Donne e Uomini in Cammino
In collaborazione con la rivista Esodo
Lettera a papa Francesco
A proposito della Laudato si’
Settembre 2016
Caro Papa Francesco,
siamo un gruppo di Donne e uomini in cammino, che hanno a cuore la dimensione spirituale dell’esistenza, consapevoli del mistero in essa racchiuso. Il fatto di chiamarci “donne” e “uomini” non è casuale. Nei nostri intendimenti, infatti, è sottesa una risignificazione di tali parole, nel convincimento che usare il termine “uomo” in senso neutro non promuova una cultura rispettosa della differenza originaria tra i sessi. Nel dirci “in cammino” alludiamo alla nostra condizione di viandanti, perché la pratica del confronto-dialogo tra donne e uomini richiede disponibilità al mutamento, ad aprirsi, ad essere in uscita, come Lei pure auspica sia la Chiesa (E.G. 20).
Le donne di questo gruppo provengono – per lo più – da esperienze del mondo femminista, di cui ancora fanno parte, e tale storia e orizzonte di senso sono una delle componenti costitutive del gruppo. In esso, inoltre, c’è una presenza nutrita di donne e uomini della redazione di Esodo, rivista autofinanziata, di cui le è stata consegnata una copia, sorretta dal lavoro di un temerario volontariato. Attivo dal 1979, il trimestrale Esodo è nato nel veneziano dall’incontro tra alcuni preti-operai, comunità di base, gruppi impegnati nel sociale e nei movimenti per la pace.
L’Enciclica Laudato si’ ha parlato ai nostri cuori perché vi abbiamo percepito concetti e sensibilità che, come in un amoroso incontro, s’annodavano con i campi discorsivi delle nostre esperienze, sia passate che attuali. Ha risvegliato il desiderio di investigare dettagliatamente quanta convergenza in essa si dischiudesse con quella che è stata la cultura politica e religiosa che ha alimentato le nostre vite.
L’approccio dell’Enciclica è di grande respiro: propone un’ecologia integrale e profonda, che scandaglia la materia in una prospettiva olistica e radicale e non riduzionistica; fa attenzione ai processi fisico-biologici ed economici dell’ambiente e, al tempo stesso, porta alla luce sedimentazioni più profonde. Da un lato, infatti, riconosce la complicità e la violenza delle strutture epistemologiche dei nostri saperi, dall’altro lega il senso dell’esistenza umana a una dimensione trascendente che la precede, e afferma l’appartenenza del soggetto conoscente al Tutto.
«Il gregge stesso possiede un suo olfatto per individuare nuove strade» (E.G. 31); «Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato. A me spetta, come Vescovo di Roma, rimanere aperto ai suggerimenti orientati a un esercizio del mio ministero che lo renda più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli» (E.G. 32). Sono sue parole: noi l’abbiamo presa sul serio. Crediamo giusto attivarci perché Lei sia “aiutato”. Vogliamo non sottrarci a quella responsabilità che interpella tutte e tutti noi.
Non c’è tra noi, ovviamente, concordanza completa su ogni punto dell’Enciclica. È prevalso, però, il desiderio di fare ponti, di gettare reti. Abbiamo cercato i fili che ci convocavano a edificare la “Casa comune”, senza confusioni né annacquamenti, e senza annullare l’unicità di ognuna e ognuno. Auspichiamo, come Lei (L.s. 144, 155), la non riduzione all’Uno, l’armonia delle differenze, senza annullare quella di ognuno e di ognuna. Per noi, la differenza incarnata dalla donna è fondativa dell’umano che, come la Genesi insegna, è composto da due generi: maschio e femmina, non uno. Ma crediamo che la Chiesa cattolica, non diversamente dal mondo secolarizzato, abbia perseguito – nella dottrina, nell’ecclesiologia e nelle pratiche pastorali – la rimozione della donna come soggetto. E ciò, nonostante la Chiesa si autocomprendesse come custode dell’insegnamento di quel Gesù di Nazareth che, riguardo alle donne, scandalizzava i capi religiosi: comprendeva la donna, infatti, come creata a immagine di Dio. Per una parte del nostro gruppo è necessario non dimenticare inoltre che Gesù riconosceva la donna in quanto persona in sé, non in quanto madre.
Possiamo solo accennare ad alcuni punti dell’Enciclica che costituirebbero i mattoni di quella “Casa comune” aperta alle donne e agli uomini di buona volontà, credenti e non credenti.
1. Il tono discorsivo prevalente: non c’è accenno di disciplina. Si rifugge da ogni intonazione dall’alto, dottrinaria, magistrale, dogmatica, dal registro curiale. Il testo emana spirito sapienziale. Germina il seme poetante, l’anelito al contemplativo, l’attenzione per il frammento, lo stupore benedetto per le creature infime, lo sguardo che sa provare incanto alla luce che inonda il “piccolo”. Esulta qua e là nel testo l’anima ricolma di doni, nel canto che rende gloria al creato e a Dio. Sentiamo in ciò la risonanza di autrici e autori che tanto hanno contato nei nostri cammini, e ci hanno nutrito: Simone Weil, Maria Zambrano, Etty Hillesum, Edith Stein, Dietrich Bönhoeffer, Emmanuel Levinas, ecc. ecc.: sono alcune delle voci di cui abbiamo sentito irradiarsi l’eco potente. Ma di tale eredità femminile non c’è traccia, e una sola autrice donna Lei nomina e cita: santa Teresa di Lisieux!
2. Anche dal punto di vista del metodo le siamo vicini: crediamo nella relazione e nell’esercizio del confronto e della mediazione includente. Quando Lei, per esempio, accoglie e fa proprie le analisi di organismi assembleari- spesso di paesi dell’Asia, Africa, Sud America – davvero mostra di praticare uno stile sinodale, refrattario a quell’accentramento e autocrazia affiorati in tanti papi che l’hanno preceduta.
3. Passando ai contenuti, quasi tutti si annodano con i nostri riferimenti culturali. Sconcerto, allarme, grido di dolore:
– per la propensione all’individualismo, all’antropocentrismo, alla dismisura nell’uomo – nel significato di vir – contemporaneo;
– per il disprezzo della Terra, sostanza reificata, umiliata, in base al criterio della superiorità della categoria dello Spirito – e della Ragione – rispetto a quello della Materia. (Scavando in questa stessa direzione, avremmo aggiunto: per quel paradigma oppositivo da cui si origina anche la posizione subordinata del corpo e dei sentimenti rispetto al primato della Ragione: da cui discenderebbe la “natura” inferiore della donna rispetto all’uomo);
– per la potenza dell’imperante mito del progresso, governato dall’impulso del dominio – economico, ma non solo -, da uno sguardo che reifica gli esseri e mercifica ogni cosa, che desertifica paesaggi, soffoca il respiro di popoli e creature, che «gemono e soffrono le doglie del parto», nella carne e nell’esilio della parola. Intorno c’è l’indifferenza dei “cuori comodi e avari” (E.G. 2), sazi, ma sempre ingordi, tra l’apatia di retoriche assistenzialistiche di maniera – spesso strumentali -, l’ignavia di chi si sottrae all’appello, la sordità di interessi rapaci;
– per la degradazione dell’ambiente, correlata alle profonde iniquità che intridono il tessuto delle relazioni sociali.
E si potrebbe continuare. Invece dello sconforto o della rassegnazione, noi rimaniamo fedeli alla nostra speranza escatologica. Essa è un faro, ci sostiene. «Non sei tenuto a finire il lavoro ma non te ne puoi esimere» – dice un detto rabbinico.
Nella consapevolezza che l’opera creatrice richiede la sapienza sottile dell’amore, e nel desiderio di aiutarla – come abbiamo già detto – esponiamo le nostre osservazioni e suggeriamo alcune indicazioni.
– Nel campo dell’ecologia, numerose studiose – tra cui la cosiddetta corrente dell’ecofemminismo – hanno prodotto già da tempo analisi filosofiche, teologiche e storiche. Nel nome di quel pluralismo delle idee – che sia la sinodalità, sia il dinamismo in uscita della Chiesa richiedono – sarebbe un grande segno farne tesoro. La salvaguardia del creato e le relazioni uomo-donna sono originati da una medesima matrice: infatti, sia lo sfruttamento delle risorse naturali agito dall’uomo maschio, sia l’occultamento della donna come soggetto libero e pensante partecipano al paradigma su cui è incardinato l’ordine simbolico patriarcale. Ne fa fede una spia linguistica: l’eloquente parentela mater-materia; così come l’espressione Madre Terra. Il pensiero androcentrico che ha governato il magistero della Chiesa per secoli ha permesso la scissione tra Dio da una parte e il creato dall’altra, come pure tra anima e corpo. Con Lei è apparsa una scintilla di ravvedimento, ma una più esplicita autocritica, secondo noi, sarebbe necessaria per dare salde radici all’opera di disseppellimento della sostanza evangelica.
– La parola donna compare un sola volta nel testo, e non sotto uno sguardo benevolo: “L’uomo e la donna del mondo postmoderno corrono il rischio permanente di diventare profondamente individualisti” (162). E, come accennato, si usa il termine uomo in senso universale, comprendendo i due generi. Ora questa modalità neutra è indice di non attenzione verso le donne. Si sussume nel genere maschile – supposto universale – quello femminile, che ne sarebbe compreso: è un “valore” linguistico egemone, ma profondamente iniquo: è analogo alle logiche totalitarie messe in atto dagli imperi coloniali.
– Nel solco della cancellazione della differenza femminile, nell’Enciclica non viene mai detto esplicitamente che gli assetti sociali, le istituzioni, nonché la produzione politico-economica sono frutto di una società dove ancora vige la supremazia maschile. Le leve del mondo sono, di fatto, principalmente in mano a uomini. È dunque all’uomo (vir) che va ascritta la responsabilità di questa civiltà malata, di quell’opera predatoria, di quel saccheggio per cui “Sorella (terra) protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei” (L.s. 2).
– Nella Laudato si’ è esclusa ogni espressione che rimandi a un Dio oltre il genere, come suggerisce una teologia avvertita: confinarlo, infatti, a una rappresentazione sarebbe ridurlo a idolo. (Usiamo la parola Dio e non, per esempio, D** o altre espressioni non sessiste del divino – come suggerito da studi di teologhe – perché ciò implicherebbe temi che esulano dallo spirito della nostra lettera). Una parte di noi ha sottolineato la mancanza nel testo di una teologia della Madre.
Con sollecitudine rileviamo quanto un’ immagine di Dio dai connotati maschili – a volte esplicita a volte sottotraccia – sia prevalente nell’Enciclica. Oltre ad abdicare al principio della trascendenza di Dio rispetto al genere, abbiamo la sensazione che, attribuendo al divino solo la paternità e non la maternità, l’essere maschio sia ritenuto proprietà essenziale. È una questione scomoda, ma ineludibile: dal linguaggio si va direttamente ai simboli e di qui – soprattutto se abitano la sfera del sacro – passa la via che approda alla Casa comune di donne e uomini.
Gesù è l’uomo della Croce, e san Paolo compendia: la potenza di Dio si manifesta nella debolezza (2Cor 12,9). Ma, nei secoli, la Chiesa ha abitato modelli maschili di forza e potenza, guerrieri o sacerdotali. La stessa separatezza del clero ordinato maschile (l’unico ammesso) è contrassegnata sì dalla chiamata al servizio, ma è pur sempre una chiamata distintiva, che conferisce un’identità elitaria. La vulnerabilità di Gesù è così confinata al perimetro dorato delle prediche domenicali – adottata nella carne solo da qualche santo o santa – unita ad una devozione mariana che educa alla soggezione le donne.
Se ora gli uomini possono accostarsi con più convincimento a tale modello evangelico, se possono accettare con un po’ meno timore la loro umanissima fragilità, riconoscersi senza imbarazzo bisognosi dell’aiuto dell’altro/a; se possono vestirsi senza vergogna della luce diffusa della tenerezza, crediamo sia merito soprattutto di quella cultura dell’empatia e della relazione che alcune pensatrici del Novecento hanno contribuito a elaborare (Edith Stein, Simone Weil, Hannah Arendt…).
Con gratitudine e affetto,
“Donne e uomini in cammino”
P.S. Stiamo andando in stampa. Vorremmo, in pochissime parole, esprimere quanto siamo felicemente impressionate e impressionati dalle notizie che ci pervengono in questi ultimi giorni. Per le “donne” e per il “creato”, Lei sta attuando gesti che davvero mostrano un’ apertura foriera di grandi speranze. Il nostro auspicio è che tale apertura sia irrobustita dalla sua tenacia e coraggio a camminare nei sentieri di giustizia, e che in tale opera sia accompagnato dai fratelli e dalle sorelle.
Ha steso la lettera Paola Cavallari (ESODO), in collaborazione con: Carlo Bolpin (ESODO), Gianni Manziega (prete operaio, direttore di ESODO), Franca Marcomin (Gruppo di preghiera di Mestre).
Prime adesioni
(chi vuol aderire può farlo scrivendo a associazionesodo@alice.it oppure a paola.cavallari@me.com oppure a carlo.bolpin@alice.it)
Appartenenti a Donne e Uomini in Cammino.
Corradini Giorgio (ESODO);
De Cunzo Margherita;
De Perini Sandra;
Lucchesi Nadia;
Scrivanti Lucia (ESODO);
Sterlocchi Grazia ( co-presidente dell’associazione ” La Settima Stanza-scuola di poesia”);
Urizio Desirée.
Altre adesioni
Bellavite Vittorio (Noi Siamo Chiesa);
Beraldo Carlo (ESODO);
Bonadio Luciana ( Comunità cristiana di base Viottoli Pinerolo);
Casati Don Angelo;
Ciraci Angelo ( Comunità cristiana di base Viottoli Pinerolo);
Fantino Luciano ( Comunità cristiana di base Viottoli Pinerolo);
Galetto Carla (Comunità cristiana di base Viottoli Pinerolo);
Ghirardotti Domenico ( Comunità cristiana di base Viottoli Pinerolo);
Grandi Giuliano (ESODO);
Lupi Doranna (Comunità cristiana di base Viottoli Pinerolo);
Marcon Giorgio;
Martinengo Piero (Gruppo di preghiera di Mestre);
Pavan Beppe ( Comunità cristiana di base Viottoli Pinerolo);
Perocco Maria Chiara (Gruppo di preghiera di Mestre);
Puppini Chiara (ESODO);
Scarpa Marina (Gruppo di preghiera di Mestre);
Zanatta Natalina (Associazione Identità e differenza);
Zane Patrizia (Gruppo di preghiera di Mestre);
Zanella Luana.
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