Comunicato stampa
E’ proprio necessario santificare un altro papa? Dubbi e perplessità, ma riconoscendo la grande personalità ecclesiale di Paolo VI
E’ proprio necessario un altro papa santo? La domanda è legittima e nasce spontanea in chi vive dall’interno le vicende della Chiesa e constata la rapida continuità con cui si procede in questa direzione, dopo papa Roncalli e papa Wojtyla dichiarati santi solo sei mesi fa. Ma la santità è un corollario del ruolo o forse possono essere eletti papi solamente i santi? Non stiamo assistendo forse a una specie di santificazione del papato? Canonizzando quasi tutti i papi dell’ultimo secolo e mezzo, bilanciando personalità e linee pastorali diverse ed anche opposte tra di loro, non si favorisce una vera e propria papolatria? Tutto ciò ci sembra contrario allo spirito del Concilio Vaticano II ed al tipo di Chiesa che esso ha prefigurato. Perché non lasciare anche il pontificato di Paolo VI alla riflessione, nei tempi giusti, degli storici della Chiesa? Queste sono le domande che circolano in tanti che seguono con partecipazione il nuovo corso di papa Francesco. Dobbiamo essere schietti: ci sembra che il papa non sia coerente con l’ispirazione di fondo del suo pontificato quando non ferma queste celebrazioni messe in cantiere da tempo.
Ciò premesso, sollecitati dalla grande attenzione che c’è in questi giorni nel popolo cristiano, dopo un lungo silenzio, nei confronti della figura di papa Montini ci permettiamo qualche semplice riflessione. Per lunghi anni Montini rappresentò nella curia romana la corrente ostile al fascismo, aperta alla cultura cattolico-democratica di provenienza francese (Maritain, Mounier) e quindi differente dall’ortodossia pacelliana. Per le ostilità che aveva suscitato, fu trasferito a Milano dove, come Arcivescovo, fece una diretta esperienza nell’attività pastorale di una metropoli ed ebbe un ruolo importante nell’attenzione al movimento dei lavoratori. La sua grande personalità di pontefice deve essere collocata nel momento storico in cui egli si trovò a guidare la Chiesa. Erano i tempi della guerra fredda e i cattolici erano parte del mondo occidentale, il Vaticano era italiano ed eurocentrico. Il potere ecclesiastico centrale era, in generale, abbastanza ostile a Montini, perché era considerato troppo poco clericale. Fu eletto papa da quelli che volevano continuare il Concilio contro quelli che volevano chiuderlo. Egli tenne fede al mandato ricevuto e va ascritto a suo indubbio e grande merito l’essere riuscito a portarlo a termine collaborando, con alcune prudenze, a questa svolta fondamentale nella storia della Chiesa. La prima parte del suo pontificato fu quella in cui fu più presente sulla scena internazionale, col pellegrinaggio in Palestina (gennaio del ’64), col discorso all’assemblea delle Nazioni Unite sulla pace e il disarmo (ottobre del ’65), con il velato dissenso sulla guerra in Vietnam, anche con la Ostpolitik che era in controtendenza nei confronti dei furori ideologici e politici della contrapposizione Est-Ovest. Ma soprattutto con la Populorum Progressio del 1967 recepì analisi e proposte delle posizioni terzomondiste. Contemporaneamente iniziò a viaggiare inaugurando una fase nuova nel ruolo del pontefice romano nel mondo, cercò di internazionalizzare la Curia e istituì i pontifici Consigli per il dialogo interreligioso e per l’unità dei cristiani. Sotto questo profilo egli fu protagonista di una positiva discontinuità, aprendo nuove vie.
Per quanto riguarda la gestione interna della Chiesa Paolo VI attuò l’importante riforma della liturgia che era stata sollecitata dal concilio e aprì una nuova fase nei rapporti ecumenici, a partire dall’incontro col patriarca ecumenico Atenagora a Gerusalemme, con la conseguente reciproca remissione delle scomuniche del 1054. Queste scelte, coerenti col messaggio conciliare, si intrecciarono con decisioni contraddittorie o fortemente criticabili. Ci riferiamo da una parte all’istituzione del Sinodo dei vescovi con poteri solo consultivi,
disattendendo così la vera collegialità che era stata preconizzata dal Concilio, dall’altra alla enciclica Humanae Vitae (1968). Questo intervento unilaterale di Paolo VI, contro le opinioni dalla grande maggioranza delle persone che consultò in argomento, fu anche la conseguenza dei limiti che egli stesso pose alla competenza del Concilio avocando a sé ogni decisione in materia di celibato dei presbiteri e di morale sessuale. Fu un errore, indubbiamente a lui solo addebitabile, che ha avuto conseguenze pesanti nella vita della Chiesa. Infatti, la Humanae Vitae, immediatamente contestata e non recepita dalla maggioranza del popolo cristiano, minerà nei decenni la credibilità del magistero papale, anche perché i suoi successori, con uno zelo degno di miglior causa, faranno della fedeltà all’ insegnamento di questa enciclica la prova di ogni vera ortodossia teologica e pastorale e, di conseguenza, la condizione per essere ammessi ai ruoli magisteriali nei seminari, nelle diocesi e negli ordini religiosi. Tuttavia la posizione critica è sempre stata presente nella Chiesa ad ogni livello, fino a trovare espressione nelle parole del Card.Martini secondo cui, su questa questione, “molte persone si sono allontanate dalla Chiesa e la Chiesa dalle persone” mentre è ora necessaria
“una nuova cultura della tenerezza e un approccio alla sessualità più libero da pregiudizi”.
Nell’ultima fase, quella declinante del suo pontificato, di fronte ai movimenti del ’68 e degli anni successivi e alle trasformazioni della cultura e del costume, Paolo VI si sforzò di frenare l’attuazione del concilio, preoccupato della “tenuta” della Chiesa, anche avvallando nel nostro paese la campagna contro la legge sul divorzio e continuando a sostenere l’unità politica dei cattolici. Nelle ultime settimane della sua vita soffrì coraggiosamente il dramma di Aldo Moro. Trattando il tema del dialogo nella Chiesa, lo svilì poi nella gestione concreta del sistema ecclesiastico sottoponendolo a una rigida interpretazione in termini di obbedienza all’autorità. In questo contesto va collocata la distanza che egli sempre mantenne nei confronti dei fermenti che percorsero la base della Chiesa nella vasta galassia di quello che si usava chiamare “cattolicesimo del dissenso” o di quanti, comunque, in varie forme e modi, esprimevano disagio nei confronti della lentezze o dello stop alle riforme indicate dal Concilio. Questa linea, troppo prudente ed identitaria, provocò emarginazioni ed allontanamenti dalla Chiesa e pose alcune delle premesse per l’involuzione che, dagli anni ottanta in poi, condizionò pesantemente il pieno “rilancio” del messaggio evangelico come reso più credibile dallo spirito del Concilio. In reazione a questo arretramento nascerà negli anni novanta anche il movimento “Noi Siamo Chiesa”.
NOI SIAMO CHIESA
Roma, 16 ottobre 2014
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