Mons. Casale: «Io
dico che Eluana ha finito di soffrire»
di Roberto Monteforte
Escludo che per Eluana si possa parlare di omicidio. Rifiuto questa lettura
perché, come molti altri, ritengo che quando c’è la dichiarazione di volontà di
rifiutare l’accanimento terapeutico, si rifiuta un intervento tecnico e si
lascia che la natura faccia il suo corso. Come si può parlare in questo caso di
eutanasia in questo caso?» È lineare il ragionamento di monsignor Giuseppe
Casale, vescovo emerito di Foggia. Con serenità ribadisce il suo punto di vista
sul caso Englaro. Un punto di vista molto diverso da quello di altre voci anche
autorevoli della Chiesa, per le quali non vi sarebbe dubbio, quello di Eluana è
stato omicidio, eutanasia.
Eppure nella Chiesa c’è chi si dice
sicuro che la sospensione di alimentazione e idratazione sia eutanasia..
«Molti medici ritengono che l’idratazione e l’alimentazione forzata siano un
medicamento. Non si tratta di un dar da magiare o da bere, ma di nutrire
medicalmente con un sondino, con una miscela o altro che servono a tenere il
corpo in vita. È alimentazione articificiale. Se uno la rifiuta, lasciando che
la propria vita vada avanti secondo quello che è il pensiero di Dio, la sua
volontà e la natura, allora quello che rifiuta è l’accanimento terapeuetico.
Nel caso in cui non ci siano più prospettive o possibilità di una vita nuova,
perchè ormai la lunga degenza esclude questa ipotesi, si tratta di affidarsi al
corso della natura. Non è assolutamente eutanasia. Affermarlo è forzare le
cose. È dare seguito ad interpretazioni politiche esasperate e unilaterali,
forzate con questo vizio d’origine. Ci rifacciamo tanto alla natura e alle sue
leggi e in questo caso ritieniamo che le sue leggi debbano essere violate?
Diciamo che ci vogliono gli interventi tecnologici o biotecnici?».
Eppure la polemica monta nel paese. Non
le pare che ci sia il rischio di una lacerazione profonda nella società?
«Dobbiamo lavorare perché si crei una nuova mentalità. Davanti alla morte di
questa giovane creatura dobbiamo essere indotti a riflettere. A liberarci dai
pregiudizi e dagli interessi di parte. Se dovessi dire il mio pensiero chiederi
al Signore di tenermi in vita finché è possibile. Mi affiderei alla sua bontà.
Aspettando che mi chiami. Non rinuncerei a seguire le cure che i medici mi
consigliano, ma non vorrei trovarmi nella condizione di essere affidato a delle
tecniche che prolungano artificiosamente la vita. Vorrei viverla ricca almeno
di un rapporto con gli altri. Ho assistito molti ammalati terminali. Sino al
momento in cui vi è possibilità di comunicazione con lo sguardo, con un canto,
con un tocco della mano allora sì che c’è una comunicazione, che c’è la vita.
Ma non è questo il caso che stiamo esaminando…».
Il mondo cattolico protesta vivacemente…
«C’è stata tutta questa mobilitazione. Io che sono uomo libero rifiuto di farmi
mobilitare».
Lei è una voce fuori dal coro…
«No. Sono nel coro che è la Chiesa cattolica. Sarò forse un solista. E i
solisti mettono in evidenza alcuni aspetti della partitura. In questo coro io
ho voluto mettere in evidenza un’aspetto: quello della libertà della persona,
quello della vita che è vita quando è fatta di relazioni, quello del rispetto
della volontà anche quando non è espressa con un atto formale, come è stato per
questa giovane donna che lunedì sera ha concluso il suo cammino. Rifiuto
qualsiasi forma di "intruppamento", di mobilitazione, di crociata.
Perché le crociate hanno lasciato brutti segni nella storia della Chiesa».
Come costruire il "dopo
Eluana"?
«Evitando di cadere nel tranello dei marpioni della politica sempre pronti a
tirare l’acqua al loro mulino. Non è giusto usare strumentalmente un caso così
drammatico per fini che non sono neanche politici, ma di rivincita di un gruppo
sull’altro. Dobbiamo avere la dignità di uno sguardo nuovo della politica che
rispetti le persone, che vada nella direzione della "polis", la città
al cui servizio noi siamo».
Come arrivare ad una legge sul
testamente biologico che aiuti a definire il "fine vita"?
«Attraverso un confronto che rispetti le etiche diverse e la libertà delle
opinioni. In un regime democratico la libertà va costruita nel rispetto
reciproco e nell’accoglienza delle varie esperienze. Soprattutto nel rispetto
delle persone che soffrono. E non credo che Bettino Englaro abbia fatto quello
che ha fatto senza passare attraverso una grossa sofferenza. Abbiamo il dovere
di rispettarlo e lui ha il diritto al nostro rispetto e alla nostra amicizia».
dall’ Unità, 11 febbraio 2009
“Rispetto
il papà: ha voluto provocare le coscienze”
intervista
a Mons. Giancarlo Maria Bregantini a cura di Giacomo Galeazzi
in
“La Stampa” dell’11 febbraio 2009
«Sono
vicino a Peppino Englaro che invece di ricorrere a sotterfugi è sempre stato
corretto e ha
creduto
nella giustizia. Bisogna apprezzare la sua rettitudine». L’arcivescovo
Giancarlo Maria
Bregantini,
60 anni, trentino, commissario Cei del Clero e della vita consacrata, per tre
lustri presule
anti-clan
a Locri e due anni fa promosso alla guida dell’arcidiocesi di Campobasso, tende
la mano
al
papà di Eluana che, invece, secondo Avvenire «si è fatto giudice e boia».
Peppino
Englaro «boia», come attacca il giornale della Cei?
«Ora
è proprio il caso di abbassare i toni e riflettere con maggiore pacatezza ed
equilibrio. E senza
dimenticare
mai che la misericordia è la nota dominante che permea tutto il Vangelo. Come
credenti
dobbiamo
stringerci attorno alla famiglia Englaro che per 17 anni ha sofferto un atroce
calvario e
ora
sperimenta il dolore più lancinante. Sul piano soggettivo e a livello
personale, dobbiamo tutti
comprendere
una situazione altamente dolorosa che si è conclusa in modo triste. Io avrei
preferito
che
Eluana fosse affidata sempre più alle suore e continuare a starle vicino
accompagnando questo
padre
così provato e meritevole di profondo rispetto».
Qual
è il merito del papà di Eluana?
«Peppino
Englaro è stato grande nell’aver voluto una soluzione legale senza mai cercare
scorciatoie
sotto
banco. Personalmente non avrei trasferito Eluana a Udine, ma non pronuncerò mai
condanne
contro
la famiglia Englaro né farò campagne. Va rispettato il dolore personale,
soggettivo di un
padre
che si è fidato della giustizia ed è stato esemplare nel rifuggire dai
sotterfugi. Di tanti casi
simili
a quello di Eluana non si è mai saputo nulla perché si sono fatte le cose di
nascosto. Al
contrario,
Peppino Englaro, con la sua rettitudine, ha voluto provocare le nostre
coscienze, perciò
merita
rispetto sul piano personale e della modalità d’azione. Ci ha posto di fronte
ad un macigno
sul
quale bisogna riflettere».
Oltreché
contro Peppino Englaro, le associazioni cattoliche puntano l’indice contro
Napolitano
per la mancata firma sul decreto «salva-Eluana». E’ d’accordo?
«No.
Il Capo dello Stato aveva motivazioni certamente fondate per non firmare. Era
la sentenza dei
giudici
a non essere accettabile per la morale cattolica, non certo la mancata firma
del presidente
Napolitano.
Piuttosto il Parlamento poteva essere più lungimirante e assumersi prima il
compito di
legiferare
sul fine vita e non pretendere di risolvere tutto in poche ore. Adesso bisogna
cogliere la
provocazione
positiva di Peppino Englaro. Ha anche chiesto la benedizione di Eluana, che va
accolta
con grande misericordia tra le braccia della Chiesa. Avremmo dovuto camminare
più
insieme
alla famiglia Englaro, accompagnarla di più in questi anni. Eluana potrebbe
essere la nostra
mamma,
la nostra sorella, una persona a noi cara. Non dobbiamo lasciare sola la famiglia
Englaro».
Lascia un commento