“MA L’ANGELO DISSE ALLE DONNE:
NON ABBIATE PAURA, VOI!”
Queste nostre riflessioni hanno lo scopo di “situare”, ovviamente a rapidissimi cenni, il rapporto Chiesa-donne nei secoli e quindi, tenendo conto di questo sfondo, raccontare una storia, la nostra piccola storia di Comunità cristiana di base (Cdb) di san Paolo in Roma. Essa è costellata di scelte e decisioni nate non a tavolino, ma nell’esperienza viva e cioè nelle particolari circostanze storiche della Chiesa cattolica italiana alla metà degli anni Settanta del secolo scorso – durante il pontificato di Paolo VI – e proseguita poi fino ad oggi, nel turbine degli eventi politici, sociali e religiosi che si sono susseguiti.
Cercando di vivere in modo consapevole la nostra esperienza cristiana, è stato “inevitabile” imbatterci anche sul significato dell’Eucarestia, su “chi” può presiederla, e dunque sul problema dei ministeri. Spinti non solo da eventi contingenti che toccavano la possibilità stessa di esistenza della nostra Cdb, ma anche incoraggiati da alcuni input del Concilio Vaticano II e confortati dagli studi e dalle conclusioni di valentissimi e valentissime competenti dell’esegesi biblica e della teologia, in proposito siamo arrivati a capire che, storicamente e biblicamente, non sono più difendibili la dottrina e la prassi cattoliche ufficiali che escludono le donne, in linea di principio, dalla possibilità di celebrare e presiedere la Cena del Signore
Il silenzio del papa sui viri probati auspicati dal Sinodo per l’Amazzonia
Eppure… è un dato di fatto che quasi tutte le Chiese, per secoli e secoli, hanno dimenticato il mandato di Gesù a Maria di Magdala (Migdal, in ebraico: villaggio sulle rive del lago di Tiberiade, non lontano da Cafarnao); e, perciò, hanno compiuto una ingiustizia che ha pesato moltissimo non solo sulle donne, ma sull’intera Chiesa – per quanto di ciò a lungo nesciente – , costruita appunto e pensata come maschilista e patriarcale. In merito, affronteremo in particolare la teoria e prassi della Chiesa cattolica romana che, stando così le cose, è “impossibilitata” ad uscire dalla torre teologica e dogmatica in cui si è rinserrata, a meno che, con un soprassalto di coraggio e di sapienza, non decida finalmente di calare il ponte levatoio che la rinchiude e la difende, per aprirsi alle novità che lo Spirito ispira.
Descriveremo questa torre dalle mura altissime, che non riguardano solo il passato: anche vicende ecclesiali recenti, infatti, lo confermano. A Roma, nell’ottobre 2019, un Sinodo dei vescovi dedicato all’Amazzonia aveva dimostrato una certa audacia perché – partendo dal fatto che, laggiù, comunità ecclesiali disperse nella foresta profonda vedono il prete celibe solamente una volta ogni uno o due anni – aveva dato al papa questo consiglio: “Proponiamo che l’autorità competente stabilisca criteri e disposizioni, nel quadro del n. 26 della Lumen gentium [costituzione del Vaticano II sulla Chiesa], per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, che abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato, potendo aver una famiglia legittimamente costituita e stabile, per sostenere la vita della comunità cristiana mediante la predicazione della Parola e la celebrazione dei Sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica”.
Un testo – rileviamo – teologicamente e sintatticamente travagliato, segno della difficoltà di tener conto di punti di vista assai articolati perché siano ammessi al presbiterato, seppure in presenza di molte condizioni restrittive, diaconi già sposati [viri probati, di fatto]. Invece, a proposito delle donne, pur lodando tantissimo il loro decisivo apporto alla vita di quelle comunità, il Sinodo non aveva osato chiedere neanche il diaconato. Comunque, dopo tante attese, è arrivata l’Esortazione post-sinodale Querida Amazonia di Francesco, datata 2 febbraio 2020 e pubblicata dieci giorni dopo.
Siamo totalmente d’accordo con tale documento quando, con piena solidarietà e grande tenerezza, si schiera al fianco dei popoli originari dell’Amazzonia, affinché il loro ecosistema sia garantito, i loro territori custoditi, i loro fiumi mantenuti potabili: insomma a difesa del loro diritto di vivere in dignità, protetti dalle mani di rapina che vorrebbero saccheggiare quelle terre a spese di chi le abita da millenni.
L’Esortazione sostiene, poi, le ragioni degli indigeni decisi a mantenere la loro variegata cosmogonia e la loro spiritualità. Benissimo. Ma queste parole, purtroppo, sul versante ecclesiale il papa non le ha inverate: egli infatti, bypassando i consigli del Sinodo, “dimentica” la proposta che diaconi indigeni sposati possano essere consacrati presbìteri come, invece, sarebbe stato logico se lui avesse voluto concretizzare l’asserita volontà di favorire una Chiesa dal rostro (volto) amazzonico; inoltre egli non esplicita che anche donne siano ammesse in tutti i ministeri, o almeno nel diaconato; e perché no? Per non volerle “clericalizzare”, precisa.
In attesa di un Concilio di “padri” e di “madri”
Ma ci rendiamo conto che, forse, non è un Sinodo dei vescovi, o un papa da solo che possono cambiare profondamente teologie e prassi che durano da secoli: solo un inedito Concilio – di “padri” e “madri”, e dunque non più clericale – potrebbe farlo. Non è in questione, infatti, un dettaglio: si tratta di mettere in discussione dalle fondamenta il concetto stesso di sacerdozio ministeriale (mediazione necessaria tra il popolo e Dio) affidato ai maschi, meglio se celibi, per arrivare a edificare, invece, una Chiesa caratterizzata da ministeri (servizi per il popolo di Dio), tutti aperti a donne e uomini. Ministeri derivanti dal sacerdozio comune radicato nel battesimo, come bene ha messo in evidenza la Riforma.
Il “sacerdozio” ministeriale, se esercitato anche dalle donne, renderebbe ovviamente meno patriarcale la Chiesa, e vi indurrebbe importanti cambiamenti istituzionali e pastorali; ma risolverebbe, in prospettiva e in profondità, i problemi? Esso, infatti, è estraneo al pensiero di Gesù che mai ha parlato di “sacerdozio” per chi Lo avesse seguito, ma di “discepolato” e di “servizio” [diakonìa]; quel “sacerdozio”, d’altronde, perpetuerebbe separazioni e steccati all’interno del popolo di Dio.
Sarebbe l’ora, invece, come molte e molti nell’intera Ekklesia pensano (e anche noi ci inseriamo in questo fiume), di dilatare tutti i “ministeri”, “servizi” possibili sia a donne che uomini se chiamati a compierli in e da una comunità[1].
Potrebbero aprirsi, dunque, scenari in apparenza nuovissimi ma forse – in radice e prospetticamente – antichi: infatti, a questioni emergenti nella prima Chiesa si rispondeva creando “ministeri” e “ministri” per affrontarle. Il riproporre questa prassi – individuazione di un problema, invocazione dello Spirito perché illumini per risolverlo, e scelta dei “servitori” ad hoc – è oggi, pur in situazioni diversissime, un miraggio? Eppure, in giro per il mondo esistono segnali, forti e incoraggianti, in controtendenza contro le chiusure ufficiali.[2] Quindi non parliamo in un deserto, anche se ci rendiamo ben conto che il potere maschile costitutivo di una Chiesa piramidale fa e farà una enorme resistenza al doversi mettere in discussione, per finalmente accogliere una prassi per esso destabilizzante. Si tratterebbe, nientemeno, che di riconoscere: è stata una scelta infelice, infelicissima la costruzione, nei secoli, di una Chiesa dove il carisma della presidenza dell’Eucarestia è stato considerato – ma agli inizi non era così! – privilegio dei maschi ed è stato ancor più nefasto dimenticare che celebrante è l’intera comunità, nella quale possono essere uomini e donne, in base a riconosciuti carismi, ad avere il ministero di presiedere la Cena del Signore. Un servizio che non può mai trasformarsi in potere personale e magico sussistente al di fuori della comunità, come purtroppo ha cominciato a verificarsi con la Chiesa costantiniana, quando essa, da emarginata che era, entra nell’area del potere imperiale e prende piede, lentamente ma inesorabilmente, una prassi strumentale alla struttura gerarchica che la Chiesa stessa si stava dando sin dai tempi dell’introduzione del vescovo monocratico (II-III secolo). Tale prassi consisteva nella trasformazione dell’Eucarestia da gesto di condivisione a rito sacrificale.
Infatti, se l’Eucarestia, che è il centro vitale della Comunità, si trasforma in sacrificio, richiede necessariamente un sacerdote che sacrifichi. E il sacerdote è maschio secondo la tradizione giudaica (alla quale, quando le fa comodo, la Chiesa costantiniana si riferisce). Si veda in proposito la pagina illuminante di Giovanni Franzoni nella sua biografia [pag.158].
Oggi, per superare questa ferrea barriera si dovrebbe, dunque, operare un cambiamento profondo e radicale di paradigma teologico, accettando che il tempo della Chiesa maschilista vada considerato compiuto e chiuso; e che ora, per gli anni e decenni a venire, ci si dovrebbe impegnare perché si dischiuda tra le doglie del parto il tempo della Chiesa dove, come Pietro e gli altri, anche Maria Maddalena e le altre possano annunciare pure nell’ Ekklesia l’Evangelo e presiedere la Cena del Signore[3].
Non sappiamo se il cammino che, tra le nebbie mattutine, si staglia, a livello generale di Chiesa romana, verrà davvero intrapreso, e con il necessario ardimento[4]; è anche possibile che ci si accontenti di qualche abbellimento di facciata, mantenendo ben salda la sostanza maschilista e patriarcale; o anche, più abilmente, “cambiare tutto perché nulla cambi”. Ma noi siamo fiduciosi che una rivoluzione copernicana arriverà. E perciò, a futura memoria, raccontiamo la nostra piccola storia, collocata a Roma sul crinale tra la fine del secolo XX e gli inizi del secolo XXI. Essa, pur non esaustiva e di certo non perfetta, qualcosa – a noi pare – insegna, indicando sentieri e cammini che altri e altre meglio potranno affrontare. Perché non ritenere ancora possibile una nuova Pentecoste?
Roma, 31 maggio 2020, Festa di Pentecoste
La Comunità cristiana di base di san Paolo
[1] Su tutta questa problematica – biblica, teologica, sociologica e storica – amplissima è la bibliografia di specialisti e specialiste in materia, anche da noi consultata; ma, dato il carattere non accademico di questo documento, abbiamo ritenuto non necessario apportarla qui. Chi voglia approfondire trova in internet e in libreria moltissime opere – di vario orientamento – su questo argomenti, alcuni dei quali “tabù”. Limitiamo dunque le poche note a libri che documentano vicende della nostra comunità spesso ignote al grande pubblico, o a fatti di cronaca difficilmente reperibili, legati a questioni religiose e vaticane.
[2] Anche in contesti culturali assai diversi da quelli occidentali emerge la “insostenibilità” dell’esclusione delle donne dai ministeri: “Come convertito al Cristianesimo, una delle sfide che sento più forti oggi è come fare per adattarmi all’esclusione quasi totale delle donne dall’esercizio della leadership ecclesiale e dal ministero sacramentale nel Cattolicesimo romano. Essendo cresciuto nella Religione tradizionale africana, questa restrizione istituzionale, basata sul genere, evoca in me un mix di sorpresa, disagio e repulsione.” (Agbonkhianmeghe E. Orobator, gesuita nigeriano, in Nigrizia [5/20]).
[3] Quale sia il pensiero prevalente nella nostra comunità sull’Eucaristia l’abbiamo espresso con una certa ampiezza in una riflessione intitolata Fate questo in memoria di me. Condividere il pane nell’Eucaristia nella vita. Essa, datata 30 dicembre 2004, era il contributo della Cdb di san Paolo al Sinodo dei vescovi del 2005, dedicato appunto a quel tema.
[4] Nel paragrafo 103 del documento finale del Sinodo del 2019, gli amazzonici, a proposito di diaconato femminile, auspicano di poter in merito “condividere le nostre esperienze e riflessioni” con la commissione pontificia dedicata al tema. Questo organismo, creato da Francesco nell’agosto 2016 (l’idea gli era stata “suggerita” nel maggio precedente, durante un’udienza, dall’Unione generale delle superiore religiose), era presieduto dal card. Luis Francisco Ladaria Ferrer, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e composto da sei teologi e da altrettante teologhe, per lo più religiose, di vari paesi. Rispondendo, sull’argomento, a domande di giornalisti, Bergoglio – il 10 maggio 2019, di ritorno dalla Macedonia – rivelò che la commissione aveva sì concluso i suoi lavori, senza però arrivare ad un accordo condiviso su quale ordinazione ricevessero le diaconissae: proprio come quella dei diaconi-maschi, o diversa, “minore” e non legata agli “ordini” maggiori?
L’8 aprile 2020 il papa ha istituito una nuova commissione per studiare l’irrisolto problema del diaconato femminile. è’ presieduta dal card. Giuseppe Petrocchi, vescovo de L’Aquila; segretario è il francese don Denis Dupont-Fauville, officiale della CdF; è composta da dieci persone, tra cui due diaconi permanenti: cinque professori, e cinque professoresse, di liturgia, teologia o storia della Chiesa, provenienti da Francia, Gran Bretagna, Italia, Spagna, Svizzera, Ucraina, Usa. E’ davvero singolare che, malgrado l’auspicio del Sinodo dell’ottobre scorso, nessun paese amazzonico, e nemmeno del Sud del mondo, sia in essa rappresentato.
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