Intervento di Giovanni Franzoni al “Colloquio paolino” presso l’abbazia di S.Paolo a Roma
(16-9-2016)
Ringrazio il padre abate Don Roberto Dotta di questo invito che mi dà l’opportunità di interrogarmi su un problema che mi sembra ancora attuale.
La persecuzione della profezia assolve una funzione positiva? Si può seguire il pensiero espresso da Martin Buber in “Immagini del bene e del male” secondo il quale il Bene e il Male coabitano nella coscienza umana, ma il primo che fa le sue mosse è il Male e il Bene è un sussulto sul Male?
È per questo che mi permetto, ringraziandovi per la pazienza, di proporre un interrogativo sulla visione di Saulo sulla via di Damasco.
Quando San Paolo in una situazione di tensione rivendica il fatto di essere un testimone della resurrezione di Cristo e, come fa nella prima ai Corinzi, rivendica, sia pure come ultimo e imprevisto, di essere testimone della resurrezione come Pietro, i Dodici, e circa cinquecento fratelli “dei quali molti sono ancora viventi” (I Cor. 15, 6), si comprende come egli assegni alla apparizione sulla via di Damasco il carattere di manifestazione del Cristo risorto.
La narrazione degli Atti degli Apostoli entra invece nella dinamica dell’evento e ha indotto Saulo a passare da persecutore a perseguitato.
Saulo è un fariseo ed è un fariseo molto zelante perché lascia la sua Tarso per tornare a Gerusalemme dove era già stato per studiare presso rabbi Gamaliele; quindi, è uno zelante e non certo un indotto. Egli, quindi, conosce non solo la Torah ma anche i profeti e indubbiamente conosce la profezia di Isaia che si scaglia contro coloro che si affannano nei digiuni e nei sacrifici e trascurano le donne e i bambini rimasti non protetti. Ma questa storia di un nazareno che si è presentato con connotati messianici violando leggi e tradizioni, è stato processato da membri del sinedrio, condannato a morte, di morte infamante, e il suo corpo estratto furtivamente dai discepoli è scomparso mentre si diffonde la fama che sia risorto, non solo non lo convince ma lo induce a mettersi a disposizione dei capi della sinagoga per perseguitare i gruppi di discepoli del nazareno.
È quindi fornito di una lettera di autorizzazione ad andare a Damasco per entrare violentemente nelle case dei discepoli del nazareno, arrestarne degli uomini destinati ad essere giudicati e forse lapidati. La lettera è di massima autorità perché proviene dai vertici del sinedrio.
Saulo quindi è convinto di quello che fa ma nelle sue incursioni persecutorie trova ebrei osservanti della legge, dediti alla realizzazione concreta delle profezie che accusavano il popolo di sfruttare schiavi e trascurare la cura dei poveri. Probabilmente in questa fase sorge in Saulo l’immagine della profezia perseguitata. Egli certamente non ignora come nella storia del profeta Geremia in un momento forte la profezia si sia fatta carne. Ancora manca la parola che un evangelista più tardo usò per dire che la Parola di Dio , si è fatta carne; ma senza questa espressione letterale la Parola incarnata appare nella vita di Geremia.
Jr. 20, 7-11.
“Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre;
mi hai fatto forza e hai prevalso.
Sono diventato oggetto di scherno ogni giorno;
ognuno si fa beffe di me.
Quando parlo, devo gridare,
devo proclamare: ‘Violenza! Oppressione!’.
Così la parola del Signore è diventata per me
Motivo di obbrobrio e di scherno ogni giorno.
Mi dicevo: ‘Non penserò più a lui,
non parlerò più on suo nome!’.
Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente,
chiuso nelle mie ossa;
mi sforzavo di contenerlo,
ma non potevo.
Sentivo le insinuazioni di molti:
‘Terrore all’intorno!
Denunciatelo e lo denunceremo’.
‘Forse si lascerà trarre in inganno,
così noi prevarremo su di lui,
ci prenderemo la nostra vendetta’.
Ma il Signore è al mio fianco come un prode valoroso,
per questo i miei persecutori
cadranno e non potranno prevalere;
saranno molto confusi perché non riusciranno,
la loro vergogna sarà eterna e incancellabile.”
Saulo si trova, accingendosi ad eseguire ciò che ha nella lettera che gli hanno consegnato i capi del sinedrio, di fronte a un dilemma: eseguire gli ordini e perseguitare i discepoli del nazareno oppure riconoscere che in essi si era incarnata come fuoco nelle ossa la Parola di Dio e pertanto operavano con coraggio e amore pur sapendo che questo avrebbe portato persecuzione. È il momento in cui Saulo ha davanti a sé un bagliore di luce e pur non vedendo alcuna figura sente la voce: “Saulo, Saulo perché mi perseguiti?” e lui comprende che sta perseguitando la profezia fatta carne. Getta la parola scritta e passa alla parola incarnata affrontando il deserto, la cecità, la diffidenza fino alla persecuzione finale che lo porterà peraltro a dire fino all’ultimo : “sed verbum dei non est alligatum” (II T. 2, 9).
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