Logo Noi Siamo Chiesa

Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

Intervento di Roberto Fiorini alla presentazione del libro “La Chiesa Romana” di Ernesto Buonaiuti

Presentazione del libro

Ernesto Buonaiuti “LA CHIESA ROMANA”

Milano 3 ottobre 2023

Apro il mio intervento, a nome del Coordinamento Nazionale di Noi Siamo Chiesa, con la parola di Vittorio Bellavite.

Il nostro interessamento a Buonaiuti ha creato in noi una vera attesa (che non è ancora una meraviglia amareggiata). Ci chiediamo perché nel nuovo corso di papa Francesco non si sia ancora aperto bocca su questo argomento, il messaggio di don Ernesto rimanga isolato e sulla sua memoria resti lo stigma dei provvedimenti canonici presi nei suoi confronti. A fronte di questo rumoroso silenzio nel giugno 2014 abbiamo diffuso un Appello per la sua riabilitazione. Abbiamo raccolto quasi 500 adesioni individuali e quelle di tutte le associazioni e riviste di ispirazione conciliare. Da parte degli esponenti della gerarchia niente di niente, né in bene né in male!”.

Il programma di stasera prevede l’intervento del card. Mateo Zuppi, che romperà il silenzio di questi anni. Siamo contenti e pure curiosi di ascoltare la sua parola.

La ripubblicazione de “La Chiesa romana”, che ha visto la luce nel 1932, a cui si aggiungeranno altre delle sue molte opere, è il segnale della determinazione di NSC, delle numerose persone, associazioni e riviste, che hanno aderito all’Appello, a proseguire fino in fondo questa strada. Inizio mettendo in luce due momenti chiave della vita di don Ernesto.

No al giuramento

Nel 1931 il “regime fascista” imponeva ai docenti universitari il giuramento di fedeltà al regime. Al rettore dell’università La Sapienza Buonaiuti scrisse:

A norma delle prescrizioni evangeliche (Mt 5, 34) alle quali, allo stato attuale delle mie disposizioni di spirito, intendo attenermi il più possibile aderente, reputo mi sia vietata qualsiasi forma di giuramento”.

La motivazione addotta era strettamente evangelica. Con gli altri undici docenti che si rifiutarono di giurare condivideva la convinzione che quel giuramento significasse l’annientamento della libertà di pensiero. Dunque una decisione profondamente evangelica e anche decisamente politica. Un rifiuto molto costoso che comportava la perdita del posto di lavoro, e quindi dello stipendio, e forse un maggiore rischio per la sua persona. Quindici anni prima si era sottoposto controvoglia al giuramento antimodernista per mantenersi interno alla Chiesa e poter insegnare. Ma qui si trattava di assoggettarsi a un regime diventato Stato totalitario. Invece, in una nota anonima comparsa su l’Osservatore Romano, si indicava la liceità del giuramento per i cattolici, fatti “salvi i diritti di Dio e della Chiesa”. Un giuramento con la restrizione mentale.

In una bella testimonianza don Ernesto lascia trasparire la pienezza interiore che fiorisce nel suo animo dopo il suo “non giuro”.

Questo so, che io sono perfettamente tranquillo, che anzi sono straordinariamente ilare e lieto, con la coscienza libera e fiera e lieve come se liberata da un incubo e da una minaccia”. (G.B.Guerri, Eretico o santo, 199)

I due aggettivi connessi alla sua coscienza – liberata e libera – sottolineano il suo essere un uomo libero, rispetto al potere totalitario. Non è fuori luogo evocare il capitolo 13 de l’Apocalisse dove la sottomisione alla bestia, figura idolatrica del potere assoluto, si esprime con il marchio sulla mano destra e sulla fronte. Ricordiamo anche l’ammonimento di Paolo ai Galati: “Cristo ci ha liberati per la libertà…non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (Gal 5, 1).

Soltanto un anno dopo, nel 1932 nella

Dottrina del fascismo Mussolini avrebbe sentenziato definitivamente che il fascismo era «una concezione religiosa della vita», «forma e norma interiore», «disciplina di tutta la persona» che trovava la sua organizzazione nello stato totalitario, inteso come istituzione e fede collettiva” (L. Ceci, L’interesse superiore. Il Vaticano e l’Italia di Mussolini, p. 146).

Le ultime parole.

Aveva sessantacinque anni quando, in prossimità della Pasqua del 1946, fu colpito da un infarto del miocardio che non gli lasciò scampo. In quella situazione di fragilità ricevette più visite finalizzate a strappargli il ripudio o almeno una presa di distanza, dal suo pensiero storico-teologico, come condizione per una riconciliazione. A un amico scriveva:

Ho trascorso ore angosciose, rese tanto più gravose dai tentativi inumani compiuti intorno a me da altissimi dignitari ecclesiastici per indurmi a scofessioni e ritrattazioni che avrebbero dovuto servire nelle loro mani a fare del millantato credito. Ho resistito impavido. Ne sono fiero”.

Da dove gli veniva questa forza, questa energia, nello sfinimento della morte vicina?

Affido la risposta all’incipit della preghiera che chiude la sua Storia del Cristianesimo:

Noi ti invochiamo, innanzi tutto, o Padre, riconoscendoci tuoi figli immemori e sconoscenti. Noi abbiamo dimenticato che, come Tu ci hai insegnato, ammonendoci, per le labbra del Tuo divino Figliuolo, a non chiamare nessuno Padre sulla terra, perché uno solo è il nostro Padre, Il Padre che è nei cieli, noi non siamo nati alla luce il giorno in cui fummo fisicamente generati. Noi nasciamo in ogni istante, perché Tu solo ci procrei e ci generi in ogni istante della nostra esistenza… Accattoni noi siamo tutti indistintamente”.

E’ la dimensione mistica del credere – lui la chiamava così – che abita al centro del suo essere, nella zona più profonda. Noi chiediamo la sua piena riabilitazione proprio a partire dalla profondità della sua fede, facilmente rintracciare nei suoi scritti.

Nella notte tra il 18 e 19 aprile dettò il suo testamento spirituale:

Un solo ideale ha sorretto costantemente la mia vita: rivendica­re i genuini valori cristiani, contribuire alla loro trasfusione in quella nuova civiltà ecumenica di cui la mia sofferente genera­zione ha visto profilarsi all’orizzonte i primi chiarori crepusco­lari. Posso aver sbagliato; ma non trovo, nella sostanza del mio insegnamento, materia a sconfessione o a ritrattazione.

E in questa consapevolezza tranquilla, affronto il mistero incombente. A tutti coloro – e sono purtroppo legione – che hanno ostacolato, non rifuggendo da complicità innaturali, lo spiegamento della mia attività pubblica, perdono. Dio ha voluto che quello che fu, insipientemente, chiamato “Modernismo” e che volle essere soltanto risurrezione di pure idealità evangeli­che, incontrasse una delle più dure e sleali resistenze che mo­vimenti spirituali abbiano mai incontrato. Forse è qui il segno infallibile del suo immancabile successo.

Nelle mie molteplici esperienze ho tratto un insegnamento cui debbo dare, qui, precisa testimonianza: mi sento partecipe in speranza e in comunione con quella nuova Chiesa cristiana ecumenica a cui ho veduto lavorare quelle denominazioni evan­geliche che mi sono sempre apparse salutarmente travagliate a un autentico spirito di fraternità, di pace e di vita carismatica nel mondo.

Una parola di fraterna gratitudine io debbo a quei rappresentanti di quei movimenti ecumenici della cui cordiale solidarietà la Provvidenza del Padre mi ha concesso il provilegio.

In armonia con lo Spirito del mio grande fratello Giorgio Tyrrell desidero siano incisi sulla mia tomba i simboli dell’eterno sacerdozio cristiano: il calice e l’Ostia”. G.B. Guerri, 304-305)

Il modernismo e le conseguenze della condanna

Nella Storia del Cristianesimo: un intero capitolo è dedicato al modernismo:

il modernismo delle origini si presentava come una materia fluida e incandescente…Aspirazione confusa ancora ad una rinascita integrale dello spirito evangelico…Era il tentativo di sottrarre le realtà sacre del Vangelo allo stato di paralizzante decadenza in cui le avevano cacciate, attraverso gli ultimi secoli, l’impoverimento e l’irrigidimento razionalistici dell’apologia teologale…Lo stroncamento del modernismo ebbe qualcosa di un infanticidio ”. (E. Buonaiuti, Storia del Cristianesimo III, 566-603 passim).

L’imposizione del giuramento antimodernista, che durerà sino al termine del Vaticano II, ebbe gravissime conseguenze sulla formazione del clero:

Al giovane clero fu bruscamente tolta la possibilità di libera consacrazione agli studi religiosi, divenutii di per sé una professione infamata ed infamante, con il risultato che il giovane clero si gettò dispertamente, come in una via sussidiaria, nella politica e nei movimenti sociali”, preparando alla Chiesa in Italia un avvenire carico di responsabilità e malefizio” (Ivi, 573).

Quello che scrive non è una previsione, ma la registrazione di quanto è accaduto in quegli anni. Abbiamo una puntuale descrizione dello sbandamento di preti e vescovi nelle note che mons Tardini, futuro Segretario di Stato di Giovanni XXIII, trasmetteva direttamente a Pio XI°. Nella data del 1 dicembre 1935 nel pieno della mobilitazione per l’oro alla patria per finanziare la conquista dell’Etiopia e la costruzione dell’Impero, scriveva:

Sembra che in Italia tutti han perduto la testa. I Capi conducono ciecamente il Paese verso la rovina, mettendolo contro tutto il mondo. Il popolo si esalta al pensiero della guerra e, educato alla violenza, pensa di poter vincere tutto il mondo. E il clero? Questo è il disastro più grande. Il clero deve essere calmo, disciplinato, obbediente ai richiami della Patria; è chiaro. Ma invece questa volta è tumultuoso, esaltato, guerrafondaio. Almeno si salvassero i Vescovi. Niente affatto. Più verbosi, più eccitati, più… squilibrati di tutti. Offrono oro, argento puri: anelli, catene, croci, orologi, sterline. E parlano di civiltà, di religione, di missione dell’Italia in Africa… E intanto l’Italia si prepara a mitragliare, a cannoneggiare migliaia e migliaia di Etiopi, rei di difendere casa loro… Difficilmente poteva compiersi nelle file del clero un confusionismo, uno sbandamento, un disquilibrio più gravi e più pericolosi… E non è in parte una conseguenza della Conciliazione? Senza di questa il clero non avrebbe preso l’atteggiamento di oggi”. (L. Ceci, L’Italia Manda l’Italia in rovina. Note inedite di mons. Domenico Tardini…estratto da Rivista Storica Italiana 1/2008, 342-343)

L’invasione dell’Etiopia causò 300.000 morti prodotti anche con l’uso di sostanze chimiche mortali. Moltissimi monaci cristiano-copti vennero uccisi perché schierati col loro popolo. L’Idolatria dell’Impero veniva connessa e confusa con l’ampliarsi del Regno di Dio.

Visto che abbiamo toccato il problema della formazione del clero, aggiungiamo una nota di particolare attualità che si trova nel libro che stiamo presentando

La Chiesa ha creato i seminari dove i giovani candidati al ministero sono sequestrati, nella decisiva ora della pubertà, da ogni contatto col mondo, e sono stretti in un tirocinio ascetico-educativo che imprime un orientamento rigido e immodificabile alle loro attitudini e alle loro idealità. Il regime nasconde deformazioni spesso mostruose, inversioni innominabili, unilateralità penose, atrofie innaturali […]. Un regime che è un atroce violenza alla natura” (E. Buonaiuti, La Chiesa Romana 58).

Una Chiesa immutabile e un’epoca in movimento

La Chiesa alla quale Buonaiuti voleva appartenere, e che ripetutamente lo ha condannato nella forma più dura, si presentava con alcune caratteristiche di base:

Si qualificava come “societas iuridice perfecta” in analogia al carattere assoluto degli Stati del tempo. Sul piano teologico era la neoscolastica ad avere il monopolio della comunicazione dogmatica della fede e della tradizione da conservare e difendere. A livello giuridico dal ricco patrimonio del Corpus iuris canonici, un sistema aperto, pluralista e ricco di fonti, si era passati al sistema chiuso del Codex iuris canonici” del 1917 tanto che il card. Gasparri, Segretario di Stato di Pio XI soleva dire: “Quod non est in codice non est in re”.

Si tratta di quell’evoluzione tipicamente moderna del diritto canonico che passa dall’essere Corpus pluriforme, legato all’esercizio pratico della giurisprudenza ecclesiale all’univocità deduttiva della figura del codice quale unica fonte centralizzata del diritto della Chiesa” (M. Neri , Fuori di sé. La Chiesa nello spazio pubblico, p 7).

Alla Chiesa che così si presentava nel suo volto pubblico come realtà immutable, nella sua Storia del Cristianesimo Buonaiuti proponeva la necessità di un cambiamento radicale:

Senza dubbio la trasformazione che oggidì si richiede alla tradizione del cattolicesimo perché il deposito cristiano da essa custodito torni ad essere il viatico insurrogabile dell’umanità, è una trasformazione radicale che investe indiscriminatamente tutti i tessuti dell’organismo concettuale e disciplinare della Chiesa romana”. (Storia del Cristianesimo III, 699)

Credo che il tempo gli stia dando ampiamente ragione.

Vaticano II: paradigmi modificati

I paradigmi ecclesiali sopra enunciati che connotavano la presenza pubblica della Chiesa, con l’irruzione del Vaticano II si sono scomposti. La dizione “societas iuridice perfecta” è scomparsa dal vocabolario conciliare e se qualcuno la rimpiange non osa usare questo linguaggio. Il monopolio teologico della neoscolastica è perduto per sempre con la comparsa del pluralismo teologico e la comunicazione della fede, anche se non sempre e dappertutto, attinge dalla ricchezza della tradizione biblica. La Dei Verbum ha restituito la Bibbia al popolo dei battezzati.

Circa il codice, il problema è tutt’altro che in via di soluzione. Qui mi limito a citare M. Neri:

Senza un congedo del diritto canonico nella forma-codice, e della Chiesa dalla struttura istituzionale che ne consegue, la teologia può immaginare gli scenari più alti per una fede corrispondente alla discontinuità messianica della presena di Dio nella storia umana, ma non si tratterà altro che di iuna finzione cosmetica, di un bell’inganno a cui ci piace credere per rendere più accettabile la nostra condizione di credenti-sudditi del Dio ecclesiasticamente codificato” (M. Neri, 95).

Tracce di Buonaiuti. Diamogli il benvenuto

L’11 ottobre del 1962 nel discorso di apertura del Concilio papa Giovanni XXIII usava parole che in qualche modo alludevano al pensiero del suo vecchio compagno di studi: occorre che la dottrina cattolica,

alla quale si deve prestare assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto richiesto dai nostri tempi. Altro è infatti il doposito della fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale sono annunciate, sempre però nello stesso senso e nella stessa accezione. Va data grande importanza a questo metodo e, se necessario, va applicato con pazienza; si dovrà cioè adottare una forma di esposizione che più corrisponda al magistero, la cui indole è prevalentemente pastorale”. (Giovanni XXIII, Gaudet Mater Ecclesia. Discorso apertura del Concilio) (nota 1)

Dunque un conto è il che della fede, un conto è il come la si esprime. Era la prima volta che si operava una tale distinzione: come socchiudere una porta blindata. Poi il papa buono collocava al centro dell’azione pastorale la medicina della misericordia piuttosto che della severità. Due anni dopo Paolo VI e il patriarca Athenagoras eliminavano le reciproche sentenza di scomunica in vigore dal 1054. E qui una domanda: se la scomunica è stata tolta agli ortodossi che cosa impedisce che venga cancellata a don Ernesto?

Nella recente biografia di Buonaiuti, scritta da Giordano Bruno Guerri, vengono riportati ricordi e parole di papa Giovanni XXIII, suo compagno di studi. Dopo aver ricordato le lunghe passeggiate insieme, diceva: “io prego per Ernesto tutte le sere e tutte le notti. Forse l’ultima parola non è stata detta”. Ecco noi siamo in attesa di questa parola ultima. Deve avvenire perché i paradigmi che identificano la nuova coscienza ecclesiale, emersi nel Vaticano II, albeggiavano già nella sua teologia.

Il nostro impegno per far uscire dall’oblio e dall’abbandono la figura negativizzata di Buonaiuti è ispirata dalla convinzione che la giustizia deve essere esercitata anche sulla memoria. Come scrive J.B. Metz

non c’è soltanto una solidarietà «in avanti» con le genrazioni future, ma anche una solidarietà «all’indietro», con gli ammutoliti dalla morte e con i dimenticati; per essa non c’è soltanto una «rivoluzione in avanti», ma in certa misura anche una rivoluzione all’indietro – in favore dei morti e delle loro sofferenze”. (AA.VV. Redenzioene e emancipazione, Gdt 168-169).

ll futuro della Chiesa è più che mai legato all’esercizio penitenziale della giustizia riguardo al passato. Pensiamo che lo spirito che pervade l’enciclica Fratelli tutti, debba investire anche l’intera vicenda del nostro fratello don Ernesto Buonaiuti. Il settimo capitolo ha per titolo: “Percorsi di un nuovo incontro” e il primo capitoletto “Ricominciare dalla verità”. Si riferisce a varie parti del mondo dove ci sono “ferite da rimarginare” e “c’è bisogno di artigiani disposti ad avviare processi di guarigione(FT 225). Ora quello che si predica ai paesi lontani, crediamo debba valere anche per la Chiesa Cattolica in Italia e per i suoi responsabili maggiori. (nota 2).

E pensiamo che un coraggioso confronto con il pensiero e il ‘caso’ di questo nostro fratello sia una opportunità, un Kairos, che potrebbe essere molto utile a immaginare il ‘Cristianesimo dell’Avvenire’. Continuare con l’oblio è una perdita per tutti.

C’è una nota frase di Papa Giovanni XXIII che forse è stata seminata nelle giovanili discussioni con Ernesto: “Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio”. Se fosse stata pronunciata 50 anni prima difficilmente sarebbe passata indenne all’esame dell’allora Sant’Uffizio. Ora invece è di dominio comune.

Roberto Fiorini     –    COORDINAMENTO NAZIONALE DI “Noi Siamo Chiesa”

 

NOTE:

1L.Sandri nel suo recente libro Dire oggi il Dio di Gesù Cristo sostiene che l’inciso posto in corsivo, che indebolisce la forza del testoè stato “voluto, pare, dal Sant’Uffizio” (217).

2 Aggiungo il numero successivo della FT , 226, perché indica una metodologia importante oggi necessaria, oltre che doverosa, anch per la Chiesa. “ Non c’è più spazio per diplomazie vuote, per dissimulazioni, discorsi doppi, occultamenti, buone maniere che nascondono la realtà. Quanti si sono confrontati duramente si parlano a partire dalla verità, chiara e nuda. Hanno bisogno di imparare a esercitare una memoria penitenziale, capace di assumere il passato per liberare il futuro delle proprie insoddisfazioni, confusioni, proiezioni. Solo dalla verità storica dei fatti potranno nascere lo sforzo perseverante e duraturo di comprendersi a vicenda e di entrare in una nuova sintesi per il bene comune


Pubblicato

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *