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Noi Siamo Chiesa

Sezione italiana del movimento internazionale “We Are Church” per la riforma della Chiesa cattolica

Le tensioni e poi la rottura tra Wojtyla e la Compagnia di Gesù

I GESUITI E IL VATICANO II

La Compagnia di Gesù arriva al Vaticano II, ai tempi di Giovanni XXIII, con le attese, i disagi, le speranze, di tutta la chiesa. I tempi difficili che seguono gli anni della guerra per alcuni versi vedono un fiorire della vita religiosa, per altri annunziano che tempi nuovi richiedono risposte nuove anche di tipo religioso. Domina nella mentalità comune dei gesuiti una sorta di odio viscerale per il “comunismo ateo” che induce ad un serrare le fila attorno a posizioni interclassiste della vecchia DC e ad una religiosità tradizionale. Si fa strada però anche la sofferenza per lo scollamento sempre più marcato dei poveri i cui problemi sembrano essere sottovalutati dalla chiesa, come pure la percezione che una teologia astratta non interessa i giovani e non affronta le attese della povera gente.

Chi attende il nuovo insomma e chi aspetta un ritorno alla tradizione più rigida.

Quando il concilio si apre vari gesuiti, a titolo diverso, vi sono presenti. E anche questi quasi schierati in due diverse linee di pensiero. Accanto a padre Tromp della Gregoriana, che sosteneva strenuamente gli schemi preparati dalla Commissione preparatoria – di stampo notoriamente tradizionale – c’erano uomini come Henri De Lubac, Jean Daniélou, Karl Rahner. Rappresentanti insomma del rinnovamento teologico (“Nuova Teologia”) che aveva fatto scattare le perplessità della Humani Generis di Pio XII.

L’esito del Vaticano II fu vissuto dalla Compagnia di Gesù come era prevedibile: accolto con sollievo e speranza da una parte consistente dei gesuiti, respinto – a titolo diverso – da un’altra parte anche essa consistente. Dopo il Vaticano II si registra una vera emorragia nell’Ordine. Esso perde in breve tempo circa 10.000 membri. Escono dall’Ordine quelli che sono delusi dal Concilio perché ha detto troppo poco, e quelli secondo i quali il Concilio avrebbe detto troppo, ed avrebbe avviato la rovina di una chiesa in cui non si riconoscevano più.

Dietro questa apparenza di facciata esiste sempre un Ordine che vuole recepire i venti dello Spirito e che nel 1965 convoca la XXXI Congregazione Generale con un doppio scopo: predisporre dal punto di vista interiore ed operativo tale recezione; eleggere il nuovo Padre Generale (il cosiddetto ‘Papa nero’). Da tutti si sente il bisogno di un cambiamento, pur nel solco della tradizione gesuitica. Qualcuno parla di un ‘nuovo inizio’, si giungerà al concetto di ‘rifondazione’. Gli anni ’60 erano molto diversi da quelli in cui la Compagnia era nata, ma per alcuni versi simili per la novità e la gravità delle sfide che l’Ordine doveva affrontare per realizzare le sue finalità: “En todo amar y servir” – “aiutare le anime”. In questa Congregazione viene eletto Generale dell’Ordine Pedro Arrupe.

Interrogarsi sui gesuiti ed il Vaticano II significa imbarcarsi in una ricerca di vastità eccezionale che ruota attorno a tre punti chiave: la persona del Padre Pero Arrupe generale dei Gesuiti, la Congregazione Generale XXXII, le implicazioni della Compagnia nelle vicende dell’America Latina.

Si tratta di una storia lacerante che gronda lacrime e sangue – in senso proprio – e sembra avere come controparte niente di meno che il papato e, in particolare, Giovanni Paolo II.

Difficile per un non-gesuita rendersi conto del dramma: essere sospettati da colui che regge quella chiesa al cui servizio ogni gesuita si sente consacrato. In altri termini, le contraddizioni che lacerano la chiesa (c’è chi considera una ‘Nuova Pentecoste’ il Concilio, e chi lo considera uno sbaglio dello Spirito che porterà solo mali alla fede) si riflettono nella vita di un Ordine che vuole vivere di obbedienza al papa ma che è nato per l’annunzio e la costruzione del Regno di Dio.    

1)     Pedro Arrupe

La sua azione di governo può dividersi in due parti: 1965-1971 e 1972-1991, anno della morte.

Il primo periodo è tutto dedicato all’ammodernamento dell’Ordine deciso e designato dalla Congregazione Generale XXXI secondo le direttive spirituali, apostoliche, ecclesiali del Vaticano II.

Paolo VI gli rimprovera di essere debole nel governo, più incline alla benignità che al rigore, di usare più l’acceleratore che il freno, di rischiare in modo eccessivo nelle sue decisioni, di fidarsi troppo di coloro che avrebbe dovuto guidare e correggere. Lui rispondeva a quanti gli rimproveravano una crisi di fiducia tra il papa e la Compagnia, che preferiva correre il rischio di sbagliarsi a quello di restare immobile nella paura. Che preferiva apparire permissivo per evitare il rischio di creare un clima di diffidenza e terrore.

Il secondo periodo è segnato dalla sua fedeltà alle decisioni della Congregazione Generale XXXII e da una rottura, nei fatti mai sanata, tra Giovanni Paolo II e la sua persona. Anche quando Arrupe fu eletto Segretario della Confederazione Mondiale degli ordini Religiosi, il papa si rifiutò di riceverlo. Il dolore per questa incomprensione contribuirà alla malattia e poi alla morte di Pedro Arrupe.

2)     La Congregazione Generale XXXII

Inizia nel 1974 dopo anni di preparazione. Era un evento straordinario voluto dallo stesso Arrupe per una verifica del cammino fatto e per una condivisione che l’Ordine incontrava nei suoi rapporti con la Santa Sede. Testualmente: “per la necessità di cercare, concretizzare, precisare ancora di più il servizio che la Compagnia deve prestare alla Chiesa in un mondo che cambia così rapidamente, e per rispondere alle sfide che detto mondo ci presenta”.

Nel 1968 si era tenuta a Medellin l’assemblea del Celam (Conferenza Episcopale Latino-Americana) che aveva guardato con fede la situazione di degrado ed oppressione in cui si trovava tanta parte della popolazione mondiale in particolare quella del Continente Latino-Americano. Si era deciso di prendere sul serio l’opzione conciliare per i poveri, di stare dalla loro parte, di rivedere i rapporti con governi chiaramente oppressivi.

Quando la Congregazione Generale, preparando il celebre decreto IV fa sua questa opzione e sceglie come priorità delle priorità apostoliche “l’annuncio della fede e la promozione della giustizia”, il Generale avverte che questa scelta avrebbe portato ad una nuova ondata di incomprensioni sulla Compagnia ed avrebbe creato nuovi martiri. Oggi diremmo che fu facile profeta. Preferiamo affermare che Arrupe era un conoscitore del suo tempo e della vita nella chiesa. È impressionante: dal 1973 al 2006 muoiono 48 gesuiti in missione per morte violenta. I più celebri sono Padre Ellacuria e compagni dell’Università del Centro America in Salvador, e P. Rutilio Grande, tutti collegati con l’assassinio di Mons. Romero.

Un discorso a parte meriterebbe la storia di gesuiti che nella presentazione della fede, in ottemperanza a decreti del Vaticano II come Gaudium et Spes – Unitatis Redintegratio – Dignitatis Humanae, hanno tentato un rinnovamento della teologia, un dialogo con le altre religioni o si sono prodigati per l’ecumenismo. Sono noti i casi di Ignazio Ellacuria, Jon Sobrino, De Mello, Dupuis.

 

3)L’America Latina

La situazione dell’America Latina è stata da sempre croce e delizia della Compagnia. Si può dire che essere stati dalla parte degli indios nel secolo XVIII provocò la sua soppressione (1773 – 1814); essere stati dalla parte degli oppressi soprattutto nella stessa regione latino-americana provocò il suo commissariamento (1983 – anno della dimissione di Arrupe per malattia – al 2008, anno dell’elezione di Adolfo Nicolàs, dopo la gestione anomala di Padre Dezza ed il generalato sui generis di Kolvenbach).

Si innestano qui le vicende della Teologia della Liberazione che, stando dalla parte dei poveri, era insieme obiettivo strategico dei Presidenti USA (si pensi al Documento di Santa Fè) che si proponevano di distruggerla, ed anche oggetto di preoccupazioni da parte del Vaticano che vedeva in essa un attentato alla stessa fede ed un cedimento al marxismo. In realtà l’America Latina con la sua situazione esplosiva di ingiustizie e povertà estrema. Costringeva la chiesa a rivedere il suo rapporto col potere, ad essere chiesa povera e dei poveri. Altre erano le mire di Giovanni Paolo II che fin dai primi mesi del suo pontificato, segnato ancora dalla sua esperienza di polacco cresciuto sotto regime comunista, perseguiva una politica ecclesiastica di appoggio a governi sedicenti cristiani benché oppressivi ed assassini, nella illusione che contro l’uomo potessero operare solo gli atei marxisti. Resta basilare il patto Reagan – Giovanni Paolo II, che implicava lotta alle Comunità di Base ed alla Teologia della liberazione in America Latina, aiuti a Solidarnosh in Europa per la caduta del marxismo.

Oggi la Compagnia di Gesù è in crisi. Crisi numerica, prima di tutto. Ma forse questa è la conseguenza di una crisi più profonda. L’Ordine non ha saputo “rifondarsi” tirando dalla sua bisaccia “nova et vetera”. L’attuale riorganizzazione in raggruppamenti più larghi di Province religiose e Regioni, non segue di pari passo un discernimento sulla missione del gesuita oggi in obbedienza al Vaticano II ed alla situazione di globalizzazione neoliberistica in cui versa il mondo. Le stesse incertezze vaticane sul destino del Concilio mettono i gesuiti in grave crisi. Un Ordine che ha un rapporto particolare col papa, oggi, deve tacere sulle derive anticonciliari di tante decisioni pontificie, o in nome di una lealtà allo stesso papa deve denunziare lo scandalo e lo sconcerto di una chiesa che oggi pare divisa?[1]  Senza la pretesa di dare un giudizio universalmente valido, pare sensato dire che tanti singoli religiosi appaiono incerti, solitari, confusi. Oppure hanno una levatura morale e spirituale tale da seguire le indicazioni dello Spirito anche in solitudine. Esempio di questi ultimi il compianto cardinale Martini. Raniero La Valle ha recentemente scritto di lui: “Martini non aveva partecipato al Concilio, ma tutta la sua vita è stata intrecciata  alla straordinaria novità con cui la Chiesa del Novecento aveva saputo ripensare se stessa, la fede e il mondo; di questa novità egli è stato il più lucido e coraggioso interprete nell’episcopato italiano, e a una delle conversioni più decisive della Chiesa conciliare, quella del ritorno alla Bibbia e della sua restituzione alla preghiera e alla riflessione dei credenti”.

   Quei singoli religiosi che ieri avevano perplessità sul Concilio, oggi hanno dalla loro parte l’indirizzo ufficiale piuttosto incline ad una fedeltà formale e ad un suo rinnegamento sostanziale. I tradizionalisti – chiamiamoli così – rimediano ancora gente in chiesa appoggiandosi a Movimenti carichi di entusiasmo e venati di angelo-demonismo. Chi vede nel Concilio la speranza del nostro mondo e crede che si possa coniugare annuncio della fede e promozione della giustizia, non sente alle sue spalle un Ordine, va a tentoni, in un cammino quasi solitario. Per queste persone l’affermazione “lei non è un gesuita o un prete come tutti”, suona insieme elogio e critica. In ogni caso una simile frase è venata sempre dall’impressione che qualcosa nella testimonianza di fede e di chiesa sia andata persa. Un simile stato di cose è comunque aperto alla speranza. La migliore difesa perché il Vaticano II abbia una sua attuazione nella chiesa, è quello stesso Spirito di Dio che lo ha suscitato.   

 


[1] Nel marzo 2009 il gesuita Pierre Emonet, in “Choisir” (n 591) definiva “Décision malheurese” la revoca della scomunica alla Fraternità S. Pio X. Non era il solo membro della Compagnia di Gesù ad esprimersi. Ma padre Emonet era un buon gesuita quando scriveva quella critica, o mancava di lealtà al papa? Per chiarire, scriveva: “Un papa condanna ed un altro papa assolve… e senza che ci sia stata riparazione. La parola del papa non è dunque più incontestabile come essa pretende. Certi ne prendono atto: ostentano il loro disinteresse e lasciano la chiesa. Dal momento che la Compagnia di Gesù ha riaffermato il legame speciale che la unisce al Santo Padre, noi rifiutiamo di prendere il cammino dell’indifferenza. Non si tratta di volgere le spalle ma di far fronte. Per questo, per lealtà verso il Santo Padre, con rispetto, noi diciamo la nostra incomprensione e la nostra inquietudine”. Cfr. Giovanni Miccoli, “La chiesa dell’anticoncilio”, Laterza, Bari, 2011.


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