occasione di altri precedenti grandi mutamenti culturali. Almeno sino agli
anni quaranta del XX secolo si assiste ad una aspra polemica nei confronti
del metodo democratico, frequentemente confuso con la secolarizzazione. Anzi
nei confronti di qualsiasi ipotesi di democratizzazione della Chiesa si oppone
un intransigente appello al "diritto divino" della struttura
ecclesiastica" (21).

La "democrazia" esiste già nella Chiesa cattolica

Nella chiesa cattolica vige un doppio sistema: uno rigido, centralizzato,
autoritario e maschilista (S. Sede-diocesi-parrocchia), ed un’ altro
flessibile, reticolare, collegiale, e anti-sessista, rappresentato dagli
istituti di vita consacrata, che si autogestiscono secondo le proprie
costituzioni interne (con ratifica a posteriori da parte della S. Sede che
interviene in casi eccezionali).
Vi è poi l’esperienza delle Chiese cattoliche di rito orientale il cui
modello sinodale, oltre a rappresentare un possibile percorso per un nuovo
rapporto con l’ortodossia, è in evidente contrasto con quello della chiesa di
rito latino ed è fonte di permanenti tensioni con la Curia romana come
testimoniano anche gli interventi dei padri sinodali appartenenti a queste
Chiese nel recente Sinodo (22).
Nella chiesa esistono da tempo collaudati sistemi di autogoverno. Riteniamo
che esistano i presupposti di ordine dottrinale e pastorale perché si pensi
finalmente ad una strada diversa per la struttura S.Sede-diocesi-parrocchia e
che sia necessario iniziare a percorrerla fin da oggi. Bisogna rimuovere il
clima di silenzio, di attesa e di accettazione passiva della situazione che
caratterizza quella parte della Chiesa che, dopo il Concilio, si è proposta
di seguire il Cristo, oltre che con la preghiera e le opere, anche con la
testimonianza del modo di essere e di organizzare la comunità di credenti.

Responsabilizzare il popolo di Dio nella Diocesi ambrosiana

Chiedere una responsabilizzazione del popolo di Dio della Diocesi di Milano
nella scelta del nuovo vescovo sarebbe, a nostro giudizio, poca cosa se essa
si limitasse ad una qualche consultazione dei due Consigli diocesani, quello
presbiterale e quello diocesano su una possibile ristretta rosa di nomi di
candidati (ma sarebbe sempre qualcosa di molto di più di quanto avvenuto in
passato). Ci sembra che la designazione del nuovo vescovo debba essere
l’occasione per un bilancio, per un ripensamento, per un momento di
responsabilità collettiva, per prendere atto che nella nostra Diocesi,
soprattutto negli ultimi venti anni, si sono sviluppati fenomeni culturali e
sociali lontani dai valori evangelici. Essi sono : la corruzione di
tangentopoli; l’indifferenza rispetto ai problemi della legalità; il
corporativismo e l’individualismo ostile agli immigrati e ad ogni idea di
solidarietà nazionale; il culto esclusivo del denaro, dell’immagine e del successo
(23) che ha, alla propria base, una concezione materialista della vita.
Grandi sono anche i problemi specifici che la Chiesa di S.Ambrogio e di
S.Carlo ha di fronte: le sue eccessive dimensioni; il mediocre funzionamento
degli organismi consultivi parrocchiali e diocesani (consigli pastorali); la
gestione di consistenti risorse economiche (sono sempre coerenti con
l’evangelico "gratis accepistis, gratis date" di Mt 10,8?); la
presenza di movimenti che si organizzano in modo separato e che sono diffidenti
nei confronti delle normali attività parrocchiali e diocesane; il quotidiano
cattolico l’"Avvenire" che ha un’unica linea politica ed ecclesiale
e che garantisce raramente l’informazione sul pluralismo presente nel mondo
cattolico; l’Università Cattolica, la cui funzione di stimolo e di ricerca
sulle grandi questioni della fede di fronte alla secolarizzazione, alla
scienza ed ai problemi Nord-Sud ci sembra discontinua e sicuramente
insufficiente; la scarsa efficacia e presenza dei cattolici democratici in
politica; il conformismo per cui posizioni critiche e propositive su
questioni pastorali sono sempre più rare; l’efficientismo nelle strutture e
nelle attività che, in alcune parrocchie, appare fine a sé stesso.
La nostra Diocesi però è anche ricca di tanti fermenti evangelici: i rapporti
ecumenici sono progrediti, l’intervento sociale è consistente, la meditazione
della parola di Dio si è diffusa, i settori del non-profit sono, a
maggioranza, animati da cristiani.
Gli interrogativi sono anche altri: il 47mo Sinodo diocesano conclusosi nel ‘94 ha una qualche
importanza nella vita della Diocesi? O è passato lasciando poche tracce con
la sua principale preoccupazione di prevedere tutto minuziosamente per la
vita ecclesiastica nelle sue 611 Costituzioni (24)? Perché il Sinodo tra le
tante cose di cui si è occupato nulla ha detto sul ruolo della donna nella
Chiesa?

Concrete proposte di comunione ecclesiale

La proposta di modificare il sistema di nomina dei vescovi ruota attorno alla
necessità di creare consenso e comunione tra i credenti con la ratifica da
parte del vescovo di Roma della guida che la chiesa locale ha individuato.
Nel caso di conflitto o di stallo nella designazione del nuovo vescovo il
Papa avrebbe il compito di arbitrare e di risolvere le tensioni. I modi
concreti per giungere a questo consenso possono essere diversi, come lo sono
stati nel primo millennio.
Rosmini propone che si debba:
"restituire al pieno suo atto la gran massima di S.Leone Magno:
"Qui praefuturus est omnibus, ab omnibus eligatur"(25); e quindi
che all’elezione del vescovo debbano concorrere 1) la plebe cristiana e pia
della diocesi, 2) il Clero della diocesi stessa, 3) i Vescovi comprovinciali
presieduti dal loro Metropolitano; 4) il Romano Pontefice come giudice e
definitore supremo" (26).
Il "Documento di Barcellona" (27) espressione di una approfondita
inchiesta in tutte le diocesi catalane e di una Assemblea tenutasi lo scorso
27-28 ottobre auspica un percorso "ideale" (lo si può leggere in
appendice) ed uno "fattibile"; quest’ultimo è proposto nei seguenti
termini:
"Quando si presenta la necessità di un ricambio nel ministero episcopale
proponiamo di sollecitare espressamente negli organismi diocesani (consiglio
presbiterale, consiglio pastorale, parrocchie, comunità e movimenti) un
dibattito rigoroso sul profilo che si considera adeguato per la figura del
Vescovo; questo profilo deve fondarsi sulla sintonia del candidato con
l’ispirazione evangelica e con uno spirito di comunione e di responsabilità
nei rapporti interni alla chiesa. Ugualmente è opportuno che si promuova uno
studio sulla qualità del funzionamento di questi organismi. Le
caratteristiche di questo profilo del vescovo devono riguardare la capacità
di animare e gestire in modo partecipativo la vita delle comunità così come
la conoscenza della società e la cultura nella quale vive la chiesa
diocesana".
Casiano Floristàn propone (28) un percorso simile. Come si vede sono tutte
proposte ben lontane da qualsiasi ipotesi di estensione alla nomina dei
vescovi di istituti tipici della democrazia rappresentativa delle istituzioni
civili. Ci sembrano percorsi forse non definitivi ma già da ora praticabili e
segno di ricerca della comunione nella comunità ecclesiale.

Una proposta per la nostra Diocesi

Il percorso che ci sembra oggi possibile nella diocesi di Milano è diverso da
quello "ideale" proposto dal "documento di Barcellona"
che "Noi Siamo Chiesa" condivide ed auspica sia realizzato
nell’ambito di una profonda riforma di tutta la struttura della Chiesa cattolica.
Nel frattempo ci sembra possibile ed auspicabile che le strutture della
diocesi concordino un percorso ispirato al Vaticano II. Esso per la sua
limpidità e per lo spirito di fraternità che ci sembra lo ispiri dovrebbe
essere condiviso (o almeno non ostacolato) anche dalla Conferenza episcopale
italiana e dal Papa ed indicare una strada nuova per la Chiesa nel terzo
millennio. L’itinerario che ipotizziamo dovrebbe essere promosso in primis
dall’arcivescovo Martini e concludersi per giugno-luglio, data alla quale con
ogni probabilità egli lascerà la Diocesi.
La
nostra proposta è la seguente:
1) Un gruppo informale di lavoro coordinato dall’arcivescovo e composto da un
limitato e paritetico numero di rappresentanti del Consiglio presbiterale
diocesano e del Consiglio pastorale diocesano elaborari entro Pasqua un testo
che indichi, anche presentando diverse opzioni, le questioni che si pongono
nel momento della designazione del nuovo vescovo, soprattutto quelle relative
al suo profilo ed ai principali problemi della diocesi. Questo gruppo esprima
la sua opinione se, nella consultazione di cui al punto successivo, debbano
essere anche discussi ed indicati dei nomi di candidati.
2) Da Pasqua a Pentecoste il Consiglio pastorale, il Consiglio presbiterale e
tutti i Consigli pastorali parrocchiali che lo vogliano (e comunque tutti i
Consigli pastorali decanali) esprimano le proprie opinioni sul testo proposto
mediante appositi incontri ed anche esprimendo opzioni diverse. Ugualmente
associazioni ed istituti di vita consacrata potranno fare pervenire le loro
opinioni.
Un significato particolare dovranno avere i punti di vista e gli auspici che
siano espressi dalle altre chiese cristiane La consultazione interna alla
Chiesa potrà essere arricchita dalle opinioni che si manifestino, anche
sollecitate, da parte di quelle realtà della società civile che si sentano
coinvolte nelle problematiche religiose e della presenza, anche sociale,
della Chiesa a Milano.
3) Il gruppo di lavoro presieduto dall’arcivescovo raccolga la consultazione
fatta in un testo conclusivo, anche esprimendo opzioni diverse, sulla base
del quale l’Arcivescovo interloquirà con i vescovi della Conferenza
Episcopale Lombarda e poi direttamente con il Papa per la nomina del nuovo
Arcivescovo.
Gli incontri dei vari consigli dovrebbero essere introdotti e conclusi da
preghiere e da invocazioni allo Spirito Santo. Una volontà di fraternità e di
comunione dovrebbe presiedere a questa consultazione per poter superare le
difficoltà indubbie nella ricerca di un consenso ricercato in un modo così
inusuale. Anche se un tale itinerario dovesse essere faticoso o parziale
sarebbe comunque un fatto evangelico e conciliare nella storia millenaria
della nostra diocesi ambrosiana.
Ogni ostacolo (29) dovrebbe essere superato di fronte all’urgenza di voler
essere più fedeli all’Evangelo ed allo spirito che animava la chiesa dei
primi secoli. Se di ciò si è convinti non dovrebbe mancare il coraggio di
innovare dando un segnale a partire dalla diocesi più grande del mondo cattolico
e guidata da un arcivescovo universalmente conosciuto e stimato.

La Diocesi abbia coraggio evangelico

Abbiamo formulato una nostra proposta gradualista e realisticamente
attuabile, sotto la diretta responsabilità del suo vescovo, nella speranza di
superare l’attuale sistema del segreto assoluto e dell’esclusione del popolo
di Dio, clero compreso.
Non ipotizziamo, ovviamente, alcuna campagna di tipo elettorale a favore di
questo o di quel candidato. Se differenti opzioni ci sono, se contrasti di personalità
o di impostazioni pastorali si scontrano, esse siano l’oggetto di una
fraterna discussione pubblica e di una contemporanea ricerca di comunione
fraterna. Ora i contrasti ci sono ma, quasi sempre, danno vita a gruppi di
pressione, anche portati avanti in perfetta buona fede, secondo modelli non
encomiabili, mutuati da istituzioni civili. E viene spesso tacitata nella
Chiesa l’opinione di quanti ritengono essere grave mancanza l’avere
trascurato od del tutto abbandonato molte delle ispirazioni del Vaticano II.
Il nuovo arcivescovo, quale esso sia, qualora si segua l’itinerario che
proponiamo, si troverà non di fronte a enormi responsabilità tutte
individuali sugli orientamenti pastorali da dare e sulle nomine da fare, ma
davanti a una ricerca collettiva, a una individuazione di problemi e di
difficoltà, a una speranza comune, ad un’offerta di collaborazione e di
coinvolgimento.
Possa la nostra diocesi avere questo coraggio evangelico!

NOI SIAMO CHIESA- Milano
15 febbraio 2002

Note
(1) cf. Pasquale Colella in "Considerazioni sulle nomine dei Vescovi nel
diritto canonico vigente" in Concilium n. 4/1990 pag. 119 e segg.

(2) cf. Richard Auwerda in "Diventare Vescovi in Olanda dopo il Vaticano
II" in Concilium n.7/1980 pag.163 e segg.

(3) cf. Norbert Greinacher e Norbert Mette in "Contro una cattolicità
messa sotto tutela" in Concilium n.2/1989 pag. 11. Il problema della
nomina dei vescovi in quel periodo (gennaio ’89) fu al centro della famosa
"Dichiarazione di Colonia" nella quale 163 docenti di teologia di
lingua tedesca si dichiararono " per una cattolicità aperta contro una
cattolicità messa sotto tutela". A quel testo fecero seguito analoghi
documenti di 63 studiosi italiani e di 62 studiosi spagnoli (i tre testi si
leggano su "Il Regno Attualità" rispettivamente sui numeri 4/1989,
10/1989 e 12/1989).

(4) Il vescovo di Coira, Wolgang Haas fu nominato da Roma al di fuori della
terna proposta dal capitolo della cattedrale che ha questo diritto in base ad
una rara ed antica norma democratica (tuttora in vigore). Questo vescovo,
dalla linea pastorale reazionaria, fu "cacciato" a furor di popolo
e di clero. Per risolvere il problema e salvare la faccia il Vaticano creò
appositamente l’archidiocesi del Liechtenstein a cui fu trasferito Haas, che
si vide in questo modo formalmente promosso ad arcivescovo anche se in una
sede più piccola e meno importante.

(5) cf. N.Greinacher e N.Mette cit. pag 12. La più vigorosa critica del
sistema attuale e la più forte sollecitazione per un suo cambiamento è contenuta
nel servizio speciale "La nomina dei vescovi" del numero 6/1988 di
Concilium a cura di James H. Provost e Knut Walf.

(6) cf. Casiano Floristàn in "L’elezione dei Vescovi" pag.200
saggio contenuto in "Vescovi per la speranza del mondo" a cura di
Marcio Fabri dos Anjos, Milano 2001, volume tradotto dal brasiliano e
pubblicato a San Paolo nel 2000 con il titolo "Bispos para a esperanca
do mundo. Uma leitura critica sobre caminhos de Igreja". Il saggio di
Floristàn per il suo interesse e la sua completezza viene riportato
integralmente in appendice a questo documento per gentile concessione
dell’editore.

(7) cfr. Adista n.75 del 29-10-2001; nel suo intervento Martini ha affermato
che "la riflessione sul Vescovo come strumento di comunione nella Chiesa
locale, e come colui che la rappresenta e la interpreta, porta a chiedersi
come sia possibile far sì che la
Chiesa
locale possa anche riconoscersi come espressione del
suo Vescovo, a partire dalle procedure utilizzate per la ricerca di candidati
adatti".

(8) cf. Lettera III in appendice a "Delle cinque piaghe della Santa
Chiesa", BUR Rizzoli Milano 1996, pag.302 dove il Rosmini afferma:
"Egli è certo che il privato giudizio s’inganna sovente, come quello sul
quale le affezioni e le inclinazioni particolari esercitano influenza non
piccola, ed è piegato sovente, senza che l’uomo stesso se ne avvenga, dal
favore, e dalle individuali raccomandazioni, e in ogni caso un uomo solo non
può, generalmente parlando, vedere tutto dove ci sono tante cose a vedere.
All’incontro non è così facile che si inganni o sia prevenuto il concorde
giudizio di tutti, giacché nel giudizio di molti le propensioni individuali
si elidono e distruggono scambievolmente, i particolari lumi e le speciali
vedute si completano coll’unirsi, e resta netta e concorde la verità. Al che
consuona la sentenza che pronunziarono i Sommi Pontefici Siricio ed Innocenzo
I quando dicevano "Integrum enim est iudicium quod plurimorum sententiis
confirmatur"(è corretto il giudizio che viene confermato dall’opinione
di molti).

(9) cf. Groupe des Dombes, Le ministère épiscopal. Réflexions et propositions
sur le ministère de vigilance et d’unité dans l’Eglise particulière, Taizé
1976

(10) Il documento afferma al punto n.62 : "Per manifestare che
l’autorità episcopale è radicata nella comunione ecclesiale, è importante che
la designazione del Vescovo sia frutto di un rapporto vivo e di una
consultazione tra il vescovo di Roma, i vescovi vicini, i preti della Diocesi
e tutto il popolo interessato. Ci sembra infatti auspicabile che tutto il
popolo di Dio sia associato nella scelta del suo vescovo".

(11) Il più esplicito è stato Mons. Jayme Henrique Chemello Presidente della
Conferenza episcopale brasiliana che ha denunciato i "processi oscuri e
pieni di sorprese" con cui vengono scelti i vescovi ignorando la voce
delle Chiese locali.
"A volte si ha la sensazione che un’opinione individuale possa essere
decisiva, sebbene in contrasto con molte altre ugualmente qualificate" (
cf . in "Il Regno" n.20 del 15-11-2001 pag.651)

(12) Questo testo segreto è stato recuperato, tradotto dal latino e molto
utilmente pubblicato dall’agenzia ADISTA sul n.80 del 19-11-2001.

(13) Dal 4 al 7 ottobre si è tenuto a Roma il Sopog (Synod of people of God
2001) promosso da IMWAC ("International Movement We Are Church", il
movimento internazionale di cui fa parte "Noi Siamo Chiesa") e da
altre organizzazioni che si battono per la riforma della Chiesa. In questo
incontro sono state elaborate posizioni alternative rispetto a quelle emerse
nel Sinodo; esse sono poi state comunicate alla segreteria del Sinodo. Si
vedano i documenti sul sito Internet "www.shadow-synod.net"

(14) A conferma ulteriore dell’inconsistenza del Sinodo (o della sua
paralisi) si può ricordare che verboso messaggio finale nulla si dice, salvo
una generica e del tutto ovvia condanna del terrorismo, sulla questione della
pace e della guerra in un momento storico così drammatico come quello
dell’ottobre dello scorso anno.

(15) cf. Giovanni Cereti in "Il significato ecumenico di una
collaborazione dei fedeli alla scelta dei Vescovi" in Concilium n.7/1980
pag.97 nota 2

(16) cf. Jean Bernhard in "Il Concilio di Trento e l’elezione dei
Vescovi" in Concilium n. 7/1980.

(17) cf. Rosmini citato pag. 265

(18) cf. lettera III in appendice a "Le cinque piaghe della Santa
Chiesa" citato pag. 299. Di seguito il Rosmini esprime " la
speranza che i Vescovi, conoscenti della condizione dei tempi in cui viviamo,
dei grandi bisogni della Chiesa, e delle speranze che a lei adduce il grido
alzato di libertà, vogliano dopo tanto tempo di disunione e d’isolamento,
radunarsi nello spirito del Signore, e trattare quelle cose che interessano
al reggimento della loro Chiesa. Imperciocché la sapienza collettiva e
l’unità dello spirito e dei mezzi è quello, di cui più che mai la Chiesa oggidì abbisogna:
ella abbisogna di sentire tutta la grandezza della promessa del Signore, il
quale disse, che dove due o tre saran congregati in suo nome, egli sarà nel
mezzo di essi".

(19) in "Il senso teologico delle elezioni episcopali secondo il loro
svolgimento nella Chiesa antica" in Concilium n.7/1972.

(20) Particolarmente efficace è Giovanni Cereti (citato pag.101) quando
afferma:" Queste prospettive facendo prendere sempre più coscienza ai
battezzati della loro dignità di figli di Dio in un popolo di fratelli (Mt.
23,8), hanno risvegliato l’esigenza di una partecipazione più attiva alla
vita della comunità, e non soltanto alla preghiera liturgica (SC 11.14.19
ecc..) o all’apostolato (LG 31.33; AA 2, ecc..) ma allo stesso governo della
comunità (cf. LG 12.32.37). La partecipazione di tutto il popolo di Dio alla
scelta dei propri vescovi appare così un’esigenza di quella ecclesiologia di
comunione che si va sempre più affermando e che ha indotto alcuni spostamenti
di accento di grande portata ecumenica che possiamo così riassumere :1) Il
ministero del vescovo viene sempre più compreso in rapporto alla
ministerialità di tutto il popolo di Dio; 2) La chiesa viene sempre più
compresa a partire dalla chiesa locale; 3) L’unità della chiesa deve sempre
più essere compresa come una comunione di "chiese sorelle" (cui
Roma presiede nell’amore)".

(21) cf. in " Forme storiche di governo nella Chiesa", lectio
brevis presso l’Università di Bologna, in "Il Regno" n.21 del
1-12-2001. Nella parte conclusiva della sua magistrale lezione Alberigo
indica delle strade che si potrebbero percorrere: "Il livello
legislativo dei grandi orientamenti generali dovrebbe essere affidato a un
organo assembleare di tipo conciliare, distinto da quello- molto ristretto ma
comprendente sempre il vescovo di Roma- responsabile delle decisioni di
governo, dalla scelta dei nuovi vescovi ( o dalla convalida delle scelte
operate localmente) sino alle numerose deliberazioni richieste dalle
circostanze". Per Alberigo la curia romana dovrebbe essere molto
snellita ed anche dislocata nelle diverse aree di presenza geografica della
Chiesa. Dovrebbe crescere il ruolo delle Conferenze episcopali e dei Sinodi,
anche continentali, e comunque, ai vari livelli, dovrebbe porsi " il
problema della partecipazione dei fedeli all’elaborazione delle decisioni che
li riguardano secondo il principio del quod omnes tangit".

(22) In particolare si può leggere in "Il Regno" n.21 del 1-12-2001 l‘intervento di
Gregorio III Laham, patriarca greco-melchita di Antiochia e di tutto
l’Oriente, che ha detto: "Si è atteso troppo ad applicare i decreti del
Concilio Vaticano II, e le direttive e le dichiarazioni delle encicliche e
delle lettere dei papi, e soprattutto del santo padre Giovanni Paolo II. Una
ulteriore attesa toglierebbe ogni credibilità alla buona volontà della Chiesa
di Roma in materia di dialogo ecumenico. Avviene esattamente il contrario: il
"Codice dei canoni delle Chiese orientali" ha ratificato usanze
assolutamente contrarie alla tradizione ed alla ecclesiologia
orientale!".

(23) Alcuni di questi fenomeni negativi sono stati indicati dal Card. Martini
nella sua ultima lettera pastorale 2001-2002 "Sulla tua parola"
(Centro Ambrosiano,2001) al cap. 3. Egli vi ha affermato che "Milano è
stata in questi decenni il laboratorio e la patria di fenomeni di costume e
di prassi politica che hanno segnato l’intera nazione". Martini, in
questa sua confessio vitae si è anche chiesto se egli, e tutta la Chiesa ambrosiana con
lui, non avrebbe potuto fare di più per denunciare questi peccati.

(24) La non coincidenza che c’è stata tra le conclusioni del Sinodo ed il
magistero di Martini risulta evidente leggendo la sua "Lettera di
presentazione alla Diocesi" degli Atti (Centro Ambrosiano, Milano 1995).

(25) cf. Lettera 10, 6.

(26) cf. Lettera III in appendice a "Le cinque piaghe della Santa
Chiesa" cit. pag. 310

(27) Si veda il testo completo riportato in Appendice.

(28)cf. volume citato pag. 210 dove sostiene che devono essere coinvolte
"tutte le istanze della comunione ecclesiale : la diocesi (mediante i
consigli presbiterale e pastorale che presentano la lista dei candidati), la
conferenza episcopale (che, attraverso un’apposita commissione, sceglie il
più idoneo della lista, oppure propone un altro candidato) e la Santa Sede (che
conferma, salvo casi speciali, il vescovo scelto). In questo modo si cerca di
evitare l’influenza nefasta di certi interessi politici o l’ imposizione di
una linea pastorale distante dal popolo e dal Vaticano II". Il saggio
del Floristàn , per la sua chiarezza e completezza, viene riportato
integralmente in appendice. Le modalità concrete della partecipazione del
popolo possono essere diverse e sono state diverse in passato. Salvatore
Capo, nell’importante saggio leggibile sul sito Internet citato in
bibliografia, per esempio propone. "Quando si rende vacante un seggio
episcopale, un legato nominato dal papa (può anche essere un vescovo) convoca
e presiede un collegio elettorale costituito da : tutti sacerdoti della
diocesi, anche quelli che non sono parroci; tutti i diaconi della diocesi;
tutti i componenti laici del consiglio pastorale diocesano; un rappresentante
laico di ogni consiglio pastorale parrocchiale. Questo collegio si riunisce
per una intera giornata dedicata alla preghiera, alla riflessione e
all’invocazione dello Spirito Santo. Alla fine della giornata si procede
all’elezione a scrutinio segreto e viene eletto chi ha riportato almeno i due
terzi dei voti. Nel caso in cui nessuno riporti i due terzi dei voti si
procede usando la stessa procedura in vigore per l’elezione del papa".

(29) Si potrà sostenere che questo percorso non è previsto dalla prassi e dal
diritto canonico. Ma, volendo proprio seguire la ricerca dell’ortodossia
giuridica, anche il codice prevede che si svolgano consultazioni; si
tratterebbe solo di dare un’interpretazione estensiva al canone 377 § 3 e di
fare anche riferimento al can. 129 § 2 dove recita che i fedeli laici possono
cooperare nell’esercizio della potestà di governo (di giurisdizione). Si può
anche fare appello al canone 212 § 3 in cui si afferma che "i fedeli hanno
il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori
il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa e di renderlo noto
agli altri fedeli".

Associazione "Cristianismo Siglo XXI" DI BARCELLONA

I partecipanti e le partecipanti al secondo Congresso di "Cristianismo
siglo XXI", tenutosi a Barcellona il 27-28 ottobre 2001 sul problema
della nomina dei vescovi approvano le seguenti proposte:

Ciò che si rifiuta

1-Senza disconoscere che la gestione di interessi generali richieda
discrezione nel trattare situazioni specifiche, rifiutiamo il segreto
sistematico che copre la procedura precedente la designazione dei Vescovi. Un
tale segreto è parte di un sistema che non applica alla vita interna della
Chiesa, in concreto nella elezione dei Vescovi, alcun sistema partecipazione
e neppure la norma stabilita dallo stesso diritto canonico in vigore (canone
119, § terzo) che dice :"Ciò che interessa tutte e tutti singolarmente,
da tutte e da tutti deve essere approvato". Questo segreto comporta il
rischio che una minoranza di vescovi, comportandosi come una oligarchia,
tenda a riprodursi indefinitamente per cooptazione.
2-Rifiutiamo il carattere vitalizio dell’esercizio della funzione episcopale
fondato sulla natura del servizio religioso (ministero) che di essa è
proprio. Quando per ragioni di età, di salute, di incompetenza e di
incompatibilità, è evidente e provato che il servizio religioso del Vescovo
sia seriamente compromesso, è necessaria l’immediata rimozione salvo il
diritto alle risorse economiche necessarie e salva la possibilità di
esercitare servizi pastorali quando ciò sia possibile.
3-Rifiutiamo l’intervento del Nunzio Apostolico nella designazione dei
Vescovi per il legame che questa figura ecclesiastica ha con lo Stato della
Città del Vaticano del quale è il rappresentante politico. Le funzioni che
esercita il Nunzio per quanto riguarda la nomina dei Vescovi possono essere
fatte proprie con ogni efficacia , nel nostro caso, dai vescovi della
Catalogna.

Ciò che si considera ideale

1-Collegandosi ad un’antica e diffusa tradizione di partecipazione di tutto
il Popolo di Dio nella elezione del Vescovo, auspichiamo che si instauri un
sistema di elezione mediante il quale il Popolo di Dio (clero e laicato)
possa esprimersi sulla persona che gradisce per la presidenza della chiesa.
Ovviamente in situazioni complesse ciò richiederebbe un sistema ben studiato.
Però esistono sufficienti esperienze di partecipazione a cui ispirarsi.
2- Ancora d’accordo con alcuni aspetti della tradizione e con lo spirito di
verità e di semplicità che deve ispirare la designazione ecclesiale, è
necessario prevedere la possibilità che si possa chiedere e decidere la
sostituzione di un Vescovo per incompetenza o incompatibilità comprovate. Una
tale possibilità non contraddirebbe il rispetto dovuto alla missione dei
Vescovi.
3-D’accordo con il principio della partecipazione, e articolandolo con il
diritto del Vescovo e con il necessario realismo, è necessaria la
partecipazione delle comunità nella elezione dei suoi responsabili pastorali.
4-Auspichiamo un sistema di presentazione di candidati a vescovo. Questa
possibilità si potrà organizzare mediante un sondaggio adeguatamente
preparato dal quale si possa ricavare una lista di persone che il Popolo di
Dio considera idonee per diventare vescovi.

Ciò che si considera fattibile

1-Supponendo che esista la volontà di ritornare alla tradizione ecclesiastica
di partecipazione del laicato e del clero nella elezione dei vescovi, sarebbe
necessario avviare dall’inizio una diffusa consultazione interpretando
ampiamente il canone vigente (c.377), specialmente nella sua ultima parte
senza escludere la sua estensione alla possibilità di preparare una lista di
persone idonee.
2-Quando si presenta la necessità di un ricambio nel ministero episcopale
proponiamo di sollecitare espressamente negli organismi diocesani (consiglio
presbiterale, consiglio pastorale, parrocchie, comunità e movimenti) un
dibattito rigoroso sul profilo che si considera adeguato per la figura del
Vescovo; questo profilo deve fondarsi sulla sintonia del candidato con
l’ispirazione evangelica e con uno spirito di comunione e di responsabilità
nei rapporti interni alla chiesa. Ugualmente è opportuno che si promuova uno
studio sulla qualità del funzionamento di questi organismi.
3-Le caratteristiche di questo profilo del vescovo devono riguardare la
capacità di animare e gestire in modo partecipativo la vita delle comunità
così come la conoscenza della società e la cultura nella quale vive la chiesa
diocesana.
4-E’ necessario prevedere un intervento significativo dell’insieme dei
vescovi della Catalogna nella nomina di un vescovo della propria regione sostituendo
l’intervento del Nunzio come intermediario tra il Vaticano e la Chiesa locale.

Chiediamo che per mettere in pratica queste proposte si considerino e si
studino accuratamente l’applicazione dei diversi sistemi concreti contenuti
nei risultati dell’inchiesta promossa dall’associazione.

Barcellona 28 ottobre 2001

L’ELEZIONE DEI VESCOVI

di CASIANO FLORISTÁN*

(capitolo ottavo del volume "I Vescovi per la speranza del
mondo" a cura di Marcio Fabri dos Anjos, Edizioni Dehoniane Bologna
2001, titolo originale "Bispos para esperança do mundo. Uma leitura
critica sobre caminhos de Igreja" San Paolo 2000. Il testo è stato
riprodotto per gentile concessione dell’editore)

L’elezione dei vescovi nella Chiesa cattolica è un argomento di così grande
ripercussione pastorale che, nel corso della storia e ancora oggi dopo il
concilio Vaticano II, suscita spesso tensioni, non solo nelle diocesi
interessate, ma anche negli organismi romani e nelle Chiese locali. Per
trattare della questione, esaminerò anzitutto la nomina recente di alcuni
vescovi, estremamente conflittuale, in non poche diocesi. In seguito
riassumerò gli orientamenti che si possono dedurre dalla storia della Chiesa
nel momento di scegliere i vescovi. Terrò presenti alcune premesse teologiche
e pastorali necessarie per non sbagliare ed eleggere i pastori migliori e
terminerò con la formulazione di alcune conclusioni.1

1. ATTUALITÀ DELLE NOMINE DEI VESCOVI

L’apertura del concilio Vaticano II lasciava sperare la nomina di nuovi
vescovi chiaramente conciliari e un cambiamento significativo nel modo di
elezione. Man mano che molti vescovi, che avevano partecipato attivamente e
con apertura esemplare al Vaticano II, si ritirarono per ragioni di età,
sorsero tensioni e conflitti per la scelta di successori, in alcuni casi
diametralmente contrari allo stile pastorale e al pensiero teologico dei loro
predecessori. Alcuni di questi vescovi rappresentano più il Vaticano I che il
Vaticano II.`Per esempio, hanno sorpreso le nomine dei successori di Dom Hélder
Câmara a Recife (Brasile), di mons. Oscar
Romero a San Salvador (El Salvador), del card. König a Vienna (Austria) e del
card.
Tarancón a Madrid
(Spagna), come pure la nomina di vescovi non tanto conciliari, come i
titolari di Colonia (Germania), Salisburgo (Austria), Namur (Belgio) e Coira
(Svizzera). Si ha l’impressione che con queste decisioni della curia romana e
delle nunziature si cerchi di imprimere alla Chiesa una svolta restauratrice.

"Le conseguenze di queste nomine – affermano N. Greinacher e N. Mette –
sono catastrofiche: la fiducia nella Chiesa di molti fedeli si sente ancora
una volta defraudata; nella Chiesa, proprio tra i cattolici più attivi
aumenta il malessere. La
Chiesa
universale si sente ferita".2
Di fronte a questa situazione, alcuni gruppi ecclesiali si sono fatti eco di
certe frustrazioni diocesane e hanno chiesto che nelle nomine dei vescovi si
segua un procedimento più sinodale e conciliare.3 Dopo la nomina del card.
Ratzinger al Sant’Ufficio, nel 1981, si è verificato un cambiamento nella
configurazione del modello di vescovo, nel senso che non interessano tanto i
vescovi aperti al mondo ma i vescovi obbedienti all’ortodossia romana e al
sistema ecclesiastico vigente.4

Nel novembre del 1988, cinque docenti di teologia pastorale si espressero
contro l’attuale sistema di nomina dei vescovi, qualificandolo come
"eresia strutturale", dal momento che, secondo loro, mette in
discussione la credibilità della Chiesa e mette in pericolo l’unità
ecclesiale. La
Dichiarazione
dei teologi di Colonia, nel giorno
dell’Epifania del 1989, sottoscritta da 163 insegnanti di teologia, ai quali
poi si aggiunsero altri docenti di vari paesi e facoltà, sollecitò che nella
nomina dei vescovi si seguisse un altro procedimento, più in sintonia con la
tradizione del primo millennio e lo spirito del Vaticano II. La stessa cosa
si può dire del gruppo "Noi Siamo Chiesa" (Wir sind Kirche), che
sorse in Austria nel 1995 e che nell’Europa centrale raccolse vari milioni di
firme. Nel suo manifesto si chiede che le Chiese locali "possano
partecipare alla scelta dei vescovi. Il vescovo eletto deve avere la fiducia
del popolo".5

"L’adeguatezza o non adeguatezza di un particolare modo di scegliere i
vescovi – affermano H. Provost e K. Walf – deve essere giudicata considerando
se di fatto promuove l’unità o se invece la ostacola, se annuncia il vangelo
in modo da rispondere alle necessità del tempo e di chi lo ascolta, oppure
no".6

2. STORIA DELL’ELEZIONE DEI VESCOVI

2.1. L’elezione dei vescovi nei primi secoli

Il modo di eleggere i vescovi è mutato nel corso del tempo.7 Nella Chiesa dei
primi secoli l’elezione dei responsabili delle Chiese e, concretamente, dei
vescovi era un diritto fondamentale del clero e del popolo. Tuttavia, secondo
la più antica tradizione, nessuna comunità ordinò il proprio vescovo e nessun
vescovo ordinò il proprio successore. La nomina dei membri del presbiterio
nella Chiesa primitiva era fatta mediante un accordo tra tutti i membri della
Chiesa locale, ossia, come documenta dall’anno 97 la Lettera di Clemente,
"con il consenso di tutta la comunità" (1 Clem. 44,3).
Una norma del secolo II, contenuta nella Tradizione apostolica di Ippolito,
dice:

"Si consacri vescovo quello che, irreprensibile, è stato scelto dal
popolo".8
Questa norma si imporrà a partire dal secolo III. Nell’elezione di un vescovo
intervenivano tre soggetti: il popolo di quella Chiesa particolare, il
presbiterio locale e i vescovi vicini. Se non si trovava un candidato idoneo
nella propria comunità, si cercava nelle diocesi vicine. Una volta eletto dal
popolo, il candidato era consacrato da un vescovo vicino, assistito da due
colleghi. In questo modo, la
Chiesa
si manteneva libera dai poteri politici interessati
a queste nomine.
Secondo san Cipriano di Cartagine (258), il popolo "ha il potere di
eleggere i vescovi degni e di rifiutare quelli indegni".9 A partire dal secolo III,
la nomina del vescovo è decisa dal consiglio dei presbiteri, con la
partecipazione di tre vescovi della regione come minimo (l’ideale erano
sette), come era stato prescritto dal concilio di Nicea nel 325.

Tuttavia, a partire da Costantino i vescovi vengono ad avere importanza
politica e i vescovadi acquisiscono importanza economica. In dipendenza da
questo fatto, nascono ambizioni e si giunge a elezioni discutibili. Diviso
l’impero in province, normalmente era il vescovo metropolita a consacrare i
vescovi della sua provincia. Per interessi di potere, gli imperatori
cristiani intervenivano spesso nelle elezioni dei vescovi. Celestino I, nel
428, determinò "che non si deve imporre al popolo un vescovo non
proposto dal popolo" stesso (Lettera 4)10. Di fronte all’abuso di certi
politici o ecclesiastici che volevano nominare i vescovi a loro piacere, il
papa Leone Magno (440-461), in una lettera ai prelati della provincia di
Vienne (Francia), affermò i diritti delle Chiese locali a nominare i propri
responsabili supremi richiamando il seguente criterio: "Chi presiede a
tutti dev’essere eletto da tutti" (Lettera 10,6)11. Gregorio Magno
(590-604) lottò contro la simonia e difese la libertà delle Chiese a eleggere
i propri vescovi. Tra i secoli VI e XI si ricordò continuamente che
l’elezione dei vescovi era un diritto tradizionale del clero e del popolo con
il consenso del vescovo metropolita.

Oltre al clero e al popolo ("clerus populusque") intervenivano i
vescovi vicini alla diocesi interessata. I conflitti che eventualmente
sorgevano erano risolti nei sinodi, che regolavano la confessione di fede,
proponevano direttive ecclesiali e condannavano le eresie. All’inizio ebbero
un ruolo importante le Chiese fondate dagli apostoli. Più tardi assunsero
questa funzione i patriarcati. Nel secolo III le Chiese di Roma, Alessandria
e Antiochia esercitarono un ruolo di guida, con Roma al primo posto. Secondo
la teoria della pentarchia, elaborata a Bisanzio, l’unità delle Chiese spetta
come responsabilità soprattutto a cinque sedi più importanti: Roma,
Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme. Quando si verificavano
tensioni, o la situazione della Chiesa lo esigeva, si celebrava un sinodo
universale, o concilio ecumenico. Il primo si celebrò a Nicea nel 325.
Con il passare del tempo nella nomina dei vescovi incominciarono a
intervenire, non solo i vescovi, ma anche i principi e altri signori feudali,
che presero il posto del clero e del popolo.

"Il principio della partecipazione di tutto il popolo di Dio alla
elezione dei vescovi, che sembra essere stata la norma generale nei primi
secoli- afferma G. Cereti – ha sofferto gravi deviazioni soprattutto per
motivi legati al potere civile in quella che si è soliti chiamare era
costantiniana".12

I re e i principi decidevano le nomine dei vescovi per interessi politici (il
vescovo esercitava influenza sulla popolazione) ed economici (i vescovadi
erano fonte di "redditi"). Si cercò di lottare contro questi abusi
e intromissioni dalla metà del secolo XI e prima metà del secolo XII. Fu
decisiva la riforma di Gregorio VII (1073-1085) contro le
"investiture". Il Decreto di Graziano (verso il 1140) afferma che
"l’elezione (del vescovo) spetta ai chierici; il consenso al
popolo".13 In
questo modo si rigetta l’intromissione laica.

Col tempo venne escluso poco a poco anche il clero, salvo il capitolo della
cattedrale. Siccome, però, tra i canonici si verificavano conflitti, si
giunse all’intervento quasi esclusivo della curia romana mediante le
nunziature, in nome della "piena potestà" del papa, principio
difeso dai canonisti medievali e sanzionato dal concilio Vaticano I.14

"Infatti – afferma J. Bernhard – l’elezione dei vescovi da parte della
comunità nei secoli Xlll e XIV è sostituita dalla designazione del
papa". 15

A partire dal secolo XV, per la designazione dei vescovi i papi stabilirono
patti con i re e i principi. Incomincia l’era dei "concordati". Si
deve riconoscere che la nomina dei vescovi da parte del papa si proponeva di
neutralizzare l’intervento, politicamente interessato, dei governanti laici,
oltre a rimuovere tensioni e discussioni pericolose tra i membri del capitolo
della cattedrale. In rapporto alla scelta dei vescovi, sono particolarmente
funesti i secoli XVII e XVIII, a causa dei privilegi o "regalie"
che alcuni capi di Stato ricevettero dalla Santa Sede.

2.2. La nomina dei vescovi oggi

La forma attuale della nomina dei vescovi nella Chiesa cattolica latina fu
decisa dai papi di Avignone nel secolo XIV, in nome del centralismo del
potere di tipo feudale, basato sul principio della plenitudo potestatis del
papa. I vescovi locali erano nominati da Roma quando si compivano i
"pagamenti" corrispondenti. A partire dal secolo XIX, il papa
interviene nella nomina di tutti i vescovi per mezzo delle nunziature. Non
dimentichiamo che i nunzi in principio non erano servitori della Chiesa, ma
rappresentanti del papa presso le vane corti. I1 Codice attuale dice che
"il sommo pontefice nomina liberamente i vescovi o conferma quelli che
sono stati eletti legittimamente" (can. 377), con l’intervento
eccezionale, in certi casi ben definiti, del capitolo della cattedrale.
Questo procedimento riflette una concezione di Chiesa, secondo la quale, come
afferma M. Kehl, "l’unità della Chiesa e le facoltà dei ministri sacri
derivano primariamente dalla suprema postestà giurisdizionale del
papa".16 Per dirla con le parole di J.I. Gonzáles Faus, "l’attuale
sistema di nomina dei vescovi porta a credere, implicitamente, che l’autorità
e la missione di questi proceda dal papa".17 Le Chiese locali, oggi, si
limitano a inviare liste di presbiteri "episcopabili" al nunzio, il
quale sceglie una terna da inviare alla Santa Sede. In seguito, la Congregazione dei
vescovi la conferma o la modifica, perché poi il papa decida. A volte non è
scelto alcun candidato della prima lista. In una parola, la decisione non
spetta alle Chiese locali o alle conferenze episcopali, ma alle nunziature,
alla Congregazione dei vescovi e alla Segreteria di Stato della Santa Sede.

Secondo alcuni ecclesiologi, l’attuale forma di elezione non è ideale, perché
fa intervenire un’unica istanza, quella romana. Dopo il concilio Vaticano II,
sembra che nell’elaborazione della lista dei candidati dovrebbero intervenire
le istanze diocesane, ossia il consiglio presbiterale e il consiglio
pastorale. Questa lista, poi, dovrebbe essere studiata dalla conferenza
episcopale, prima che la
Santa Sede
dia la sua approvazione definitiva.

"Se la Chiesa
di Roma ha il diritto di eleggere il suo pastore- afferma G.
Lafont – perché l’elezione del pastore di un’altra Chiesa locale non
obbedisce allo stesso principio? In altre parole, perché la funzione
pastorale del vescovo di Roma comprende normalmente il diritto di nominare
vescovi?". 18

L’uguaglianza di tutti i cristiani davanti a Dio, in base all’iniziazione
cristiana, dovrebbe aprire le porte della Chiesa a una nuova forma di
eleggere i propri pastori. Ci sono teologi e canonisti che chiedono su questo
punto (can. 377, § 3) una riforma del Codice di diritto canonico.
L’argomento "di proteggere la
Chiesa
dalle pressioni politiche locali – secondo H. Tincq
– è servito per molto tempo" alla Santa Sede per rivendicare a sé il
diritto di nominare i vescovi.19 Oggi le circostanze sono cambiate.

3. PREMESSE PER LA
NOMINA DEI
VESCOVI

3.1. Autorealizzazione delle Chiese locali

Di fronte a un’ecclesiologia post-tridentina sotto il segno dell’autorità
papale e uniformista, il Vaticano II ha accentuato la diversità delle Chiese
locali in seno all’unità.20 Ossia, come scrive H. Legrand:

"ha posto le basi di una rinascita delle Chiese locali, sia con la sua
teologia, che con una serie di orientamenti istituzionali e pratici, che
rispondevano ai desideri immediati dei padri conciliari".21

L’ultimo concilio ha valorizzato il ministero episcopale, ha formulato la
collegialità dei vescovi, ha promosso le conferenze episcopali, ha invitato i
vescovi di uno stesso luogo (regione, paese, continente) a collaborare tra di
loro e ha instaurato il sistema sinodale per tutta la Chiesa. In questo
modo è stata messa in rilievo l’importanza della Chiesa locale e si è cercato
di delimitare il potere centralizzatore della curia romana.22
Come la Chiesa
universale è affidata all’insieme dei vescovi in comunione con il vescovo di
Roma e sotto la sua direzione, così la Chiesa locale è affidata alla direzione di un
vescovo, che conta sulla collaborazione dei ministri locali. Dalle sue
origini, la Chiesa
è episcopale. La Chiesa
locale, però, non si chiude in se stessa. Per poter ricevere e trasmettere
l’apostolicità rimane in comunione con le altre Chiese.

"In questo modo – scrive H. Legrand – il Vescovo ha il compito di
rappresentare allo stesso tempo la
Chiesa
nella sua Chiesa e la propria Chiesa presso le altre
Chiese; questo fatto lo rende vincolo della Chiesa e testimone della
solidarietà che c’è tra le Chiese".23

"Una vera comunione tra le Chiese – scrive J. Komonchak – sarà di fatto
realmente possibile quando le Chiese locali e particolari assumeranno la
piena responsabilità della loro autorealizzazione".24

3.2. L’esercizio della collegialità

Di fronte al centralismo burocratico vaticano, il concilio Vaticano II ha
auspicato un sistema collegiale: il papa assieme ai vescovi e non solo il
papa con la curia.25 La collegialità è stato un tema molto dibattuto nel
concilio. I vescovi progressisti volevano decentralizzare la Chiesa, porre l’accento
sul popolo di Dio e aprirla al mondo delle diverse culture, senza dimenticare
il ministero petrino. La novità della collegialità episcopale prospetta una
forma nuova di relazioni tra il papa, i vescovi e le Chiese locali, per
mezzo, soprattutto, del sinodo dei vescovi, delle conferenze episcopali e
della curia riformata.26

Il sinodo dei vescovi, istituito da Paolo VI, apparve come una grande
innovazione istituzionale postconciliare.27 Esso è formato dai "vescovi
eletti tra le diverse regioni del mondo" per prestare al papa "un
aiuto più efficace", partecipando "alle preoccupazioni della Chiesa
universale" (Christus Dominus, n. 5). I1 nuovo Codice di diritto
canonico parla del sinodo dopo il papa e il collegio episcopale, ma prima del
collegio dei cardinali (cann. 342-348). La funzione dei sinodi è quella di
esprimere al papa la propria opinione come consiglio consultivo. Per sua
natura non può prendere decisioni. G. Matagrin, vescovo emerito di Grenoble,
afferma che i sinodi ordinari "non hanno nessuna importanza e non
esercitano nessun impatto" 28. In realtà il sinodo non è espressione
piena e rigorosa della collegialità episcopale, ma è appena un organismo
pontificio. Si limita, come scrive M. Kehl, "a preparare una bozza per
una dichiarazione papale successiva".29 Per questo, il sinodo ha
modificato molto poco l’esercizio del potere papale.

3.3. L’influenza di una cultura democratica

Dopo il concilio Vaticano II, l’accettazione della collegialità e l’entrata
in vigore dei consigli a tutti i livelli ha supposto – almeno sul piano
teorico – l’inizio di una certa democratizzazione della Chiesa. Purtroppo su
questa linea si è avanzato poco. Ricordiamo che nella Chiesa si vota in modo
democratico soltanto due volte: nella elezione del papa (i cardinali) e in un
concilio (i vescovi). Il fatto che i cattolici siano stati testimoni di questi
due tipi di votazioni durante l’ultimo concilio, ha contribuito a creare
atteggiamenti di dialogo e di consenso in un decennio di crescita della
democrazia. D’altra parte, l’elaborazione dei testi conciliari in molti casi
fu possibile grazie a forme di partecipazione che esigevano una grande
capacità di negoziazione e di ricerca del consenso.

La nostra società occidentale è cambiata profondamente. Non è più la società
tradizionale, rurale, formata da classi sociali stabili e scarsamente
istruita, ma è pluralista dal punto di vista culturale, democratica quanto
all’esercizio del potere e in continua trasformazione. La Chiesa inserita in questa
società richiede interazione tra i suoi membri mediante un sistema sinodale
che permetta un vero dialogo. Il Vaticano II fu dialogo dei cattolici tra
loro, con i cristiani non cattolici, con le religioni non cristiane, con gli
atei e con il mondo. I tre nuovi segretariati istituiti, per l’unità tra i
cristiani, per il dialogo con le religioni non cristiane e con i non credenti,
sono la prova di questa volontà di dialogo. Paolo VI consacrò al dialogo la
sua prima enciclica, Ecclesiam suam, pubblicata nell’intervallo tra la
seconda e la terza sessione del concilio (6 agosto 1964).
L’importanza e la necessità del dialogo nella Chiesa si sono imposte tanto
che oggi è impossibile che l’azione pastorale non ne tenga conto.30

"Il punto nevralgico della crisi di sviluppo della Chiesa cattolica nel
momento attuale – affermava nel 1970 un gruppo di cattolici tedeschi – sta
nel fatto che in ambito ecclesiastico non vigono i principi della democrazia
moderna".31

Evidentemente, la Chiesa
non è democratica nel senso strettamente politico della parola, ma non è
neppure, in senso stretto, una monarchia assoluta, condizionata al modello di
un’epoca storica. Quando si dice che nella Chiesa dovrebbe penetrare la
cultura democratica moderna, non si difende una democratizzazione in senso
politico come nello Stato, dal momento che nella Chiesa la sovranità
appartiene a Cristo e, in fondo, essa è dono di Dio.32 È chiaro che la verità
evangelica, come afferma Giovanni Paolo II, non obbedisce alle leggi della
maggioranza.33 Si tratta, scrive A. Torres Queiruga, della
"configurazione storica di questa istituzione e del modo concreto di
esercitare" il servizio gerarchico e non di conformarla dogmaticamente
in altro modo.34 È un fatto che c’è una distanza preoccupante tra la forma di
governo vigente nella Chiesa e quella che regge i governi veramente
democratici. Sulla base della tradizione sinodale della Chiesa e della
collegialità, si potrebbero accettare molti valori della democrazia.35 La
parola democrazia si applica a una forma di società e a un sistema politico.
P. Valadier indica certe esigenze proprie di un sistema democratico: governo
del popolo, controllo del potere, regime rappresentativo, freno al potere per
il potere, stato di dintto.36 Se lo si applica alla Chiesa, dice P. Valadier,
si deve riconoscere che c’è un’affinità tra le virtù Evangeliche ed i valori
della democrazia e che la
Chiesa
è una società di uguali, con doni e poteri
equilibrati.

Nella Chiesa c’è poca cultura democratica, come dimostra la scarsità di
deliberazione, dialogo, critica, libertà e pluralismo.37 Quando si propone di
introdurre nella Chiesa la cultura democratica, si esprime il desiderio che
la partecipazione attiva dei fedeli sia reale, che ci sia dialogo tra tutte
le componenti della Chiesa, che i responsabili ascoltino le basi, che sia
possibile un’opinione pubblica da parte dei battezzati e che il clero e i fedeli
possano intervenire nella nomina dei vescovi.

4. CONCLUSIONI

1. La concezione della Chiesa come comunione, il recupero della collegialità,
le prospettive sinodali aperte dal concilio Vaticano II, i numerosi dialoghi
interconfessionali e le attuali esigenze di cultura democratica, devono
incidere nella configurazione di un nuovo sistema di elezione dei vescovi.
Ricordiamo che il Vaticano II ha rivalutato la responsabilità ecclesiale dei
vescovi e delle Chiese locali a partire dal modello di Chiesa intesa come
communio Ecclesiarum.

2. A partire dal Vaticano II, è stata favorita la partecipazione dei laici in
nome della loro appartenenza alla Chiesa e della loro corresponsabilità in
tutta l’attività pastorale. Se tutta la comunità deve partecipare all’elezione
dei suoi pastori, i laici non devono essere esclusi. Grazie al sensus
fidelium, il popolo di Dio ha la capacità spirituale e sacramentale di
partecipare alle elezioni dei vescovi.38
Ricordiamo che, secondo il Pontificale Romano del 1968, "la consacrazione
episcopale deve essere fatta con la partecipazione del popolo fedele"
(n. 1). E perché non anche la sua elezione?

3. Con il passare del tempo, l’elezione dei vescovi si è cristallizzata in
una forma in base alla quale vi partecipavano tre livelli di Chiesa: quello
locale (i membri della Chiesa diocesana), quello regionale (i vescovi vicini)
e quello universale (la curia papale di Roma). Di fatto, questo procedimento
tradizionale antico è più conforme alla ecclesiologia di comunione e alla
nostra sensibilità culturale moderna.

4. Dal momento che la nomina dei vescovi è un fatto fondamentale per lo
sviluppo della pastorale delle Chiese locali e della Chiesa universale, è
logico vi partecipino tutte le istanze della comunione ecclesiale: la diocesi
(mediante i consigli "presbiterale" e pastorale", che
presentano la lista dei candidati), la conferenza episcopale (che, attraverso
un’apposita commissione, sceglie il più idoneo della lista, oppure propone un
altro candidato) e la
Santa Sede
(che conferma come responsabile, salvo casi
speciali, il vescovo scelto). In questo modo si cerca di evitare l’influenza
nefasta di certi interessi politici o l’imposizione di una linea pastorale
distante dal popolo e dal Vaticano II.

5. L’elezione dei vescovi inizia quando si elabora una lista di candidati,
che normalmente è costituita da una terna. Ebbene, "chi presenta la
terna – afferma K. Schatz – e non chi sceglie un nome della terna, è colui
che ha la parola decisiva nell’elezione; egli può, se vuole, trasformare
l’elezione in una finzione".39 Le Chiese locali e le conferenze
episcopali nelle elezioni dei vescovi dovrebbero avere un protagonismo
maggiore di quello che attualmente esercitano le nunziature.

6. "Il modo di eleggere i vescovi – si legge nel documento di Dombes – è
cambiato molto nel corso della storia della Chiesa cattolica, per cui la
prassi attuale non può essere considerata immutabile o l’unica possibile. Per
indicare che l’autorità episcopale ha la sua radice nella comunione
ecclesiale, è importante che la designazione del vescovo nasca da una
rapporto vivo e da una consulta tra il vescovo di Roma, i vescovi vicini, i
sacerdoti della diocesi e tutto il popolo interessato. Riteniamo, di fatto,
desiderabile che tutto il popolo di Dio prenda parte alla elezione del
proprio vescovo".40

7. Il sistema attuale di nomina dei vescovi favorisce il formarsi di gruppi
di pressione, limita la partecipazione a un numero ridotto di "figure
rilevanti", non è trasparente per il fatto di non far conoscere i motivi
di tale scelta e differisce dalla pratica osservata nei primi secoli. In una
parola – affermano H. Provost e K. Walf – il sistema attuale è
"centralizzato, non trasparente e soggetto a mille influenze".41

8. Naturalmente, non è facile per un gruppo numeroso di fedeli, come quello
di una diocesi, partecipare in modo soddisfacente all’elezione del suo
vescovo. I1 processo di partecipazione di tutti è complesso, giacché
influiscono i diversi gruppi esistenti, le tendenze pastorali diocesane,
l’opinione pubblica e il modello episcopale scelto. In ogni caso sarà
necessario un tempo di consulte, dialogo, risposte e risoluzioni senza
rompere la comunione ecclesiale. Il bene comune della Chiesa lo esige.

Note
* È professore emerito di teologia pastorale nella Facoltà di Teologia di
Salamanca e all’Istituto superiore di Pastorale di Madrid.

1 Sulla elezione dei vescovi in generale, cf. J.I. GONZÁLEZ FAUS,
"Ningún obispo impuesto. Las elecciones episcopales en la historia de la Iglesia", Sal
Terrae, Santander 1992; G. GRESCHAKE (a cura), Zur Frage der
Bischofisernennungen in der römischkatholischen Kirche, Munchen 1991; G.
HARTMANN, Der Bischof Seine Wahl und Ernennung, Graz 1900; "Iglesia
local y elécción de obispos", in Concilium 157 (1980).

2 N. GREINACHER e N. METTE, "Contra el tutelaje", in Concilium 222
(1989), 179.

3 Cf. M. KEHL, "Bleibt nur die Resignation? Geistlich-theologische
Erwägungen zu den jüngsten Bischofsernennungen", in Stimmen der Zeit 207
(1989), 147-157.

4 J. RATZINGER, Informe sobre la fe, BAC, Madrid 1985, 73-74.

5 Cf. Corriente "somos Iglesia", Nueva Utopia, Madrid 1997.

6 H. PROVOST e K. WALF, "La elección de obispos", in Concilium
220(1988), 343.

7 Cf. P. Imbart DE LA TOUR,
Les élections episcopales dans l’Église de France du IXe au Xlle siècles,
Paris 1891; A. DUMAS, "Évêque. IV. Modes de nomination", in
Catholicisme, Letouzey, Paris 1956, IV, 804-814; R. BENSON, The Bishop-elect.
A Study in Medieval Ecclesiastical Office, University Press,
Princeton 1968; J. EUGUI, La participación de la comunidad cristiana en la
elección de los obispos (s. I-V), Eunsa, Pamplona 1976.

8 B. BOTTE, La
Tradition
apostolique de saint Hippolyte, Munster 1963,
40-41 (Sources Chrétiennes 11 bis).

9 San CIPRIANO, Obras, BAC, Madrid 1964, 634-636.

10 PL 50, 434.

11 PL 54, 633-634.

12 G. CERETI, "Sentido ecuménico de la colaboración de los fieles en la
elección de obispos", in Concilium 157 (1980), 79.

13 Dictum de la dis. 62.

14 Cf. J. GAUDEMET, Les élections dans l’Église Latine, Paris 1979.

15 J. BERNHARD, "El concilio de Trento y la elección de
obispos", in Concilium 157 (1980), 41.

16 M KEHL, La
Iglesia. Eclesiología
católica, Sìgueme, Barcelona 1996,
353

17 GONZÁlES FAUS, "Ningùn obispo impuesto…", 157.
18 G. LAFONT, Imaginer l’Église Catholique, Cerf, Paris 1996, 217.

19 H. Tinq, Desafìos para el papa del tercer milenio. La herencia de Juan
Pablo Il, Sal Terrae, Santander 1998, 60.

20 Cf. G. DEJAIFVE, Un tournant décisif de l’ecclésiologie à Vatican II,
Paris 1978.

21 Cf. H. LEGRAND, "La Iglesia local", in Iniciación a la prática
de la teologia, Cristiandad, Madrid 1985, III/2, 147.

22 Cf. H. LEGRAND, "Le développment d’Églises-sujets, à la suite de
Vatican II.
Fondaments théologiques et réflexions institutionelles", in G. ALBERIGO
(a cura), Les Églises après Vatican II.
Dynamisme
et prospective, Paris 1981,149-184; H. DE LUBAC, Las Iglesias particulares en
la Iglesia
universal, Sígueme, Salamanca 1974; E. LANNE e J.J. ALLMEN, La Chiesa locale, Roma 1972;
LEGRAND, "La Iglesia
local", 138-267.

23 H. LEGRAND, "Compromisos teológicos de la revalorización de las
Iglesias locales", in Concilium 71 (1972), 56.

24 J. KOMONCHAK, "La
Iglesia
universal como comunión de Iglesias locales",
in Concilium 166 (1981), 380.

25 Cf. R MINNERATH, Le Pape, évêque universel ou premier des éveques?,
Paris 1978.

26 Cf. A. ACERBI, "L’ecclésiologie à la base des institutions
ecclésiales postconciliaires", in ALBERIGO (a cura), Les Églises après
Vatican II. Dynamisme et prospective, 223-258; D.O. ROUSSEAU,
"Collégialité et communion", in Irenikon 92 (1969), 457-474; R
LAURENTIN, Le synode permanent: naissance et avenir, Paris 1970.

27 Cf. J. GROOTAERS, "Les synodes des Eveques de 1969 et de 1974",
in ALBERIGO (a cura), Les Églises après Vatican II. Dynamisme et prospective,
303-328; ROUSSEAU, "Collégialité et communion", 457-474; LAURENTIN,
Le synode permanent…

28 G. MATAGRIN, "Une expérience de dissentiment", in Lumière et Vie
229(1996), 47.

29 M. KEHL, ¿ A dónde va la Iglesia? Un diagnóstico de nuestro tiempo, Sal
Terrae, Santander 1997, 85.

30 Cf. H. HEINEMANN, "Pläyoder fur das synodales Element:
Demokratisierung als Anfange an das Kirchenverständnis", in Renovatio 53
(1997), 13-22; G. FURST (a cura), Dialog als Selbsvollzug der Kirche?
(Quaestiones
disputatae 166), Herder, Wien 1997.

31 BENSBERGER KREIS, Democratización en la Iglesia. En torno al
memorandum del Grupo católico alemán de Bensberg, Bilbao 1973, 161.

32 Cf. K. RAHNER, "Demokratie in der Kirche?", in Stimmen der
Zeit 182(1968), 1-15; H. HEINZ, "Demokratie in der Kirche. Zur
Mitveranwortung und der Beteiligung aller Getauften", in Stimmen der
Zeit 212 (1994), 579-592.
33 Lo ha riaffermato con
forza GIOVANNI PAOLO II nelle sue encicliche Veritatis splendor (1993) ed
Evangelium vitae (1995).

34 A. TORRES QUEIRUGA, La democracia en la Iglesia, SM, Madrid
1995, 8.

35 H. LEGRAND, "Démocratiser l’Église ou bien développer la vie
synodale?", in L’Église de Montréal (15 e 22 febbr.
1996),
206-239.

36 Cf P. VALADIER, "Qué clase de democracia en la Iglesia?", in
Christus (Messico) 64 (1999) 712, 51-55.

37 Cf. K. RAHNER, Cambio estructural de la Iglesia, Madrid 1973; Ch. DUQUOC, Liberación y
progresismo. Un diálogo teológico entre América Latina y Europa, Santander
1989.

38 Cf. P. GRANFIELD, "Sensus fidelium" y elección de obispos",
in Concilium 157 (1980), 53-63.

39 K. SCHATZ, "Bischofswahlen. Geschichtliches und
Theologisches", in Stimmen der Zeit 207 (1989), 302.

40 GROUPE DE DOMBES, Le ministère épiscopal. Réflexions et propositions
sur le ministère de vigilance et d’unité dans l’Église particulière, Taizé
1976, n. 62.

41 PROVOST e WALF, La
elección de obispos, 344.

Bibliografia
Alberigo Giuseppe, " Forme storiche di governo nella Chiesa" in
"Il Regno" n. 21 del 1-12-2001
Capo Salvatore saggio su "La nomina dei Vescovi" leggibile sul sito
Internet di "Noi Siamo Chiesa" al seguente indirizzo
:<www.we-are-church.org/it/attual/NominaVescovi.htm>
"Concilium", la nota rivista internazionale di teologia edita in
Italia dalla Queriniana, ha costantemente dedicato grande attenzione alle
tematiche relative alla democratizzazione della Chiesa ed al problema della
elezione dei Vescovi.
Il n.3 del 1971 ("Democratizzazione della Chiesa") contiene in
particolare : Karl Lehmann " Sulla legittimazione dogmatica di una
democratizzazione nella Chiesa" e Raymund Kottje "L’elezione dei
capi ecclesiastici: storia ed esperienze".
Nel n. 7 del 1972 (" Elezione-consenso-ricezione nell’esperienza
cristiana") si veda di Hervé-Marie Legrand "Il senso teologico
delle elezioni episcopali secondo il loro svolgimento nella Chiesa
antica".
Il n. 7 del 1980 è monografico su "Chiesa locale e scelta dei
Vescovi"; tra i tanti articoli sull’argomento si veda soprattutto
Giovanni Cereti" Il significato ecumenico di una collaborazione dei
fedeli alla scelta dei Vescovi".
Nel n. 6 del 1988 contiene un servizio speciale su "La nomina dei
vescovi" di James H. Provost e di Knut Walf.
Nel n.2 del 1989 il servizio speciale di Norbert Greinacher e di Norbert
Mette "Contro una cattolicità sotto tutela" affronta il problema di
nomine episcopali fortemente contestate in Europa.
Nel n. 4 del 1990 ("La collegialità dei Vescovi alla prova") si
veda in particolare Pasquale Colella "Considerazioni sulle nomine dei
Vescovi nel diritto canonico vigente".
Infine il n.2 del 1992 ("Il tabù della democratizzazione nella
Chiesa") contiene tra gli altri i saggi di Franck Bernard su
"Esperienze sinodali nazionali postconciliari in Europa" e di
George Nedungatt su "Sinodalità nelle Chiese cattoliche orientali secondo
il nuovo Codice".
Delespesse Max, "He vist sorgir una nova Esglesia" Claret,
Barcelona, 1978 (specialmente pag. 101-104)
Estruch Joan, "Informe de l’Enquesta sobre el nomenament des
bisbes" a cura della "Associaciò Cristianisme segle XXI" ,
Universitat autònoma de Barcelona , Barcelona 2001
Floristán Casiano, "L’elezione dei Vescovi" in "Vescovi per la
speranza del mondo" a cura di Marcio Fabri dos Anjos EDB Bologna 2001
(traduzione dall’edizione portoghese "Bispos para a esperanca do
mundo.Uma leitura critica sobre caminhos de Igreja" Sao Paulo 2000); si
veda il testo completo in questo volumetto
González Faus José Ignacio, Ningún obispo impuesto. Las electiones
episcopales en la historia de la
Iglesia
", Sal Terrae, Santander 1992
Maduell Alvar, "Sense Conferencia Episcopal" Teià Maduixer, 1999
Rahner Karl, "Democratie in der Kirche?" Stimmen der Zeit
,182,1968 pag.1-15
Ratzinger Joseph e Maier Hans "Democratie in der Kirche.
Moglichkeiten, Grenzen,
Gefahren", Limburg,Lahn 1970 (specialmente il capitolo dell’oggi Card.
Ratzinger
"Demokratisierung der Kirche?", pag 9-46)
Reese Thomas J. "Inside the Vatican.
The politics and Organisation of the catholic
Church", Harvard University Press, Cambridge 1996 (specialmente pagg.
231-242)
Rosmini Antonio , "Delle cinque piaghe della Santa Chiesa" BUR
Rizzoli, Milano 1996 (si veda in particolare il capitolo quarto "Della
piaga del piede destro della santa Chiesa, che è la nomina dei Vescovi
abbandonata al potere laicale" e l’Appendice con le tre "Lettere
sopra le elezioni vescovili a clero e popolo").
Schillebeeckx Edward, "The human Story of God" Nuova Jork,
Crossroad, 1990

INDICE

1."Una proposta per la
Diocesi
ambrosiana"

Documento di "Noi Siamo Chiesa" di Milano, febbraio 2002 pag. 1

2.Associazione "Cristianismo Siglo XXI" di Barcellona
Documento di cattolici catalani sulla nomina dei Vescovi pag. 16

3."L’elezione dei Vescovi" di Casiano Floristán
Saggio dal volume "I Vescovi per la speranza del mondo" pag. 18

4.Bibliografia pag. 31

 

 

 

 

 


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