Edward SchillebeeckxIn memoriam Prof. Dr. Edward Schillebeeckx OP
12 novembre 1914 – 23 dicembre 2009 Omaggio del suo successoreProf. Dr. Hermann Häring La sera del 23 dicembre 2009 è mancato a Nimega Edward Schillebeecks OP. Nato il 12 novembre 1914 ad Anversa, membro dell’ordine dei frati domenicani dal 1934 e tra i più influenti teologi del Novecento, professore di teologia alla Facoltà Teologica di Nimega dal 1957 al 1982, ha vissuto – e sofferto – una delle più interessanti epoche della Chiesa cattolica, contribuendo a plasmarla. Studia filosofia (1935) e in seguito teologia (1939); nel 1943 diventa docente di teologia a Lovanio: è l’inizio di una straordinaria carriera. Fin dall’inizio è interessato al rapporto tra fede, cultura contemporanea ed esistenza umana. Al contempo si mostra influenzato da nuovi stimoli provenienti dalla Francia, quelli della nouvelle théologie. Presenta le verità di fede cattoliche non come sistema rigido, ma come l’interpretazione realistica di una fede viva nel Dio vivente. Il suo primo lavoro importante sui sacramenti (1952) è accolto con grande consenso. Nel 1955 segue un libro su Maria, e nel 1959, in seconda edizione, un’opera su Cristo, tradotta in diverse lingue: Cristo, sacramento dell’incontro con Dio (1960). Nel frattempo Schillebeeckx è divenuto autore apprezzato e oratore assai richiesto. Nel 1957 Schillebeeckx è chiamato alla Facoltà Teologica dell’Università Cattolica di Nimega. Per la Chiesa olandese è un guadagno straordinario. È ancora solo con la sua sensibilità per le questioni culturali e sociali, ma consente però alla teologia cattolica dei Paesi Bassi di aprirsi alla discussione cattolica internazionale. Nel gennaio 1959 Giovanni XXIII annuncia il Concilio Vaticano II. È l’ora di Schillebeeckx; l’evento sarà decisivo per tutta la sua vita, il suo pensiero e la sua azione. Si impegna moltissimo nel prepararlo e diviene il perito più importante dei vescovi olandesi. La loro lettera pastorale sul Concilio (1960), redatta in gran parte da Schillebeeckx, fa scalpore a livello internazionale. Per l’intero periodo conciliare (1962-1965) tiene a Roma delle conferenze rivolte a specialisti, vescovi e conferenze episcopali. Parla alla televisione olandese e rende internazionalmente nota la Chiesa olandese. Diviene presto evidente l’enorme dinamismo emanato dal Concilio. Per la Chiesa si annuncia un’era di rinnovamento; tuttavia, già negli anni sessanta hanno inizio le delusioni. Ma Schillebeeckx non si lascia intimidire. Si preoccupa degli uomini, delle loro «gioie e speranze, tristezze e angosce», interrogandosi con sempre maggiore decisione sul senso della sofferenza e di chi soffre, cosa che diverrà oggetto privilegiato della successiva teologia della liberazione. Schillebeeckx non rinuncerà mai a questa tematica, spesso discussa nei termini di un’«esperienza di contrasto». Ne affronta senza sconti i più profondi aspetti ermeneutici e scientifici. Nel frattempo, Schillebeeckx si adopera affinché la teologia sia compresa da un pubblico più vasto. Già nel 1960 assume l’iniziativa di fondare la «Tijdschrift voor Theologie», rivolta alla discussione di questioni legate alla contemporaneità. Nel 1965, assieme ad altri importanti teologi conciliari (Y. Congar, H. Küng e K. Rahner), fonda la rivista internazionale «Concilium», che esce in sette lingue e ha il compito di sollecitare il rinnovamento della Chiesa. Le due riviste vengono pubblicate ancora oggi. Nell’epoca postconciliare, come scrive egli stesso, continua a occuparsi «febbrilmente» delle questioni più pregnanti. Al centro c’è un nuovo rapporto tra la Chiesa e il mondo, i problemi di una secolarizzazione incalzante e dei mutamenti ideologici, culturali ed economici della fede e della teologia. Affronta queste questioni in innumerevoli articoli. Si mette all’opera in modo estremamente critico, ma non si chiude mai a queste evoluzioni, aprendo con coerenza al pensiero teologico nuovi mondi intellettuali. Pionieristiche, accanto ai fondamentali articoli sull’ermeneutica, le sue grandi ricerche su Gesù e la sua figura: Gesù, la storia di un vivente (1974) e Il Cristo, la storia di una nuova prassi (1977). Questi libri – paragonabili a ben pochi altri – hanno fondato un modo diverso di parlare da credenti. Qui Schillebeeckx lavora non solo come teologo sistematico, ma anche come esegeta, riuscendo a penetrare senza pregiudizi e con competenza nel dibattito esegetico del suo tempo e a renderlo fruttuoso, senza trascurare il dibattito contemporaneo relativo alla storia della Chiesa e dei dogmi, per una visione cristiana del mondo, della storia e dell’uomo, della salvezza, della redenzione e della liberazione. Su queste basi approfondisce diverse forme di teoria sociale, in particolare la Nuova Teologia Politica e, più tardi, la teologia della liberazione. Con grande simpatia segue fino agli anni novanta l’evoluzione delle teologie contestuali in Africa e nei paesi asiatici. Su questo sfondo, Schillebeeckx continua a confrontarsi intensamente anche con gli sviluppi intraecclesiali, che ristagnano dopo il Concilio e – come si diceva a ragione – sono portatori per la Chiesa cattolica di un freddo inverno. Nel 1980 e nel 1985 scrive libri importanti sul ministero ecclesiale: Il ministero nella Chiesa (1981) e Per una Chiesa dal volto umano. Identità cristiana dei ministeri nella Chiesa (1985). Purtroppo la
gerarchia ecclesiastica non mostra alcuna comprensione per questi contributi assai rilevanti e straordinariamente costruttivi. Per tre volte è chiamato a risponderne in Vaticano. Ufficialmente non verrà mai condannato, dal momento che le prove in mano ai suoi avversari erano assai scarse. Ma fino alla fine la sua intera opera è avvolta in un’atmosfera di scetticismo e di assurdi sospetti. Sarà una nuova generazione di vescovi olandesi ad assumere acriticamente questo atteggiamento, disconoscendo così i più profondi propositi ecclesiali di Schillebeeckx; ma una grande fiducia in Dio e la sua spiritualità profondamente domenicana gli evitano l’amarezza dello scontro. Anche una volta diventato professore emerito (1983) Schillebeeckx resta teologicamente attivo. Nel 1989 appare Umanità. La storia di Dio, con cui conclude la sua trilogia su Gesù, la grazia e Dio. Per molti questo è il suo libro più penetrante. Nel 2000 viene pubblicato su questo tema un ultimo articolo, nel quale egli si confronta ancora una volta con le sue più profonde sorgenti spirituali, che trova incessantemente nella liturgia, nella predicazione e nella celebrazione dell’eucarestia. Per questo non vanno dimenticate le molte pubblicazioni minori relative a tematiche spirituali, così come le sue prediche e riflessioni sul significato odierno della fede cristiana. Schillebeeckx resterà sempre un uomo profondamente credente e sereno. Sono i titoli di due suoi libri a illustrarlo: God is ieder ogenblik nieuw («Dio è nuovo ogni momento») e Sono un teologo felice (1994). Sul piano dei contenuti e del metodo, i molti impulsi della teologia di Schillebeeckx conserveranno la loro influenza. Cito sei punti:
- La scoperta di Gesù di Nazaret come impulso rinnovatore della dottrina e dell’annuncio. Sul piano ufficiale, questo impulso è ancora ostacolato; ma diventa tanto più importante quanto più si fa problematica la trasmissione della fede.
- La migliorata accessibilità dei testi biblici, in particolare quelli del Nuovo Testamento, alla fede e alla spiritualità. I due libri su Gesù avranno in futuro influssi duraturi.
- L’esplicita introduzione dell’ermeneutica nella teologia sistematica cattolica come antidoto a ogni forma di dogmatismo rigido e razionalistico. Nella sua «ermeneutica ampliata criticamente», Schillebeeckx ha efficacemente preservato questo approccio da abusi ideologicamente conservatori.
- La grande attenzione verso chi soffre e si trova ai margini, vista come opzione di fondo di ogni teologia cristiana, anche nella società occidentale.
- L’apertura di principio del pensiero teologico al mondo e alla società, che in Schillebeeckx trova il suo apice nella formula «al di fuori del mondo non c’è salvezza».
- Infine, l’appello alla teologia della collaborazione interdisciplinare e interreligiosa, chSchillebeeckx esistette dall’inizio delle sua elaborazione teologica.
Edward Schillebeeckx è sempre stato convinto che anche per la Chiesa cattolica giungerà una nuova primavera. Purtroppo non l’ha potuta vedere. Ma questo teologo sempre gentile e benevolo ci ha lasciato un’opera ricca e inesauribile. Non potremo mai ringraziarlo abbastanza per questo. Il 31 dicembre, ultimo giorno di quest’anno, saranno celebrati i suoi funerali. Che i suoi angeli lo accompagnino in Paradiso. 28 dicembre 2009
Hermann Häring Edward Schillebeeckx. di José María Castillo, teologoLa vigilia di Natale è mancato a Nimega (Olanda) uno dei teologi più grandi del XX secolo. Aveva 95 anni. Ed era domenicano. Lunedì 28 dicembre 2009
Per questo, ricordando questo teologo che “ha osato pensare” con la sua testa, voglio limitarmi ad esprimere quello che ci viene spontaneo dire, in questo momento in cui ci ha lasciato un grande maestro, uno dei pensatori più seri e fecondi del secolo scorso.Prima di tutto, chiaramente, è che questa morte rappresenta la fine imminente della generazione di grandi teologi che brillarono di luce propria nel XX secolo. La generazione di quegli uomini geniali che furono capaci di dare un nuovo orientamento al cristianesimo e alla chiesa, i pensatori più fecondi che la tradizione cristiana ha vantato dopo il secolo XVI. Hablo de H. Urs von Balthasar, Karl Barth, Dietrich Bonhoeffer, Rudolf Bultmann, M. D. Chenu, Yves Congar, Henri de Lubac, Karl Rahner, Paul Tillich e lo stesso E. SchillebeeckxPossiamo dire però che tra tutti questi, ci restano uomini eminenti come, tra gli altri, il caso di Hans Küng o J. B. Metz. Ma è chiaro che questi (almeno per il momento) sono gli ultimi testimoni di una generazione che si va esaurendo; poiché è evidente che, dopo questi nomi, non ne vengono altri della stessa statura, con altrettanta creatività o con la stessa libertà di pensare per conto proprio.Con questo intendo dire che la teologia si è impoverita. Precisamente laddove il mondo sta cambiando con tanta velocità, laddove ci si pongono nuovi interrogativi che prima non immaginavamo, laddove abbiamo bisogno di uomini liberi, che siano capaci di pensare, dopodiché situazioni che non sospettavamo, il tema di Dio e la religione, il significato di Cristo, il ruolo della chiesa, le risposte che l’etica mondiale necessità…, proprio adesso si spengono le luci, rimaniamo senza nuove soluzioni ai nuovi problemi; e vediamo nella penosa situazione di quelli che devono sopportare gli sproloqui clericali del passato, gli argomenti da sacrestia di tutta la vita, per dare risposta a coloro che cercano (forse senza saperlo) nuovi cammini per uscire dalla paralisi mentale e di valori nella quale siamo precipitati. Cosa ci succede? Perché rimpiangiamo la libertà e la creatività degli uomini che sono morti di vecchiaia, mentre al tempo stesso rifiutiamo la petulanza autoreferenziale dei ragazzi giovani, delle ragazze che sono in crescita, e vanno verso la vita sostenendo di non aver nulla da imparare da coloro i quali, nei passati 60 anni, furono capaci di dare un nuovo corso alla chiesa e alla storia del cristianesimo? E’ vero che, negli anni successivi al Vaticano II, c’era molta gente sconcertata, che non sapeva (o non poteva) accogliere i cambiamenti che si trovavano ad affrontare. E’ anche vero che Paolo VI fu, a volte, indeciso, magari provò una paura inconfessabile, cosa che traspariva in alcune delle sue decisioni. Ma ciò che di più chiaro noialtri vediamo è che il lungo pontificato di Giovanni Paolo II è stato decisivo per frenare gli importanti cambiamenti del Concilio. E, soprattutto, oggi vediamo con chiarezza che il progetto di quel papa fu avocare e monopolizzare, lui solo, il pensiero e l’orientamento che guideranno la chiesa in questi tempi. Nel dire questo, ricordo ciò che Y. Congar scrisse nel suo Diario, quando disse, riferendosi a Pio XII, che il papa aveva sviluppato l’ossessione del convincimento che l’opinione dei teologi si riduca a commentare e argomentare ciò che il papa di turno dice in ciascun documento o in ciascun discorso pubblico. Ma, allora, accade che il papa si identifichi con lachiesa intera e prentenda di essere, lui da solo, depositario della verità della fede e delle risposte per tutti i problemi. Cosa dire di un uomo che osa pensare così? Oltretutto, quando se ne va uno di questo grandi uomini, come nel caso di Schillebeeckx, è inevitabile ricordare che sono brutti tempi per il pensiero, per la libertà e la creatività negli ambienti intellettuali. Non è una sciocchezza affermare che ‘l’intellettuale puro’ è una figura che si va estinguendo. Basta entrare in qualche libreria. Ovunque novelle, racconti, storie … ma sempre meno libri di pensiero con valore e peso. I saggi, la ricerca letteraria, umanista, storica e filosofica… stanno attraversando una crisi molto preoccupante e molto grave. Esiste tutta una generazione (o forse più) che non legge. Internet, e la tecnica economica del “copia” e “incolla” ha soppiantato la creatività intellettuale.Che futuro ci aspetta in questo cammino, mentre veniamo sovrastati da una tecnologia in crescita e al servizio degli interessi delle multinazionali? E’ la grande domanda che mi si pone ricordando l’immagine autorevole del Prof. Edward Schillebeeckx.
E’ morto Edward Schillebeeckx,teologo di frontiera Nato nel 1914, è stata una delle personalità più influenti nel rinnovamento del cristianesimo durante la seconda metà del XX secolo. di JUAN JOSÉ TAMAYO 25/12/2009
Il 23 dicembre è morto a 95 anni Edward Schillebeeckx, il teologo cattolico più prestigioso del XX secolo, insieme a Karl Rahner, e una delle personalità più influenti nel rinnovamento del cristianesimo durante tutta la seconda metà del secolo passato. E’ stato protagonista dei momenti più importanti della storia recente della teologia, della vita della chiesa olandese e della chiesa cattolica. Nato nel 1914 a Amberes, città flamenca del Belgio in una famiglia molto religiosa di 14 figli. Fino ai 18 anni studiò in un collegio dei gesuiti, dove ricevette una formazione rigorosa basata sui classici. A 19 anni entrò nell’ordine dei domenicani. Cosa lo ha attratto dell’ordine domenicano tanto da sceglierlo come stile di vita? Lo stesso ha risposto: l’apertura al mondo, la dedizione allo studio, il lavoro di analisi e la teologia centrata sulla predicazione. E queste stesse furono le quattro caratteristiche della sua vita religiosa, della sua attività intellettuale e della sua maniera di stare al mondo. Dopo il noviziato, studiò filosofia a Gante e teologia a Lovaina con un orientamento tomista classico, che si è rinnovato durante i primi anni di docenza. Dopo la seconda guerra mondiale andò in Francia per conseguire il dottorato a Le Salchoir e per studiare a La Sorbona. A Salchoir incontrò due dei più prestigiosi teologi domenicani: Marie-Dominique Chenu (1895-1990), sanzionato dal Sant’Uffizio, e Ives-Marie Mª Congar (1904-1995), anch’egli sanzionato verso la metà del secolo passato. A La Sorbona seguì gli insegnamenti dei filosofi Le Senne, Lavelle, Wahl e Gilson.Di ritorno a Lovaina nel 1947, iniziò la sua carriera di docente in teologia dogmatica con l’obiettivo di rinnovare il pensiero tomista, ancorato alla più chiusa neoscolastica, e ad aprirlo alle nuove correnti filosofiche. Gli scritti di questo periodo, che raggiunge l’inizio degli anni sessanta, si caratterizzano per il metodo storico contrapposto al dogmatismo da manuale, peraltro imperante, e per il prospettivismo gnoseologico, che rappresentava una sintesi tra la fenomenologia e il tomismo. Teologo di fiducia dell’episcopato olandese, nonché progressista, fu suo consulente nel Concilio Vaticano II e uno dei principali ispiratori – oltre che redattore – dei suoi documenti innovativi, specialmente nei riguardi dell’ecclesiologia e del dialogo della chiesa col mondo. E’ proverbiale in questo contesto la sua affermazione “Fuori del mondo non c’è salvezza”, che contrasta l’aforismo escludente “Fuori della chiesa non c’è salvezza”. Per mantenere lo spiriti conciliare e sviluppare una teologia in sintonia con i profondi cambiamenti promossi dal Vaticano II, creò nel 1965, insieme a Congar, Rahner, Metz, Küng ed altri teologi progressisti la rivista internazionale di Teologia Concilium, che tuttavia seguita ad essere stampata in otto lingue.Fu, allo stesso tempo, uno dei principali redattori del controverso Catecismo holandés, che presentava i grandi temi del cristianesimo, anche quelli più conflittuali, come la dottrina del peccato originale – con uno stile vibrante, un linguaggio moderno e una attitudine al dialogo con le nuove correnti culturali. Lungo tutto il suo magistero teologico e la sua ampia opera, è stato processato tre volte dalla Congregazione per la Fede (ex Sant’Uffizio): nel 1968, a causa di alcuni saggi teologici centrati sulla secolarizzazione e il cristianesimo; nel 1979 per il suo libro Jesús. La historia de un Viviente- Gesù. La storia di un vivente, la miglior cristologia del XX secolo; e nel 1984 per il suo libro El ministerio eclesial – il ministero ecclesiale, dove giustificava la presidenza dell’eucaristia da parte di un ministro straordinario non ordinato. Da tutti e tre uscì illeso, e addirittura fiero. Nelle sessioni di giudizio tenute in Vaticano riuscì a smontare le affermazioni dei suoi inquisitori con brillante finezza di argomenti. Schillebeeckx è morto e la sensazione che abbiamo noi teologi e teologhe che ci muoviamo sulla linea dell’ermeneutica critica è di essere orfani, superata soltanto con la lettura delle sue opere che continueranno ad illuminare il cammino del cristianesimo del secolo XXI sul sentiero del dialogo con le culture del nostro tempo e del compromesso etico per la giustizia, con il vangelo di Gesù di Nazareth come referente.
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