COLPEVOLE DI TROPPO ZELO?
SPEDITO A MALTA IL CAPO DEL TEAM ANTI-PEDOFILIA DELLA CHIESA
36882. CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Insieme alla pace con i lefebvriani ed alla “riforma” della Curia, quello della lotta alla pedofilia era uno dei punti “qualificanti” del pontificato di Ratzinger. Ma se la riforma della Curia non è mai nemmeno iniziata, sostituita da uno spoil system che ha avuto come unico risultato l’occupazione da parte degli uomini di Bertone di tutti i posti chiave della Curia, del governo vaticano e degli organismi di controllo della Santa Sede; se il nuovo prefetto della Dottrina della Fede (Cdf), mons. Gerhard Ludwig Müller, alla vigilia del 50° anniversario dell’apertura del Concilio ha annunciato che con i lefebvriani l’accordo è naufragato e non ci saranno ulteriori trattative, la notizia dell’allontanamento dalla Curia vaticana di Charles J. Scicluna, 53 anni, dal 2002 “promotore di giustizia” della Cdf (una sorta di procuratore generale dell’ex Santo Uffizio) sembra mandare definitivamente in archivio anche la (breve) stagione di tolleranza zero del Vaticano nella lotta alla pedofilia tra il clero. E con essa anche l’ambizioso programma di governo di Benedetto XVI.
E se fino a poco tempo fa, vedi il caso di mons. Viganò (nominato nell’ottobre 2011 nunzio apostolico negli Stati Uniti d’America, per mandarlo via dal Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, di cui era segretario), vigeva in Vaticano l’aurea legge – non scritta, ma sempre applicata – del promoveatur ut amoveatur, a Scicluna, stavolta, non è stato nemmeno concessa la consolazione di un esilio dorato. Colui che per anni aveva avuto il delicatissimo compito – avocato alla Cdf con un motu proprio del 2001 – di indagare sui cosiddetti delicta graviora, i delitti che la Chiesa cattolica considera i più gravi in assoluto (e cioè quelli contro l’eucarestia, contro la santità del sacramento della penitenza e il delitto contro il sesto comandamento di un chierico con un minore di diciotto anni) è stato allontanato dal Vaticano per un incarico, quello di vescovo “ausiliare” di Malta, che appare poco più che una punizione. Non solo al responsabile del team anti-pedofili della Chiesa cattolica mondiale infatti non è stato riservato alcun altro incarico in Curia, ma Malta (di cui Scicluna peraltro è originario) non si può nemmeno considerare una sede di grande prestigio. La nomina ad ausiliare non prevede inoltre nemmeno il diritto alla successione dell’attuale vescovo, mons. Paul Cremona.
Dietro la rimozione di Scicluna, nominato promotore di giustizia quando i casi di pedofilia avevano scandalizzato l’opinione pubblica e stavano gettando discredito sulla Chiesa cattolica, specie negli Usa, ci sono diverse ragioni: anzitutto le sue insistenze, vissute con fastidio da alcuni settori della gerarchia, nei confronti delle Chiese locali affinché collaborassero pienamente e senza reticenze con la giustizia civile; poi gli inviti fatti alle vittime affinché denunciassero gli abusi e la fermezza con cui aveva intimato a vescovi e preti colpevoli di farsi da parte o dimettersi; inoltre, la pretesa che ogni Conferenza episcopale si dotasse di linee guida severe e rigorose nel contrasto ai preti pedofili. Infine, l’aver criticato quelle Conferenze episcopali, compresa quella italiana, ritenute inadempienti o lacunose nel dare seguito alle indicazioni del Vaticano.
La Cei le sue linee-guida le ha varate nel maggio 2012, senza che però esse prevedano l’obbligo del vescovo di denunciare i casi di presunti episodi di pedofilia tra il clero alle autorità giudiziarie. Scicluna, in una intervista al mensile Jesus (luglio 2012), dopo aver lamentato che circa la metà delle Conferenze episcopali mondiali non avevano ancora approntato le linee-guida richieste, in merito al nostro Paese ha detto che sarebbe stato bene che i vescovi italiani si fossero almeno impegnati formalmente a non agire per dissuadere le vittime dal loro diritto di denuncia allo Stato. Del resto, già in una intervista concessa al quotidiano della Cei Avvenire (13/3/2010), aveva affermato, suscitando un certo scalpore nell’episcopato italiano, di essere preoccupato per «una certa cultura del silenzio» «ancora troppo diffusa nella Penisola».
Scicluna ebbe un ruolo chiave anche nella vicenda che portò alle dimissioni del conclamato pedofilo (v. Adista nn. 23 e 32/10) p. Marcial Maciel Degollado dalla Congregazione da lui fondata, quella dei Legionari di Cristo. Celebrato in Vaticano per le vocazioni che portava (insieme alle copiose offerte a cardinali e uomini di Curia), dopo la morte di Wojtyla, Maciel perse alcune delle protezioni di cui godeva, mentre le notizie sul suo discutibile passato si diffondevano. Oltretevere, il dossier a suo carico, aperto da anni, ma “congelato” dal 1999 anche per volontà di Ratzinger, venne a sorpresa riaperto: alla fine del 2004 fu infatti proprio Scicluna a chiedere a Martha Wegan, avvocato canonista che dal 1998 rappresentava le vittime di Maciel, se i suoi assistiti intendessero procedere ancora contro il religioso. Wegan girò immediatamente la richiesta ai suoi clienti: «Mi sembra – scrisse rivolgendosi a tre di loro, in una lettera datata 2 dicembre 2004 – che stavolta il caso sia stato preso sul serio». A Maciel fu però risparmiata l’onta del processo e della condanna. Fu solo costretto ad una vita riservata di preghiera e di penitenza e alla rinuncia ad ogni ministero pubblico.
Tolleranza zero?
Se durante la fase acuta dello scandalo pedofilia, quando i riflettori erano tutti puntati sul Vaticano e sulla fermezza con la quale avrebbe gestito l’affaire pedofilia, un personaggio come Scicluna ha fatto oggettivamente comodo, ora che quegli stessi riflettori si sono spenti, o che comunque l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica si è affievolita, molti, in Curia, hanno pensato che del vescovo simbolo della lotta antipedofilia si potesse senz’altro fare a meno. Certo, degli anni di Scicluna alla Congregazione per la Dottrina della Fede restano diverse contraddizioni, già più volte rilevate su queste pagine. Ad esempio quella dell’ufficio disciplinare da lui diretto: è vero che nel solo 2011 (quando lo scandalo mondiale seguito alle clamorose rivelazioni sugli abusi perpetrati da esponenti del clero in Paesi come Stati Uniti, Irlanda, Germania, Belgio stava gettando discredito anche sul Vaticano) ha aperto più di 400 procedimenti disciplinari per abusi sessuali, ma è stato assai meno attivo negli anni precedenti. E, nonostante sin dalla fine del 2001 il dicastero nel quale lavorava avesse avuto accesso ai dossier più scottanti provenienti dalle diocesi di tutto il mondo, non si è distinto per la solerzia con la quale ha allertato le autorità civili.
Scicluna ha avuto però l’innegabile merito di parlare dello scandalo senza reticenze. Chiamando le cose con il loro nome. Come quando, nel febbraio 2012, nel corso di un convegno presso la Pontificia Università Gregoriana, utilizzò il termine “omertà”, parlando della «cultura mortale del silenzio» sugli abusi. «Ulteriori nemici della verità – aggiunse – sono la negazione volontaria di fatti noti e l’erronea preoccupazione secondo la quale al buon nome dell’istituzione debba in qualche modo essere garantita la massima priorità a scapito della legittima denuncia di un crimine» (v. Adista Notizie n. 7/12). (valerio gigante)
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