Quando i conventi diventano hotel paghino le tasse. Anche la Chiesa
tentata dal denaro
intervista a papa Francesco, a cura di Aura Vistas Miguel – la Repubblica 15 settembre 2015
Santo Padre, nell’Angelus di domenica 6, ha lanciato questa sfida dell’accoglienza capillare.
Ci sono già state delle reazioni?
«Io ho chiesto che ogni parrocchia, ogni istituto religioso, ogni monastero, accolga una famiglia.
Una famiglia, non una persona. Una famiglia dà più garanzie di contenimento, per evitare che ci
siano infiltrazioni di ogni sorta. Quando dico che una parrocchia accolga una famiglia, non dico che
vada a vivere nella canonica, nella casa parrocchiale, ma che tutta la comunità parrocchiale veda se
c’è un posto, un angolo di una scuola per creare un “appartamento”, nel peggiore dei casi, che si
affitti un modesto appartamento per quella famiglia, ma che abbia un tetto, che sia accolta, che si
integri nella comunità. E ci sono state molte reazioni, veramente molte. Ci sono conventi che sono
quasi vuoti».
Due anni fa lei ha già fatto questo appello e quali risultati ci sono stati?
«Quattro solamente. Uno dei gesuiti. Hanno fatto molto bene i gesuiti. Ma il problema è serio. E c’è
anche la tentazione del dio denaro. Alcune congregazioni dicono: «No, ora che il convento è vuoto,
facciamo un hotel, un albergo, e possiamo ricevere gente, così ci manteniamo e ci guadagniamo ».
Ebbene, se vuoi fare questo, paga le tasse. Una scuola religiosa non le paga perché il religioso è
esente dal pagarle, ma se lavora come hotel, che paghi le tasse, come qualsiasi altra persona. Sennò
l’attività non è molto sana ».
Da quando è Papa, pensa che la Chiesa sia più incidentata?
«Non lo so. So che, per quel che mi dicono, Dio sta benedicendo molto la sua Chiesa. È una fase
che non dipende dalla mia persona, ma dalla benedizione che Dio ha voluto dare alla sua Chiesa in
questo momento, no? E ora, con questo Giubileo della misericordia, spero che molta gente senta la
Chiesa come Madre, perché alla Chiesa può accadere quello che è accaduto all’Europa, no? Essere
troppo nonna e non madre. Incapace di generare vita».
Questo è il motivo del Giubileo della misericordia.
«Che vengano tutti. Che vengano e sentano l’amore, il perdono di Dio. A Buenos Aires ho
conosciuto un frate cappuccino — un po’ più giovane di me — che è un grande confessore. C’è
sempre la fila per lui, molta gente, sì, passa tutto il giorno a confessare. Lui è un grande
perdonatore. Perdona, ma a volte gli viene il dubbio di aver perdonato troppo. E allora, una volta
mentre chiacchieravamo, mi ha detto: “A volte mi viene questo dubbio”. E io gli ho chiesto: “Che
cosa fai quando ti viene il dubbio?”. “Vado davanti al sacrario, guardo il Signore e gli dico: Signore, perdonami, oggi ho perdonato molto, ma sia chiaro eh?, la colpa è tua perché il cattivo esempio me lo hai dato tu”».
Perciò in tal senso, lei, Santo Padre, ha anche deciso di proporre il perdono alle situazioni più
difficili e ora ha addirittura pubblicato i motu proprio che accelerano i processi di nullità.
Anche questo ha a che vedere con il Giubileo?
«Sì, semplificare, facilitare la fede alla gente. E che la Chiesa sia madre».
Lei ha fatto ciò anche pensando al Sinodo e al Giubileo?
«È tutto collegato».
Lei è amato in tutto il mondo, la sua popolarità cresce, come mostrano i sondaggi, e tanti
vogliono vederla candidato al premio Nobel. Ma Gesù ha avvertito i suoi: “Sarete odiati a
causa del mio nome”». Come si sente lei, Santità?
«Molte volte mi chiedo come sarà la mia croce, com’è la mia croce. Perché le croci esistono. Non si
vedono ma ci sono. E anche Gesù a un certo punto era molto popolare e poi è finito com’è finito.
Ossia, nessuno possiede la felicità terrena. L’unica cosa che chiedo è che mi conservi la pace del
cuore e che mi conservi nella sua grazia, perché fino all’ultimo momento uno è peccatore e può
rinnegare la sua grazia. Una cosa mi consola, che San Pietro ha commesso un peccato molto grave,
rinnegare Gesù. Dopodiché lo hanno fatto Papa. Se con quel peccato lo hanno fatto Papa, con tutti
quelli che ho io, mi consolo, il Signore si prenderà cura di me come si è preso cura di Pietro. Ma
Pietro è morto crocifisso, per cui non so come finirò io. Che decida Lui. Purché mi dia la pace, che
faccia quel che vuole».
Come vive la sua libertà da Papa? Come mai ha partecipato a una messa mattutina a san
Pietro ed è andato da un ottico a far riparare gli occhiali? Ha bisogno del contatto con la
gente?
«Sì. Ho bisogno di uscire, però è un po’… Non è il momento. Ma, poco a poco, il contatto con la
gente ce l’ho il mercoledì e questo mi aiuta molto».
E concludiamo con alcune rapide domande: che cosa le toglie il sonno?
«Posso dirle la verità? Dormo come un ghiro».
Che cosa la fa correre?
«Quando c’è molto lavoro».
Che cosa non è mai urgente, che cosa può attendere?
«Che cosa non è urgente? Piccole cose che possono aspettare fino a domani, dopodomani. Ci sono
cose che sono molto urgenti. Altre che non lo sono. Ma non saprei dirle in concreto questo è più
urgente di quello».
Con che frequenza si confessa?
«Ogni quindici, venti giorni. Mi confesso con un padre francescano, Padre Blanco, che è così
gentile da venire qui, a confessarmi. E sì, non ho mai dovuto chiamare un’ambulanza per riportarlo
indietro, spaventato dai miei peccati».
Come e dove le piacerebbe morire?
«Dove Dio vorrà. Davvero, dove Dio vorrà».
Ultima domanda: come immagina l’eternità?
«Quando ero più giovane, l’immaginavo molto noiosa. Ora penso che è un Mistero di incontro. È
quasi inimmaginabile, ma deve essere una cosa molto carina, molto bella, incontrare il Signore ».
La versione integrale di questa intervista è andata in onda sull’emittente portoghese Rádio
Renascença. Traduzione a cura dell’Osservatore Romano
Lascia un commento