Kasper: «Alla Chiesa serve il genio femminile»
Walter Kasper, 81 anni, già vescovo di Rottenburg-Stuttgart, sua diocesi di origine, fu creato cardinale da Giovanni Paolo II nello stesso Concistoro del 21 febbraio 2001 nel quale ricevette la porpora l’attuale pontefice, ed è stato il cardinale elettore più anziano all’ultimo Conclave. Dal 2010 è presidente emerito del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Papa Francesco il 20 febbraio gli ha affidato la relazione introduttiva al Sinodo straordinario sulla famiglia nel corso del Concistoro, elogiandola poi come esempio di «teologia in ginocchio».
«Il ruolo delle donne nella Chiesa va riconsiderato e integrato nella prospettiva del dinamismo sinodale e della conversione missionaria indicati dal Papa». A partire dalle sue riflessioni sulla famiglia presentate al recente Concistoro, si esprime così il cardinale tedesco Walter Kasper. E accetta di parlare riguardo alla dibattuta questione della presenza femminile negli ambiti decisionali della Chiesa.
Eminenza, nella sua relazione tenuta al Concistoro lei ha fatto riferimento alla condizione delle donne nel contesto attuale della famiglia. Quali sono i criteri di riferimento quando si considera il ruolo delle donne nella dimensione ecclesiale?
I punti di partenza per considerare il loro ruolo nella prospettiva ecclesiale sono due: la creazione e il battesimo. Dio ha creato l’uomo e la donna a sua immagine, con identica dignità, dunque non può esserci alcuna discriminazione per le donne. Con il battesimo uomo e donna sono cristiani allo stesso titolo.
Sono in preparazione due Sinodi sulla famiglia. Qual è stato fino a oggi il contributo delle donne nelle assemblee sinodali?
Finora ai Sinodi le donne sono state presenti generalmente in veste di uditrici e in posizione di scarso rilievo. Ci sono sempre due o tre uditrici che intervengono alla fine dei lavori, quando ormai hanno parlato tutti. Mi domando: come si possono preparare due Sinodi sulla famiglia senza coinvolgere in primis anche le donne? Senza le donne la famiglia semplicemente non esiste. È insensato parlare della famiglia senza ascoltarle. Credo che debbano essere chiamate e ascoltate fin da ora, nella fase della preparazione.
Ma il Sinodo che ora si è avviato è un Sinodo straordinario al quale partecipano solamente i presidenti delle conferenze episcopali, i capi dicastero romani, i patriarchi e i rappresentanti di soli tre istituti religiosi maschili…
Questo è un limite. Ma si può sempre disporre diversamente, il Papa può farlo per una consultazione e una elaborazione che sia realmente effettiva.
Il dinamismo sinodale può aprire nuove strade per la valorizzazione del contributo femminile?
Il Papa considera la dimensione sinodale di primaria importanza per il cammino della Chiesa. Per ora i Sinodi hanno solamente potere consultivo, ma questa consultazione è il fondamento per le decisioni finali del Papa. Su questa scia sinodale la Chiesa può ascoltare e integrare le donne non in modo simbolico. Il loro ruolo va riconsiderato in questa prospettiva. E, a mio avviso, è una questione da non posticipare rispetto ad altre.
Il tema dei ruoli della donna nella Chiesa è sempre molto dibattuto. La sua opinione a riguardo qual è?
Penso che le donne debbano essere presenti a ogni livello, anche in posizioni di piena responsabilità. È indispensabile l’apporto della ricchezza e delle capacità intuitive insite nel genio femminile. La Chiesa senza le donne è un corpo mutilato. Tante sono oggi impiegate attivamente negli organismi ecclesiali. Possiamo immaginare oggi strutture comunitarie, caritative, culturali senza la presenza delle donne? Senza di loro le parrocchie chiuderebbero domani stesso. Nella realtà e nella Chiesa “in uscita” prefigurata dal Papa le donne sono già avanti, sono alle frontiere.
Però nei processi decisionali della Chiesa le donne continuano a essere quasi assenti. Per quali motivi?
Il passaggio decisivo prospettato dal Papa è che nella Chiesa l’autorità dei ministri consacrati e dei vescovi non è dominio ma è sempre servizio al popolo di Dio, e deriva dalla potestà di amministrare il sacramento dell’Eucaristia. Intendere quindi l’esercizio dell’autorità legata al ministero ordinato in termini di potere è clericalismo. Questo si vede anche nella scarsa disponibilità di tanti presbiteri – sacerdoti e vescovi – a lasciare ai laici il controllo di ruoli di responsabilità che non richiedono il ministero ordinato. Nella Evangelii gaudium il Papa si chiede se è proprio necessario che il prete stia in cima a tutto. Ciò infatti dà luogo a un immobilismo clericale che a volte sembra aver paura di lasciar spazio alle donne, quindi anche di riconoscere lo spazio a esse dovuto là dove si prendono decisioni importanti. Il nodo importante della questione di una loro presenza più incisiva negli ambiti decisionali è legato al fatto che alcuni ruoli nella Chiesa prevedono l’esercizio della potestà di giurisdizione, che è connessa con il ministero ordinato. Ma non tutti i ruoli di governo o di amministrazione presenti nella Chiesa implicano la potestà di giurisdizione. Questi dunque possono essere affidati a laici, e quindi anche alle donne. Se ciò non avviene, non si può in nessun modo giustificare questa esclusione delle donne dai processi decisionali nella Chiesa.
Facciamo allora qualche esempio concreto. In quali organismi curiali possono rivestire incarichi di responsabilità?
Possono rivestire incarichi di responsabilità in quegli organismi che, anche ai livelli più alti, non implicano necessariamente la potestà di giurisdizione connessa con il ministero ordinato: nei Pontifici Consigli, ad esempio. Nei Consigli per la famiglia, per i laici (ricordiamo che la metà dei laici sono donne), per la cultura, per le comunicazioni sociali, per la promozione della nuova evangelizzazione, solo per citarne alcuni. In essi non troviamo a oggi presenze femminili in posizione di rilievo. Questo è assurdo. Nei Consigli, e in altri organismi vaticani, l’autorità potrebbe essere esercitata dalle donne anche ai livelli più alti, con responsabilità piena.
In quali altri?
Negli uffici dedicati all’amministrazione, agli affari economici, nei tribunali. Ambiti di competenze nei quali le rinomate capacità professionali delle donne spiccano, ma non sono state qui ancora adeguatamente considerate.
E nelle Congregazioni?
A mio avviso occorrerebbe riflettere più in profondità sul legame tra ordine e giurisdizione. Tuttavia le Congregazioni hanno una struttura collegiale. I prefetti delle Congregazioni sono collaboratori del Papa a livello della Chiesa universale. Le decisioni vengono ratificate dal prefetto e dal segretario, ma nelle Congregazioni, così come nei tribunali, le decisioni vengono assunte attraverso processi collegiali di consultazione. La decisione non cade infatti dal cielo, è frutto di consultazione che il prefetto e il segretario con la loro autorità poi confermano. Perché allora non coinvolgere, nel rispetto della dinamica collegiale, anche la presenza femminile nelle consultazioni? Pur rimanendo ferma e distinta la firma dell’autorità, anche una donna può essere sempre presente nelle decisioni e può quindi benissimo assolvere il compito di sottosegretario. Sono perciò convinto che anche con le vigenti regole canoniche si possa già fare qualcosa nelle Congregazioni, valutando le singole possibilità.
E in quali Congregazioni potrebbero rivestire tale funzione?
All’Educazione cattolica, ad esempio: basti pensare al talento educativo delle donne e ai ruoli che esse occupano in questo campo. Anche alle Cause dei santi sarebbe prezioso il discernimento spirituale femminile. Escludo ruoli di responsabilità delle donne per ovvi motivi nelle Congregazioni per i vescovi e il clero. Ma già alla Dottrina della fede, ad esempio, c’è un’assemblea di teologi che prepara tutte le sessioni e nella quale a tutt’oggi la presenza femminile è ancora assente. Eppure abbiamo tante teologhe che sono anche docenti nelle università pontificie. Un loro contributo sarebbe auspicabile. Questo è vero a maggior ragione nella Congregazione per la vita consacrata: l’ottanta per cento delle persone consacrate appartengono all’universo femminile.
La selezione per l’affidamento di questi possibili incarichi a quali criteri dovrebbe rispondere?
Il criterio dovrebbe basarsi sulla competenza e sullo spirito di servizio. Ovviamente anche le donne possono essere mosse dalla smania di far carriera sul modello maschile. Ci sono alcune che manifestano questo problema, ma molte altre no. Occorre dunque saper scegliere con discernimento le persone giuste, non scegliere persone che rispondono a dinamiche viziate.
Ha in proposito qualche esempio positivo?
Mary Ann Glendon, la professoressa di Harvard, ad esempio. La Santa Sede le ha affidato un compito importante inviandola come rappresentante alle conferenze dell’Onu dove ha svolto un servizio eccellente, riconosciuto da tutti. Professioniste come lei danno una spinta in avanti alla Chiesa; hanno esperienza, competenze approfondite, posizioni definite nel mondo, dunque non hanno il problema di far carriera nella Curia. Offrono con spirito di servizio la loro sapienza ed esperienza alla Chiesa. Penso che un certo numero di donne così potrebbero contribuire a sanare il clericalismo e il carrierismo nella Curia, che è un vizio terribile.
Anche nel recente Concistoro il Papa ha rimarcato il male provocato dal carrierismo. Ma ci sono, secondo lei, rimedi concreti per questo in Curia?
Forse l’impiego con incarichi a tempo determinato potrebbe essere un rimedio. Si potrebbero impiegare persone con esperienza pastorale alle spalle, che hanno esperienza in diocesi, nelle parrocchie, e affidare loro incarichi a tempo determinato. Ad esempio per un quinquennio. Un periodo al termine del quale alcuni potrebbero rimanere, ma tutti gli altri tornerebbero in diocesi portando la propria esperienza nella Chiesa locale. Con questa prospettiva si potrebbe forse eliminare il problema delle persone che agiscono avendo come unico criterio il proprio avanzamento sulla scala. Mi chiedo inoltre: è indispensabile che tutti i segretari dei dicasteri vaticani debbano essere vescovi? Nella Curia c’è oggi un’alta concentrazione di vescovi. Tanti svolgono funzioni di burocrati, e questo non va bene. Il vescovo è un pastore. La consacrazione episcopale non è un’onorificenza, è un sacramento, riguarda la struttura sacramentale della Chiesa. Perché dunque è necessario un vescovo per svolgere funzioni burocratiche? Qui, a mio avviso, si rischia un abuso dei sacramenti. Neppure il cardinale Ottaviani, storico segretario della Congregazione del Sant’Uffizio, era vescovo: lo divenne dopo, con Giovanni XXIII.
Tornando alla questione femminile, lei all’inizio diceva che nella realtà ecclesiale le donne si trovano avanti, nelle frontiere. Può spiegare meglio?
A me preme sottolineare che per Papa Francesco è importante la Chiesa “in uscita” verso le periferie. A questo bisogna dare rilievo. La Chiesa non è la Curia. Si continua a parlare dei ruoli che le donne possono rivestire all’interno degli organismi e delle istituzioni curiali. Ma credo che anche il ruolo delle donne nella Chiesa vada valorizzato e proiettato in chiave di conversione missionaria e pastorale. Ci sono realtà dalle quali abbiamo molto da imparare. Penso all’Africa, dove ho sempre visto molte laiche e moltissime religiose che fanno un lavoro importante, di frontiera, e molto spesso eroico. Quando volevo farmi un’idea esatta della situazione reale di un determinato contesto mi sono sempre rivolto alle religiose che operano sul campo da tanti anni. A Roma ci sono le case generalizie di molte congregazioni missionarie, con una moltitudine di religiose che hanno grande conoscenza del mondo e delle realtà con le quali sono state a contatto. La loro conoscenza potrebbe essere ascoltata. È un’esperienza che andrebbe considerata, valorizzata e messa a frutto anche in Curia.
Intervista di Stefania Falasca (da l’Avvenire” del 2 marzo 2014)
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